confezione risparmio

ottobre 1974

L’inflazione sta falcidiando i nostri redditi, il costo della vita cresce a tassi vertiginosi, la disoccupazione è una realtà sempre più presente. La crisi economica si fa sempre più dura e gli italiani si trovano con le tasche vuote o al massimo piene di quelle caramelline e gettoni del telefono che, in uno Stato dove nemmeno la Zecca funziona, sostituiscono gli spiccioli.
Il sistema capitalistico, che nel periodo del boom dei consumi si presentava sotto il suo aspetto più accattivante, ha cambiato volto e ci mostra oggi la sua faccia più vera, terroristica e intimidatoria. La donna, che per essere una buona moglie o avere successo in società doveva comprare il frullatore superautomatico o il copriletto di pelliccia, è improvvisamente sospettata di tendenza allo sperpero, di scialacquare, oltre a quello familiare, il patrimonio nazionale.
Si moltiplicano gli appelli: ricordatevi delle vostre nonne, voi avete optato per le bistecche per stare meno tempo davanti ai fornelli e pretendereste che tedeschi e danesi continuassero a mangiare i tagli di carne meno pregiati per lasciarvi il filetto! E non contente, vorreste anche mangiarla al ristorante fuori città, la bistecca, una volta la settimana, invece di preparare un buon tradizionale pranzo domenicale che tiene unita la famiglia e ci scappa anche il tempo per la messa, perché tanto – si sa – nelle chiesette per gitanti costruite fin sui campi di sci, alla fine non ci va nessuno.
Imparate dunque a preparare gustose polpette e a fare la pasta in casa, i maccheroni alla De Mita: risparmierete 55 lire, ci informa autorevolmente anche un quotidiano romano di sinistra che somma da una parte il costo della farina e delle uova (e se la pasta è lavorata bene sta insieme anche senza le uova, ci insegna) e lo paragona poi a quello della pasta comprata al negozio, senza, ovviamente, che gli sorga il sospetto che nel costo della pasta fatta in casa dovrebbe essere calcolato il tempo di lavoro della casalinga (e perché mai: il tempo per andare dal parrucchiere non lo troverebbe, forse?).
Mentre aspettate che la pasta si secchi, attaccate alle finestre chiusure ermetiche, consiglia il senatore democristiano Paolo Berlanda. Ovviamente non con le strisce plasticate autoadesive che gravano sulla bilancia dei pagamenti, ma con quelle più industriosamente fatte in casa con pezzi di feltro incollati, basta un ferro da stiro (meglio se di quelli a carbonella, così risparmiate elettricità). E a proposito di risparmi di elettricità, oltre ovviamente a quelli forzosi imposti dall’aumento delle tariffe, farete miracoli calcolando scrupolosamente le volte che aprite e chiudete il frigorifero: se infatti sono limitate a quattro al giorno, non provocano aumenti sensibili dei consumi, fa sapere a noi donne, tradizionalmente «prive di nozioni e di curiosità scientifica», il direttore dell’ENEL ingegner Massa in una intervista ad un quotidiano. Finora la colpa della crisi veniva addossata ai lavoratori (per uscire dal tunnel bisogna produrre di più, ci dicevano, versando lacrime sull’assenteismo e la disaffezione operaia… beati i tempi quando l’operaio andava a lavorare anche con la febbre a quaranta). Ora abbiamo invece scoperto che bisogna consumare di meno. Così alle donne, tartassate finora da una pubblicità che imponeva di cambiare il vecchio frigorifero con l’usueta maniglia con il nuovo modello a pedale, ipotizzando aperture e chiusure quotidiane in libertà, oggi se ne concedono quattro al giorno: e permane il sospetto che le sperperatrici arrivino a sei. Gli esperti, con la neutralità obiettiva che è loro propria, registrano che la recessione economica rivaluterà la cosiddetta ‘cucina povera non è del resto già diventata di moda anche tra i ceti più abbienti (magari accompagnata in questo caso da vecchi vini francesi) con l’approvazione di tutti i mentori delle sane società contadine e del ritorno alle tradizioni, e con il placet persino degli ecologi? Paolo sesto non si è ancora pronunciato, ma attendiamo fiduciose. I consumi meno colpiti, registrano ancora gli esperti, sono – provate a indovinare – quelli ‘ricchi’: chi comprava salmone affumicato e champagne, continuerà a comprare salmone affumicato e champagne, ci dicono le previsioni ufficiali. L’estate passata – informano i dati degli uffici del turismo – i soli alberghi strapieni sono stati quelli di lusso e chi non ha fatto in tempo a prenotare si è dovuto accontentare di affittare uno yacht con bandiera panamense e marinai reclutati sul mercato del collocamento nero (un mercato molto diffuso che fornisce marinai di un tipo speciale: quando muoiono sul posto di lavoro per le società di assicurazione risultano mai esistiti).
