il sesso base

il maschio? una femmina mancata

ottobre 1974

«Gettiamo il guanto della disfida» scrivevano in Sicilia le donne — femministe ante litteram — su un loro giornale La tribuna delle donne rivendicando il diritto di essere partecipi anch’esse nella creazione di una nuova società dopo il giogo borbonico. Garibaldi aveva da poco incoronato il re d’Italia. A piè di pagina, una breve frase: «Costa un baiocco». Il giornale, non la disfida. La ‘disfida’ non ha prezzo: può costare la vita anche se consiste in un minimo gesto di ribellione contro un uomo (non dimentichiamo i crimini contro le donne sulle strade, nella famiglia, ecc.), o molto meno di un baiocco anche oggi — a Italia fatta da tempo e con i prezzi che corrono — quando è vissuta come gioco, creatività, riscoperta della nostra dimensione. Cioè quando la ricerca, il dire sulla nostra storia e sulla nostra cultura non comportano più sacrificio e tensione o la paura di un giudizio o del confronto con il già detto, e diventano un momento vitale e liberatorio. Realtà o fantasia, scienza o fantascienza, che importa: abbiamo millenni, cinque o sei diciamo, da contestare .
Una donna inglese, Elaine Morgan, ha ‘gettato il guanto’ rovesciando le teorie evoluzioniste sull’origine dell’uomo e ha dimostrato l’origine della donna. E l’origine della donna non deve essere considerata cosa a parte, cioè l’origine della metà (anzi di più della metà) del genere ‘umano’: confusione che non viene provocata, invece, dall’uso del termine ‘uomo’ che vuole significare — non a caso — «specie umana». L’origine della donna (questo è anche il titolo del libro di Elaine, pubblicato da Einaudi) significa proprio l’origine della specie. La disfida di Elaine è una cosa molto seria, anche se persino il lettore più «profemminista» può ritenerla ‘esagerata’, ‘non scientifica’ (i soliti attributi che vengono dati quando una donna, con una sua teoria, ha il coraggio di contestare la cultura dominante maschile).
Negare l’importanza della terminologia è un modo molto raffinato per non accettare tutto ciò che, da parte della donna, suona come non vitti- mistico. Se si considera, ad esempio, la parola ‘dio’, tutti negheranno la ‘mascolinità’ di Dio. Dio non ha sesso: il genere del termine non conta. Ma se diciamo ‘dea’, parlando della divinità, siamo noi che esageriamo: Dea significa proprio un essere femmina. E la divinità non deve essere sessuata. Intanto l’immagine di dio Padre ha la barba e il Figlio si è fatto maschio.
Elaine Morgan infatti, fa notare proprio la confusione che il termine uomo cagiona non solo nel linguaggio, ma anche nella scienza (uomo — specie e uomo — sesso maschile). Per questa ragione la donna è sempre stata una appendice del maschio anche nell’ambito scientifico. Smentisce quindi Darwin quando afferma che ‘l’uomo è derivato dalla scimmia’ (ma, per dovere di grammatica avrebbe dovuto dire «scimmio»).
Anche se nell’intento di Darwin era dire specie, ha usato il termine ‘uomo’: di fatto, nella sua dimostrazione teorica, ha voluto intendere il maschio della specie, l’evoluzione del carnivoro cacciatore. Perno della storia dell’evoluzione, dice Elaine, rimane la figura, simile a Tarzan, del maschio preominide. Questi discese dagli alberi, scoprì una pianura erbosa brulicante di cacciagione, raccattò una pietra e divenne II Potente Cacciatore. Tutti gli scienziati evoluzionisti si muovono con questa logica: il corpo eretto? Il Potente Cacciatore doveva scrutare la preda; vivemmo nelle caverne? Il Potente Cacciatore aveva bisogno di una base cui fare ritorno. E via di questo passo. Chi non è d’accordo con la teoria darwiniana se la sbriga più facilmente: accetta per buona l’invenzione di Adamo, il quale, soffrendo di solitudine, lasciò che gli togliessero una costo- la per fabbricare Eva, o altre simili storielle. Elaine seziona la teoria maschiocentrica della evoluzione per dimostrare validamente che l’evoluzione della specie discende dalla scimmia femmina. è falso che ‘lo scimmio’ fuggendo dalla foresta attraverso la nuda savana imparasse a colpire con una pietra il gattopardo che lo inseguiva (come avrebbe potuto, ‘lo scimmio’ in fuga, rinunciare a correre con tutte le quattro le zampe?). è vero, invece, che fu storicamente necessario uno stimolo assai più forte perché scattasse quel primo meccanismo che doveva dare inizio alla evoluzione della specie. Elaine parte dalla teoria, comunemente accettata, che la storia umana ebbe inizio in Africa: 20 milioni di anni fa, nel Kenia, esisteva una forte popolazione di scimmie. Era il periodo denominato miocene. Poi venne la siccità del pliocene per dodici milioni di anni. La scimmia, in quel periodo, rischiava di morire di fame dopo la scomparsa della frutta. Aveva la dentatura più debole di quella del maschio, il quale invece si arrangiava con i crostacei delle rive marine. La scintilla scoccò quando la femmina scoprì il modo di spaccare le vongole a colpi di selce: la necessità è madre dell’invenzione. Il maschio la imitò e scoprì che con quel sasso poteva spaccare anche la testa ai nemici. Ancora: la scimmia scoprì che, per sfuggire al gattopardo affamato avendo il piccolo aggrappato alla schiena (molto meno velocemente del maschio, perciò), poteva rifugiarsi in acqua e tenersi ritta sulle zampe. A lungo andare, nell’acqua perse i peli e accumulò grasso sottocutaneo. Nell’acqua i piccoli le si aggrapparono ai capelli, allungandoglieli. Nell’acqua la scimmia divenne la scimmia nuda: cioè la donna.
