inchiesta

il tempo delle pere

“ne rivolta ne disimpegno” potrebbe essere lo slogan dei giovanissimi, migliaia di ragazzine sognano l’identificazione con la protagonista del film “il tempo delle mele”, ma non tutte… per molte altre l’adolescenza è il tempo della prostituzione e dell’eroina…

aprile 1982

Sono i figli dei figli dei fiori, della generazione “positiva”, quella fatta di protagonisti attori della storia degli anni ’60, ’68 e del femminismo. Veri marziani nei loro piumoni colorati, si atteggiano indifferenti all’inquietudine di genitori così impegnati: il loro slogan potrebbe essere “né rivolta, né disimpegno”, ma non amano essere definiti. Una generazione che si tiene decisamente lontana dalle ideologie, che rifiuta tentazioni impegnate e a lunga scadenza preferendo porsi piccoli obiettivi, ma realizzabili, in una visione della vita del tutto pragmatica. Parlano dei professori di scuola come di persone poco attente alla vita scolastica e troppo impegnate a spiegare e capire il perchè delle cose: “Seguire le idee del mio professore di storia — dice Marianna del liceo Ma-miani di Roma — mi annoia un pò, preferirei apprendere solo quello che potrebbe essermi utile poi nella vita… insomma per il futuro, il resto si perde nel tempo… “.
Non trasformano le loro convinzioni in protesta, perentoriamente esprimono opinioni lapidali con una disinvoltura che rivela sicurezza e menefreghismo dei giudizi altrui. Sono i ragazzi del “Tempo delle mele”, quelli che hanno fatto impazzire mass-media e rotocalchi senza sforzarsi troppo per farsi pubblicità. Il loro simbolo si sintetizza nello sguardo smaliziato e interrogativo di Vie la protagonista del “Tempo delle mele”, nella vita Sophie Marceau.
Migliaia di ragazzine e di ragazzini sognano di lei identificandosi nel suo personaggio a tal punto, da imitarla nelle scenate di famiglia: “Da quando ha visto il film — dice una giovane madre di 32 anni — si vergogna a portarmi alle feste con lei, preferisce andare da sola oppure si fa lasciare a metà strada”.
Le salopette vestite da Vie durante la ripresa del film, hanno fatto scatenare le catene d’abbigliamento così disorientate dal fatto che i giovanissimi sembrano non amare affatto le “divise” e la moda. Un tam tam dunque tra quindicenni che ha radunato code interminabili davanti ai cinema che proiettavano il film. Scrivono lettere d’amore al loro idolo Vie e sembrano veramente identificarsi con i problemi rappresentati da quel personaggio: incomprensioni con la famiglia, scuola, amici, spensieratezza, amore.
Per intervistarli è necessario montare i pattini a rotelle e rincorrerli lungo i viali del Pincio: scivolano a grappoli lungo le strade romane con l’attenzione e una noncuranza per quanto li circonda, tipica di chi è impegnato a raggiungere una meta che non ama comunicare. Le ragazzine, splendide miniatura in diretta dall’America, colorate come coriandoli, sembrano non aver nulla in comune con le nostre travagliate adolescenze. Vissute nell’emancipazione, protagoniste dei diverbi familiari, delle separazioni e delle riconciliazioni, sembrano tutte piccole geni del 2000: le tragedie familiari sono per loro già sintesi.

I giochi educativi hanno fatto di questa generazione di quindicenni dei piccoli tuttofare soggetti di un tecnicismo che pone al centro dell’universo la risoluzione del quiz del “cubo magico”, relegando ai margini quei processi speculativi che tanto affascinavano la nostra generazione.
veronica: “non mi va dì fare l’amore”
Veronica, 15 anni, bionda, capelli un po’ mossi, taglio alla Vie, occhi verdi, magrissima, jeans e maglione bianco con rigoni blue e rossi lungo le braccia, mi guarda curiosa e attenta: i suoi occhi per un attimo anticipano un sorriso che appare schietto al termine della mia domanda.