Anche alla tanto deprecata gita domenicale si è finalmente detto basta. Si sa, certo, che alla donna faceva piacere sedersi al tavolo del ristorante ed essere una volta tanto servita, ma come non capire che cosa comportava questa abitudine in consumi di carburante e inquinamenti atmosferici, e come non preferire il buon pranzo in famiglia, e soprattutto servitelo all’una in punto perché alle due e mezzo il marito deve essere allo stadio. Come si sa, infatti, nonostante la crisi, il numero degli abbonamenti alle partite di calcio è aumentato vertiginosamente quest’anno, superando gli otto miliardi complessivi, di cui quasi due nella sola città di Napoli.
Del resto, un posto in curva costa soltanto 2.500 lire e anche se non si riesce a vedere la partita, l’andamento è comprensibile dalle grida di quelli che occupano i posti numerati; e in ogni caso, se fossero spese in benzina, 2.500 lire non basterebbero nemmeno per fare Roma- Frascati e ritorno. In termini tecnici, la «cucina povera» (quella senza vini francesi) viene definita una «dequalificazione dei modelli di consumo alimentare». Milioni di italiani, spronati da massaie inoperose, erano passati negli ultimi anni dalla pastasciutta con secondo di patate, ai consumi di carne, anche se questi continuavano a rimanere inferiori a quelli degli altri paesi comunitari. Ora, finalmente, nei primi mesi del 74 — affermano le statistiche con qualche sollievo — siamo ritornati ai livelli di consumo di carne del 1967, con un consumo medio annuo di 20 chili pro capite; ma non è escluso che si scenda ai livelli di 6 chili pro capite del 1951. E sarebbe un regalo particolarmente gradito all’onorevole La Malfa che, lui, la restrizione dei consumi la predicava già allora. Intanto la CEE ha diffuso un bel manifesto,’consumate più carne , che naturalmente non è destinato all’Italia e infatti è stato stampato solamente in francese e tedesco, e si è risparmiato così anche sui costi della carta e della stampa. Naturalmente non è soltanto la famigerata bistecca che abbiamo dovuto smettere di comprare: le mozzarelle (notoriamente ‘importate dall’estero’) hanno raggiunto prezzi astronomici; i prosciutti prezzi da antiquariato. Se il costo del riscaldamento è triplicato in un anno, quello deH’abbigliamento registra aumenti dal 20 al 45%, mentre i prezzi di scarpe e borse sono raddoppiati. In questo caso sui mercati internazionali i prezzi delle materie prime (lana, cotone, pelli) sono in diminuzione, mentre quelli al consumo continuano ad aumentare. Ormai non osano più dare la colpa al fatto che chi lavora ha diritto ad essere pagato (anche se qualcuno ancora lo sostiene, tanto che «Il Giornale» lascia intendere che in Italia staremo bene solo dopo aver eliminato i sindacati); la colpa è ora degli arabi, che hanno aumentato i prezzi del petrolio. Non si dice, naturalmente, che da quando i prezzi del petrolio sono aumentati, i profitti delle società petrolifere, in termini reali, sono saliti vertiginosamente; né che il governo italiano, che non trova i soldi per aumentare le attuali pensioni di fame, da quando è stato chiuso il canale di Suez contribuisce ai maggiori oneri dei petrolieri per il trasporto del petrolio. Su questi contributi i petrolieri dovevano versare una ritenuta d’acconto. La commissione parlamentare che indaga sui recenti riusciti tentativi di corruzione da parte dei petrolieri, ha scoperto che questa ritenuta non è mai stata versata: si tratta di 14 trascurabili miliardi.
Se diciamo che la donna è anche questa volta il terminale della crisi, come da sempre è il terminale di tutte le oppressioni, non vogliamo naturalmente affermare che la crisi non riguarda l’uomo: ma se questi subisce la crisi in modo generale, la donna è costretta, giorno per giorno, ora per ora, a inventare le soluzioni quotidiane che vanno dal perdere ore per fare la spesa al mercato lontano da casa ma più economico, ad aggiustare decorosamente gli abiti dell’anno scorso per tutta la famiglia. «La donna, sposa, madre, sorella, fidanzata — afferma nella sua ineffabile lettera il senatore democristiano degli spifferi Berlanda — può e deve ritrovare nei suoi principi morali la forza di essere più che mai educatrice, educando al saper vivere con modestia: alla sua fantasia e inventiva di ogni giorno è affidato il risanamento della bilancia dei pagamenti (grossa parola — aggiunge benevolo sapendo di avere a che fare con persone ignare di economia — che in fondo significa soltanto che abbiamo grossi debiti con l’estero). La donna può e deve cooperare in modo decisivo alla lotta contro ogni forma di sperpero, dall’utilizzo delle bottiglie o dei sacchetti di plastica fino alla conservazione dei vestiti»; e annota, con scrupolosa partecipazione: «la crisi è caduta proprio sulle sue spalle, perché di donne finanziariamente indipendenti ve ne sono ben poche in Italia», e si sente che stava per aggiungere «grazie a dio». Se i dati elettorali fossero disaggregati per sesso, sarebbe interessante andare a vedere, alle prossime elezioni, anticipate o non, quante donne della circoscrizione trentina di Berlanda daranno ancora il loro voto al pio senatore democristiano.