Le argomentazioni portate da Elaine a sostegno di questa tesi sono numerose: dalla presenza più folta e più diffusa del pelo nei maschi, alla superiorità della donna sull’uomo nel nuoto sulle lunghe distanze, a varie altre caratteristiche, tutte ben documentabili. Ora a noi non rimane che chiederci come può essere nata la storia della ‘costola’, considerando anche che è così illogico (ammettendo una priorità nella nascita dei sessi) che sia proprio il ‘fuco’ della specie ad essere nato per primo. La continuità della specie è ‘femmina’: basta osservare una donna incinta per avere la prova di un «qualcosa di creativo in più» oltre al normale e paritario contributo che l’ovulo femminile e lo spermatozoo maschile danno al momento della fecondazione: 23 cromosomi a testa. Più ci si addentra nell’origine della specie, nella continuità
della specie, nel discorso dei sessi, meno si capisce, ‘naturalmente parlando, come il maschio si sia messo al centro dell’universo. Più si capisce come il ‘potere maschile abbia origine antichissime e radici così profonde non solo nelle strutture, ma nella psiche umana.
Effettivamente, come dice Elaine, «per l’uomo è tanto difficile rinunciare all’abitudine di vedersi centrale rispetto alla specie, quanto gli fu difficile rinunciare all’abitudine di ritenersi centrale rispetto all’universo», che persino in un discorso scientifico intorno ai cromosomi «il nostro uomo» punterà l’attenzione sul cromosoma maschile «Y». Come se si trattasse di qualcosa di eccezionale.
Su ‘Paese Sera’ del 26 agosto, uno dei «nostri uomini», Giorgio Tecce, prendendo spunto da una trasmissione televisiva che trattava il fattore cromosomico, scriveva in ‘Cromosomi, geni e sesso’, al termine
dell’articolo: « Allora forse comprenderemo meglio che cosa c’è sul cromosoma ‘Y’,». Al Tecce non è venuto minimamente in mente di porre, ad esempio, la problematica in questo modo: «Comprenderemo… quello che c’è nel cromosoma ‘X’ e che manca nel cromosoma ‘Y’». Eppure dal punto di vista biologico, una problematica di questo tipo sarebbe quanto meno altrettanto giustificata della precedente. Mi spiego: le cellule della donna (e deM’uomo) hanno 46 cromosomi che contengono i geni, cioè dei programmi. I cromosomi sono sempre in coppia: 23 pacchetti di cromosomi, quindi, per la donna e 23 per l’uomo. Dei 46 cromosomi due sono del sesso. Nella donna sono eguali e sono indicati come XX, neM’uomo sono diversi: uno è X e l’altro è Y.
