un’esperienza di animazione

il Gruppo del Sole è un collettivo di operatori socio-culturali che svolge la sua attività nel quartiere Quadraro -Tuscolano di Roma. In questi locali da sei anni, dopo un’esperienza di gruppo teatrale itinerante per ragazzi, gestisce vari laboratori di animazione per bambini da 6 agli 11 anni, ragazzi dai 12 ai 16 anni (gruppo quest’ultimo di nuova istituzione) genitori ed animatori.

gennaio 1977

quest’anno ha messo in scena due pretesti teatrali d’animazione e uno spettacolo. I pretesti (dal titolo: «Scusa Befana ai giocattoli pensiamo noi» e «Dietro le maschere») sono delle idee canovaccio che si sviluppano in una breve azione teatrale che trova la sua conclusione nell’intervento diretto dei bambini, i quali insieme agli animatori, costruiscono con materiale di scarto messo a loro disposizione, giocattoli, maschere, travestimenti e giochi, secondo la loro fantasia e creatività. Anche lo spettacolo «La rivolta dei manichini» teatralmente più completo, si avvale della partecipazione dei ragazzi, stimolati ad intervenire su problemi come là scuola, la guerra, l’autoritarismo.
Inoltre il Gruppo del Sole ha in programma (per quest’anno) l’allestimento di un nuovo spettacolo dal titolo «Alice nel quartiere delle meraviglie» (dalla favola di L. Carol; il viaggio fantastico di una bambina di borgata alla ricerca di un quartiere meraviglioso che non esiste) e di un nuovo pretesto di animazione interamente dedicato alla musica, intitolato «Il giro d’Italia» in cui il gruppo tenterà attraverso una visita immaginaria delle regioni italiane la ricerca e il recupero della musica popolare infantile, patrimonio del nostro paese. Attualmente il gruppo stampa una rivista dal titolo «Nel quartiere» nella quale vengono descritte ed analizzate le esperienze coi bambini. Nel 1971 prendevamo possesso dei locali di Largo Spartaco 13. In quella sede, con l’apertura di alcuni laboratori per bambini dai sei agli undici anni, avremmo finalmente potuto verificare la validità della nostra scelta politica, la possibilità cioè di un rapporto continuativo con il bambino in uno spazio di gioco-lavoro socializzante. Già in precedenza ci eravamo occupati del bambino come gruppo teatrale itinerante e poi come animatori nelle colonie estive dell’A AI; ma queste due esperienze, limitate nel tempo, risultavano insufficienti in quanto non per mettevano una profonda conoscenza del bambino nel suo quotidiano ambiente sociale. Operare in tali situazioni esaltava la figura dell’animatore rafforzandone il ruolo specifico già quando il collettivo intuiva che in un rapporto paritario con il bambino tale ruolo non avrebbe avuto ragione di esistere. Pensavamo allora di poter verificare la validità della proposta di animazione solo risolvendo tali contraddizioni; e la scelta di un preciso territorio «operativamente raggiungibile» e sul quale radicarsi ci sembrava l’unico modo per poter progressivamente estendere il nostro intervento dal bambino alla famiglia, alla scuola, al quartiere, cioè all’ambiente sociale nel quale egli cresce e si forma. Ma radicarsi nel quartiere — pensavamo — prendere coscienza ed operare per modificarsi e modificare poteva avere ancora il significato di una operazione intellettualistica ed elitaria se non fosse stato recepito ed acquisito dalla realtà nella quale intendevamo agire; già allora infatti intuivamo come una proposta di animazione potesse acquisire validità solo se tendeva a divenire un’esigenza del quartiere, una sua richiesta sociale al pari degli altri servizi. Per stabilire i primi contatti con i bambini del quartiere organizzammo una mostra di lavori realizzati dagli animatori stessi nelle più diverse tecniche e con materiale di scarto. Ad un primo momento di diffidenza, aggressività ed appropriazione-distruzione del materiale esposto, ne è seguito un altro di gioco dal quale emergeva una precisa richiesta, quella cioè di creare altri momenti comuni durante i quali poter lavorare e giocare insieme. Fu subito chiaro come quei bambini abituati all’autoritarismo della strada, della scuola e della famiglia, avessero bisogno di uno spazio proprio nel quale estrinsecare capacità creative fino allora sempre represse. Di qui la necessità di fissare due giorni di animazione a settimana e ricercare un rapporto continuativo sia con i genitori che inizialmente avevano scambiato il gruppo per «una area di parcheggio» disinteressandosi così totalmente al nostro lavoro; sia con gli insegnanti, dal momento che non era nostra intenzione sostituirci alla scuola ma incidere nella sua struttura e quindi lottare contro i modelli di autoritarismo in essa presenti. Oggi, a cinque anni di distanza, molte cose sono cambiate. Il gruppo è cresciuto di numero; molti bambini ormai ragazzi sono rimasti presso di noi e si autogestiscono i propri spazi; la tematica intorno al bambino ed al territorio continuamente approfondita all’interno del collettivo; le lotte di quartiere fatte proprie e nuovi spazi di intervento conquistati. Con ciò non vogliamo affermare che di colpo contraddizioni, conflitti, crisi, limiti ed errori siano stati del tutto superati e risolti! che essi sono sempre presenti all’interno del gruppo e costituiscono il quotidiano come dimensione politica del nostro lavoro. Quello però che ci preme mettere in rilievo è lo sforzo costante di essere vigili in questa direzione in modo che contraddizioni, conflitti, crisi, limiti ed errori inerenti alla dinamica interna ad ogni gruppo siano sempre motivo di discussione e di crescita di ognuno di noi.
