il corpo di arianna

la storia del rapporto delle donne col proprio corpo è la storia dei momenti di organizzazione contro un sistema che si regge sulla nostra mutilazione. “Ci sono dei momenti in cui questa prende coscienze di sé fino a trasformarsi in riappropriazione”.

settembre 1978

sii saggia Arianna!
Hai piccole orecchie, hai le mie orecchie:
metti là dentro una saggia parola! -Non ci si deve prima odiare, se ci si vuole amare? Io sono il tuo labirinto…
Ditirambi di Dioniso F. Nietzsche

Il marxismo, con la sua lettura progressista delle cose, ha negato alla storia le sue prodezze. Se ne ha talvolta riconosciute è per cancellarne con cura gli effetti. Certo, Engels constata l’usurpazione manifesta del potere politico da parte degli uomini a detrimento delle donne (1), ma soltanto per dedurne una soluzione che dovrebbe por fine a questa flagrante iniquità: la partecipazione delle donne alla produzione. Appena intravista «questa grande sconfitta storica del sesso femminile” è rinviata nel campo dialetticizzato del futuro glorioso. «L’emancipazione della donna diviene possibile solo quando essa può partecipare su vasta scala alla produzione ed il lavoro domestico non la impegna ancora che in misura insignificante. E ciò è divenuto possibile solo con la grande industria moderna la quale non soltanto permette il lavoro della donna su vasta scala, ma lo esige formalmente e tende sempre più a trasformare lo stesso lavoro domestico privato in una industria pubblica”. (2) Orbene l’evoluzione repressiva di un paese industrializzato come l’URSS intacca definitivamente la grande fiducia verso uno Stato che assuma su di sé il peso di certi aspetti della vita. In tali condizioni non c’è più da sperare per una liberazione della donna né, persino, per quella dell’uomo. Forse è prematuro vedere una relazione di causa ed effetto fra gli scritti di Marx e Engels e la realtà attuale dei paesi socialisti. Possiamo dire, però, che una certa enfatizzazione del discorso dell’economia ha permesso di mettere da parte il discorso della specificità dei rapporti di autorità e di dominio. (3). L’estrema discrezione del «pensiero marxista» su tutto ciò che riguarda lo Stato e la sua violenza ha doppiamente contribuito ad occultare la specificità del rapporto delle donne con la politica e la cosa pubblica. L’asservimento non è mai abbastanza riuscito, abbastanza schiacciante perchè basti enunciarlo una volta per tutte. Con l’ombra della guerra dei sessi gettata in un passato lontano, il dominio patriarcale verrebbe esercitato in assoluta sicurezza. Ebbene questa bella sicurezza si sgretola non appena si tenti una microanalisi dei meccanismi del potere.
Il binomio troppo comodo dominante/dominato stringe in una morsa i rapporti di potere senza offrire la sfumatura della differenza dei sessi. Lungi dal proclamare l’idea di una sottomissione consentita, noi postuliamo semplicemente questo: questa sovradeterminazione non funziona forse in modo così piramidale quanto ce lo vorrebbe far credere il gioco delle istituzioni. Più precisamente, la donna, effettivamente esclusa dall’apparato dello Stato, non è per questo privata di potere — c’è chi potrebbe dire il potere di essere una madre esemplare, una sposa fedele. Ma anche di essere una Giovanna d’Arco, una Giovanna Hachette, una Velleda dei tempi moderni. Solleviamo il velo sarcastico di queste denominazioni che tornano ad ogni grande scricchiolio della stona. L’agiografia non si addice a queste riflessioni, e neppure l’ampollosità di un nuovo romanticismo. In che modo le donne innescano, seppur sporadicamente, quei dispositivi concreti di lotta così rivelatori di virtualità sociali insospettate? Qui, più che altrove, la precisione dei fatti ci invita a tratteggiare i limiti di un buon numero di idee preconcette. Nel momento in cui si mostra, da una parte una nuova attenzione a tutti i segni sociali di svalutazione della donna, del suo corpo e della sua funzione, e dall’altra emerge, in modo più direttamente legato all’attualità, il riconoscimento di una violenza specificatamente femminile, il nostro problema oltrepassa il limite di una epistemologia storica; trasmissioni televisive, articoli di giornale, processi clamorosi. Il fascicolo si ingrossa giorno per giorno: costituzione di gruppi di autodifesa, manifestazione notturna delle donne italiane per reimpadronirsi della strada (Riprendiamoci la notte ’76), oppure all’opposto, l’indignazione di France Soir per la presenza di donne attive in seno all’organizzazione terrorista tedesca, la RAF (4) : «Dieci donne fra i sedici terroristi ricercati: la Germania si interroga.
Da Ulrike Meinhoff a Suzanne Albrecht, esse rubano, esse uccidono anche». (5) Quest’ultimo esempio esige maggiore riflessione. Alcune donne sfuggono alla loro condizione di generatrici di vita per perpetuare, con raddoppiata efficacia, dei crimini contro lo Stato. Questa trasgressione è insopportabile, cioè incomprensibile; una spiegazione scientifica ragionevole viene a risolvere questo mistero: «Uno psicologo tedesco studiando il gesto di Suzanne Albrecht che assassina il proprio padrino, faceva, poco dopo il delitto, l’ipotesi che la ragazza non avesse superato il complesso di Edipo, cioè «la fissazione» amorosa che hanno tutte le bambine — secondo Freud — per il loro papà» (6) Questo freudismo a buon mercato nasconde una mancanza di idee, comune al pensiero di destra o di sinistra. Di fatto, questa realtà resiste a qualsiasi arsenale concettuale prestabilito. Da questa constatazione proponiamo questa analisi: un gruppo terrorista come la RAF proietta sul corpo stesso dei suoi militanti tutta la propria energia di lotta, fino alla distruzione di quei corpi. Con ciò il carattere individuale della determinazione politica viene esacerbato. L’accettazione della morte personale come condizione necessaria alla sopravvivenza del gruppo, riconosce, in questo punto estremo, l’esigenza che ogni donna si abbandoni a questa riattraversata individuale per accedere al politico. Più che per un uomo, per il fatto stesso della dimensione specifica della sua oppressione, l’impegno politico per una donna si ancora in tutto il suo essere. L’equazione delle determinazioni private è ricevuta con una intensità raddoppiata. Meno che altrove, il politico è sinonimo di universale.
Fra il faccia a faccia «individuo-controstato», che la lotta terrorista impone, e la rivolta di una donna contro la sua oppressione, vi è un denominatore comune che gira intorno alla nozione «combattimento individuale”. In questo senso eviteremo di pensare ai comportamenti di violenza sovversiva come ad un movimento che va «crescendo». Il nostro momento storico non è un tempo originato da una qualunque scena primitiva: una dominazione matriarcale anteriore allo sfruttamento capitalista, o anche il paradiso perduto delle Amazzoni, come polo di riferimento che giustifica l’esistenza di un movimento di liberazione delle donne. Il che non implica un discorso sulla esistenza di quelle società, ma soltanto la funzione del loro esistere in un discorso storico. Un po’ come i linguisti che si installano nel linguaggio; prendiamo dal di dentro, senza più interrogarsi sull’origine della lingua, la violenza delle donne in quanto tale. Il freudismo ha prorogato il rinvio temporale del marxismo, respingendo queste manifestazioni nell’ordine del simbolico. È contro tutte queste forme di messa in disparte che noi protestiamo, proponendo una lettura della storia circostanziata, concreta e positiva in cui il corpo condensa i rapporti di forza, i meccanismi del potere.