Come giudichi tua madre, in cosa realmente ti senti differente, cosa pensi del fatto che è cosi attenta ai problemi delle donne, al femminismo, alla storia…
Spesso penso che spreca energie inutilmente… nelle liti con Franco (il padre) per esempio… potrebbe evitare tante discussioni che alla fine non concludono molto’. Penso che potrebbe vivere meglio se cercasse di essere più distesa… proprio il contrario di quello che dici tu: meno attenta alla storia, ai problemi, alle teorie… Il femminismo? Ne ho sentito parlare molto, come del ’68. Per me è come se appartenesse ad altri tempi, come la rivoluzione francese, solo che quella l’ho studiata a scuola e il femminismo l’ho imparato a casa… comunque penso che sia stato importante anche se un po’ esagerato, e che voi siete state molto più coraggiose di noi quando avevate la nostra età… Insomma, per quel che ne so, avete lottato per una serie di diritti che noi oggi abbiamo senza neanche accorgercene. Io con le mie amiche o con i miei amici tanti problemi non me li pongo, non so, forse perchè in parte li avete risolti voi e non c’è altro da fare… Per esempio non trovo differenza nei sessi, mi trovo bene con tutti… Quando ero alle elementari mi ricordo che i ragazzini stavano sempre per conto loro. Mia madre pensava che io mi potessi sentire a disagio…, ecco, le differenze tra me e lei nascono da queste piccole cose… Io mi ricordo invece che non rispondevo mai alle sue domande e che pensavo che se i bambini giocavano a pallone tra loro, era perchè avevano dei problemi di timidezza con le bambine e mi dispiaceva… Oggi, per esempio, penso che non ci siano differenze con i ragazzi, almeno io mi sento così…
E nell’amore?
Alcune mie amiche pensano che l’amore è fatto anche di sesso, per cui se non vai con quel ragazzo che ti piace, non è amore. Per me è diverso: una persona può piacermi per molto anche senza avere rapporti sessuali…, penso che ci sia tanto tempo a disposizione per poter avere tutte le esperienze del mondo, e non capisco perchè bisogna sempre precipitarsi per avere tutto come fanno molte della mia classe. No, questa cosa non ci divide, solo che tra noi non la pensiamo tutte alla stessa maniera…
… comunque siamo in tante a pensarla come dico io…, ci scambiamo le idee, quando stiamo insieme il sabato o quando ci vediamo fuori dalle classe e ci raccontiamo le nostre storie: di noi sappiamo tutto, senza riserve…
Non esistono nemmeno riserve per un ‘amica del cuore ? No, e poi io ho un amico del cuore con il quale parlo molto bene, ma sto bene anche con gli altri… e anche da sola.
Le vacanze le trascorri ancora con tua madre ?
Dagli otto ai tredici anni sono andata sempre in colonia, queste organizzate, credo dal comune. Sono stata anche in Francia: facevamo campeggio oppure, quando ero più piccola ci portavano in una specie di pensione dove eravamo tutti bambini e qualche grande che ci guardava…, poi andavo anche con Nadia (la madre), ma in colonia mi divertivo di più. Adesso da due anni vado per conto mio con i miei compagni di scuola. Di solito partiamo in treno… no, l’autostop non mi piace, troppo rischio e troppa fatica, di solita partiamo in coppie…, alcuni genitori lo sanno, altri no. Certo per le autorizzazioni dei genitori bisogna faticare, cominci a discuterne a Natale per raggiungere le trattative a Pasqua, poi c’è il ricatto della promozione…, io comunque la spunto sempre bene…, quest’anno parto con Alessio con il quale filo da sei mesi e sa che non mi va di fare l’amore…”.
Su cinquanta quindicenni intervistate a Roma, 28 hanno detto di volersi sposare in chiesa, 12 con il matrimonio civile, 10 di risolvere con la convivenza. In un’indagine condotta invece da Radio Popolare di Milano il 55% (su 750 intervistati) tra ragazzine e ragazzini affermava di volere un matrimonio con l’abito bianco e tanto di cerimonia. “Non mi piace tanto sbattermi per il centro di Roma — dice Francesco 16 anni, terza liceo scientifico — o d’estate per le spiagge a cercare di “rimediare”: preferisco stare con la mia ragazza, mi dà molto di più, sono più tranquillo, preferisco sognare…”. Alla mancanza totale di valori definiti, sembra sostituirsi, per questi figli dell’emancipazione di sinistra, la storia d’amore tra le nuvole, l’illusione, una favola che viaggia su otto rotelle lungo le discese di Villa Borghese: ma i quindicenni sono veramente tutti mele acerbe dalla “testa fredda” per la loro capacità di essere responsabili della propria vita, di “tenere i piedi a terra”, come ha detto un giornale francese?