La caratteristica più importante è che l’ovulo ha il cromosoma X mentre solo il 50 per cento degli spermatozoi ha il cromosoma X, l’altro 50 per cento è formato dal cromosoma Y. Se l’ovulo si incontrerà con una X, nascerà una femmina (XX), se incontrerà una Y, nascerà un maschio (XY). Da qui il fatto più affascinante e rivoluzionario: il processo di non-femminilizzazione non è immediato, come si è sempre sostenuto fino a qualche tempo fa. Mary Jane Sherfey, in ‘The nature and evolution of thè temale sexuality’, spiega scientificamente che dall’embriologia moderna si è appreso come la teoria della bisessualità del feto nel primo periodo di gestazione sia fasulla. La nuova teoria (Inductor Theory) afferma che nel primo periodo dopo il concepimento il feto è sempre femmina. Ciò avviene perché, mentre il sesso genetico è stabilito al momento della fecondazione, l’influenza dei geni non si mette in moto che in una seconda fase, esattamente dopo la 5a settimana di vita del feto. Infatti, se prima di tale periodo si asportano le gonadi fetali anche da un embrione concepito con i cromosomi xy, si svilupperà una femmina con tutte le caratteristiche sessuali, ad eccezione delle ovaie. La ricerca base di questa teoria era stata condotta dall’endocrinologo francese A. Jost nel 1953.
Il cromosoma base della cellula sessuale è quindi la X (presente in entrambi i sessi) e nell’evoluzione dell’essere umano è ancora il sesso femminile (primo periodo del feto) il sesso base. E allora, la storia della ‘costola’? Per «amor di scienza», a questo punto dovremmo parlare della costola di Eva, ma verremmo subito accusate di volere ribaltare i ruoli da chi ha mistificato qualsiasi argomentazione in funzione di un ruolo di potere.
C’è ancora altro da dire. Come ho accennato prima, si punta sempre l’attenzione sulla Y soggetto; molti, addirittura, attribuiscono a questa una concentrazione di’doti’maschili, cosa che ha permesso la supremazia dell’uomo sulla donna. Questi ultimi, però, non trovano il consenso di alcuni i quali, pur vedendo la Y nel ruolo di protagonista (primo-uomo?) dei cromosomi, non le attribuiscono caratteristiche tali da incidere sul comportamento in genere. Vediamo invece la X sesso femminile un pò più da vicino. L’antropologo Montagu in ‘La naturale superiorità della donna’, afferma: «se osserviamo al microscopio la cellula XX, la visione è limpida. Non si identificano i cromosomi XX come due cromosomi distinti in mezzo agli altri. Se osserviamo le cellule di un corpo maschile, se ne vedrà uno molto più piccolo degli altri (…) esso è simile ad una virgola». è questa virgola che dà all’antropologo l’impressione di qualcosa di mancante, un piccolo segno in meno in un disegno… Al punto che, più avanti, lo stesso Montagli, dirà: «è probabile che gli svantaggi biologici del maschio siano dovuti non tanto a quel che contiene il cromosoma Y, ma a quel che non contiene». Cita a proposito il meccanismo dell’emofilia che la donna trasmette e il maschio eredita. Poi, la minore resistenza del maschio alle malattie, la maggiore longevità della femmina rispetto al maschio (anche in situazioni economiche arretrate, dove la donna lavora moltissimo e in più partorisce). Insomma, dimostra come le XX abbiano delle caratteristiche di forza e di protezione nei confronti della propria specie femminile; quando la seconda X è incompleta (Y), le tare ereditarie del maschio (emofilia, daltonismo, calvizie, ecc.) si manifestano per la incompletezza, appunto di questa X. I geni, responsabili di parecchie caratteristiche, ne trasmettono quattro rintracciabili solo nel cromosoma Y, trasmesso soltanto da padre in figlio: crescita di pelo nelle orecchie; lesioni non dolenti alle mani e ai piedi; una specie di membrana che si forma tra le dita per cui la pelle tra il secondo e il terzo dito viene ad unirsi. Il Montagu (chiedendo umilmente scusa ai suoi compagni di sesso) afferma: «Mi piace immaginare il cromosoma Y come un cromosoma X non sviluppato, o forse come un residuo di un cromosoma X, quasi che nel corso del processo evolutivo sessuale un frammento di tanto in tanto si distacchi da un cromosoma X portandosi dietro alcuni geni sfortunati; dopo di ciò non ha la forza di impedire che gli altri cromosomi si. sviluppino, formando una femmina incompleta (…) che noi chiamiamo maschio». La X non è uguale alla Y. La donna non è uguale all’uomo. Si sa. Noi però vogliamo l’uguaglianza nella diseguaglianza. Per questo speriamo che l’uomo arrivi veramente a una parità reale con la donna; che abbandoni
cioè tutto quello che lo ha allontanato dalla sua ‘umanità’ e dalla natura: il potere, la sopraffazione, lo sfruttamento. La X e la Y contano per quello che valgono, la storia, invece, con le sue contraddizioni; ha molte altre cose da dire.