Ci sembra opportuno prima di passare alla descrizione delle esperienze di lavoro del V ciclo, chiarire cosa intendiamo per animazione e quale debba essere il ruolo dell’animatore che operi in una specifica realtà. Ciò appare tanto più pressante se si pensa a quanto sia cresciuto il dibattito intorno a questi temi, dibattito che interessa e coinvolge non soltanto un numero sempre crescente di singoli operatori, ma anche quelle forze democratiche più avanzate, pronte a recepire e far proprie le esigenze del bambino. Si può dire ormai che l’animazione ha perso quel carattere di pionerismo che per tanto tempo l’ha caratterizzata; di animazione infatti si parla nella scuola, nei sempre più numerosi convegni, nonché attraverso le varie pubblicazioni che documentano esperienze singole e di gruppo. Ma se da un lato la perdita di questo carattere originario può considerarsi una notevole conquista (numerosi infatti sono i gruppi sorti per lo meno a Roma negli ultimi anni), nello stesso tempo l’uso e l’abuso del termine animazione rischia di restringere il dibattito agli «addetti ai lavori» o di dar mano alle istituzioni della classe borghese preoccupata di snaturare ogni spazio autonomo di cultura popolare autogestita. L’analisi delle esperienze dei cicli passati ci ha condotto al superamento dell’animazione vista esclusivamente come momento liberatorio.
E poiché non crediamo che animazione significhi una «maniera di sinistra» per intrattenere i bambini, o l’illustrare una serie di tecniche alternative non inserite nella ricerca di un diverso «modo di essere» nei confronti di se stessi e degli altri, abbiamo orientato il nostro lavoro verso una dimensione nuova, sul piano cioè dell’animazione totale. Appare evidente allora come accanto al momento tipicamente liberatorio, sia indispensabile cercare uno spazio il più ampio possibile da dedicare al momento della riflessione e della critica. Pensiamo infatti che proprio su questo terreno le capacità del bambino possano estrinsecarsi in tutta la loro pienezza, sì da renderlo protagonista attivo di esperienze proprio nel momento in cui gli si offrono gli strumenti per rafforzarne la capacità di decisione autonoma. Ogni situazione particolare, ogni fase del lavoro deve allora assumere il carattere della problematicità: in questo modo la riflessione può costituire il momento di sintesi e di riordinamento della proposta di animazione, il presupposto cioè di nuove situazioni problematiche e perciò stesso da indagare, analizzare, risolvere.
Animazione dunque come metodologia antiautoritaria socializzante, come ricerca di un rapporto paritario con il bambino, come nuovo «atteggiamento mentale» che permetta al singolo operatore o al gruppo di operatori di confrontarsi con la realtà storica in cui essi agiscono. Basilare appare perciò la comprensione della problematica altrui come terreno comune di crescita politica; la disponibilità costante verso l’analisi e la verifica del proprio operato in modo che in ogni rapporto l’«altro» (nello specifico il bambino) non venga strumentalizzato per scopi già predeterminati. Nell’operare con il bambino, infatti, potremmo scoprire una tendenza, sia pure inconscia, a scivolare verso una sorta di «indottrinamento», a parlare per slogans e frasi fatte, cercando così di spingere il bambino verso soluzioni che noi riteniamo esatte e pertanto da lui non meditate criticamente. Siamo consapevoli del fatto che il nostro laboratorio non è e non deve essere la sede ove creare dei «quadri», né tantomeno il luogo ove «politicizzare» a tutti i costi. È nostro intento al contrario stimolare lo sviluppo delle capacità creative e critiche del bambino, mettere in discussione codici e pregiudizi suoi e nostri, cercando insieme di riqualificare attraverso una diversa metodologia del lavoro contenuti e problematiche molto spesso genericamente affrontate. In questo senso noi crediamo che l’animazione non debba essere patrimonio riservato solo agli operatori visti nella loro qualifica di «esperti»; ma debba essere gestita collettivamente da tutti i cittadini che si trovano a lavorare in una realtà sociale, essere cioè uno strumento attivo di modifica incalzante della famiglia, della scuola, della fabbrica, del quartiere, della società. Il bambino è per noi anzitutto un soggetto politico che rivela esigenze politiche le quali coinvolgono complessivamente le strutture sociali ed i rapporti di classe. La liberazione del bambino dipende in ultima analisi dalla capacità che hanno le classi subalterne di liberarsi dai condizionamenti materiali e culturali. Questo scontro non ha confini poiché coinvolge quotidianamente l’uso e la gestione degli strumenti culturali e di partecipazione politica; ed è proprio attraverso l’uso e la gestione di questi strumenti che la famiglia e la scuola ripropongono e rafforzano nel bambino i modelli culturali imposti dalla classe dominante. Se tale è allora l’impostazione del «problema bambino» anche il Gruppo del Sole ha come suo compito l’approfondire, anche a livello personale di ogni integrante la visione politica complessiva e fare in modo che i bisogni del bambino diventino parte del comune patrimonio di rivendicazioni e di lotte.

le esperienze di animazione
Descrivere in qualsiasi campo ed a qualsiasi livello il lavoro svolto rischia spesso di diventare una forma di autocompiacimento ed una mostra di indiscutibili meriti propri, con quanto spazio per l’analisi rigorosa ed utilizzabili operativamente possiamo immaginare. Nel caso specifico per i gruppi di animazione il pericolo è maggiore, perché al momento di riportare ad un pubblico adulto le nostre esperienze con i bambini rischiamo di privilegiare alcune fasi del lavoro più «gratificanti» per noi animatori, invece che le espressioni dirette delle esigenze dei ragazzi, causa anche il nostro linguaggio spesso contorto per nostre inevitabili sovrastrutture.