“un buco e una marchetta per stare un po’ tranquille”
In effetti il ritratto di questa generazione è tutt’altro che semplice: anche se il semplicissimo ossia, il superficiale è il connotato più diffuso. Basta abbandonare i licei classici e scientifici e avvicinarsi agli istituti tecnici o ancora peggio alla periferia di Roma come della gran parte delle città italiane per avere un’immagine completamente diversa dei giovanissimi. Basta dirigere l’obiettivo sui “muretti”, antica istituzione di periferia, luogo d’incontro di disadattati o per chiacchierare, per trovarsi, per soffermarsi un attimo e chiedersi di che generazione stiamo parlando quando si pensa al tempo delle mele, se non di una fantasia che ci piace generalizzare perchè è la più comoda e la meno preoccupante. Le macchine da presa in periferia sembra che si siano fermate con la morte di Pasolini. Ma “dai ragazzi di vita” a oggi sono cambiate molte cose: in un libro sulla delinquenza minorile il criminologo Gaetano De Leo dice: “Era un mito (quello dei ragazzi di vita) più letterario che reale… ora questa gioventù sbandata si è indurita…, ci sono minori giustificazioni con se stessi”. Nelle statistiche sulla delinquenza minorile, è diminuito il numero dei condannati per furto, ma è catastroficamente aumentato quello dei minorenni rapinatori, ricettatori, mentre si è triplicato quello degli spacciatori di droga.
L’elemento nuovo, di questi ultimi cinque anni, è caratterizzato invece da una forte percentuale di ragazzine minorenni dedite allo spaccio e al furtarello oltre che alla prostituzione. Entrare nel loro mondo è difficilissimo: se in qualche modo le ispiri fiducia ti raccontano anche tutta la loro vita, altrimenti rischi di essere ferocemente insultata. Rintracciarle non è impossibile, cambiano giro, si rinnovano, ma i punti di aggregazione sono sempre gli stesse.
Sono stata accompagnata da una ragazzina della Stazione Termini, una del giro della prostituzione minorile, in un posto allucinante dalle parti di Centocelle, in una piazza dove tutto immagineresti, fuorché di essere in una città monumentale come Roma. S.M., 13 anni, scappata di casa, vive tra Centocelle e la stazione: “No, io non mi prostituisco — mi aveva detto quando sono andata a cercarla sotto i portici di Termini — faccio solo compagnia ad una mia amica e l’aspetto quando si va a fare una marchetta, ma se vuoi te ne presento tante che lo fanno per farsi un buco e stare un pò tranquille”. Poi una volta arrivate in quella piazza dalle case basse, basse e sporche, aveva aggiunto: “I miei amici sono quelli del bar, non aver paura, sono più grandi di me, ma non mordono… “. Aveva concluso battendomi una mano sulla spalla come nei films americani.
Al bar d’angolo sulla piazza alle sette di sera, mentre nel quartiere sembra ci sia il coprifuoco, addossati al muro saranno una decina: più donne che uomini. Il femminismo ha cambiato anche la periferia, solo che conquistarsi il quartiere di notte lì ha ben altro significato e l’accesso è vietato a “donne di altro stampo”. Soprattutto le ragazze (tra i 15 e i 16 anni), giubotti in pelle o di lana, pantaloni stretti, se non fossi stata presentata da una di loro, mi avrebbero volentieri sputato addosso, se non altro per la differenza nell’atteggiamento e nel vestire, nonostante che io non avessi che un paio di jeans e un maglione: ma lì le differenze sono segnate sulle facce, negli sguardi che raccontano una vita diversa e senza parole.
Mi hanno tempestata di domande, soprattutto una ragazzina mora, riccia e con lo sguardo forzatamente cattivo che mi guardava sfottò come per dirmi: “Facile per te indagare sulla vita degli altri”. Mentre andava su e giù lungo il muro adiacente al bar e fumava nervosamente, mi si piantò davanti indicandomi con le mani il numero 7: “Per sette settimane — raccontava — ho fatto il palo a certi che si bucavano, per guadagnarmi qualche spiccio per il panino. Non sono di qua, io, vengo da un paese del sud, ma il romano adesso lo parlo bene… Mio padre era uno stronzo e me ne sono andata per conto mio… mia madre aveva altro a cui pensare…, ho sette fratelli io, e tutti più piccoli. Poi gli spicci da darmi non ce Volevano più, allora hanno cominciato a offrirmi un po’ di ‘robba’, loro se ne facevano un pò ‘ di meno, e ce n ‘era per tutti. Cosi mi è passata la fame e sono anche dimagrita di dieci chili. Certo adesso non me la danno più per fare il palo e allora ogni tanto vado alla stazione, rimedio un centinaio di mila lire con tre quattro marchette, e mi posso comprare una o due dosi, secondo i prezzi.
… Di casa non ne ho bisogno, perchè la notte sto ai giardinetti e il giorno vengo qui…, la mattina dormo dove capita, ho tanti amici qui che hanno la casa, sto bene… “.
Un’altra, con gli occhi cerchiati la guarda intensamente e dice: “Io bene non ci sto…, quando entri nel giro non ne esci più perchè dovresti fare tante marchette da rimediare i soldi per farti disintossicare…, poi una volta che hai i soldi ti ricompri la ‘robba’ e continua così. Io ho cominciato tre anni fa. Avevo 15 anni, mi sono sconvolta e poi mi hanno violentata in tre e che facevo secondo te, li denunciavo ? Qui non si denuncia nessuno e poi, non è successo solo a me, qui di ragazzine violentate ne trovi tantissime… “. E mi venne in mente quando proprio in periferia a Roma qualche tempo fa, durante un’inchiesta su una violenza fatta ad una sedicenne, un’altra ragazzina di 14 anni, fidanzata dello stupratore mi disse: “Non credo che lui ha violentato quella, se voleva sfogarsi c’ero io, non poteva avere bisogno d’altro”. Affermando di fatto una teoria che sembrava appartenere ai libri di sociologia e che invece era una realtà che si fa fatica a riconoscere: quella che in questi sobborghi è difficile che una giovanissima oggi sappia riconoscere una reale differenza tra stupro e atto sessuale. E la mia interlocutrice mi sbatteva di nuovo in faccia questa verità, ribadendo, quasi seguisse i miei pensieri: “Ma comunque, violentata o no, che differenza fa? La nostra vita non cambia, qui stiamo tutti nella merda, uomini… e donne… da qui non sì esce!”.
Ai gabinetti della stazione Termini G.T., sedici anni, occhi neri, capelli a mezza lunghezza, frangettone mi parla anfetaminica mentre si guarda allo specchio e si passa con rabbia un rosso fortissimo sulle labbra: “A me non me ne frega niente di vivere, adesso sto qui davanti lo specchio e domani a fare una marchetta, casomai dopo mi posso comprare un bel paio di scarpe e un po’ d’ero da spararmi la sera e se ci rimango, non me ne frega niente, io sto bene, l’eroina mi fa bene e non mi importa quanto devo vivere, tu casomai camperai fino a 70 anni e chissà quante te ne porterai dietro, io sto meglio di te, da quando mi buco (mi chiede di accompagnarla al bagno, ho il terrore che mi si faccia un buco davanti e dì fare la figuraccia della perbenista che sviene, invece fa solo pipì e prosegue) ho un sacco di gente intorno, ho anche l’assistente sociale e te che mi vieni ad intervistare. Prima quando facevo la parrucchiera a 35.000 lire la settimana non mi si inculava nessuno… “.
“quando mi buco mi sento forte”
Ma l’eroina non appartiene solo all’emarginazione della periferia, appartiene anche ai fratelli e alle sorelle del tempo delle mele. Ai giovanissimi figli dei vicini di casa, di amici, di conoscenti e anche ai figli delle mamme in visone, quelle delle zone ricche, che ergono inutilmente ricche cliniche in difesa del proprio dramma. Qualcuno ha detto che questa peste colpisce indiscriminatamente. E tutti assieme, questi ragazzini dai movimenti rallentati li ritrovi a Piazza Navona o a Santa Maria in Trastevere. Li distingue dai coetanei della periferia la possibilità di poter disporre facilmente di denaro e il senso di sicurezza rispetto alla vita che questo privilegio offre loro: “Pensare di disintossicarti e di deciderlo quando vuoi, con una famiglia alle spalle che ti protegge e ti manda nelle migliori cliniche della città — ha detto una ragazza di 17 anni a S. Basilio e che lavora in una tintoria — è senz ‘altro un privilegio che in borgata è difficile trovare: qui ci buchiamo con ì soldi del nostro lavoro o con la prostituzione o con il furto, e alle spalle non abbiamo nessuno, solo la solitudine… ‘. Li distingue anche l’atteggiamento più superbo quasi a voler dimostrare che l’eroina è come la seconda rivoluzione, il secondo mito (dopo la “rivoluzione perduta”, quella del ’68) che bi-
sogna avere coraggio di affrontare: “Mi piace farmi d’eroina perchè mi apre il cervello e mi dà la possibilità di farmi una vita tutta mia che non entra e… bisogna avere coraggio, sì, perchè ti metti in una cosa da dove puoi anche non uscire più, però lo scegli… e scegli un altro mondo dove non potendo cambiare le cose, cambi tu e conosci gente come te, ma intorno non cambia niente, ma in fondo alla fine non lo sai e te ne dimentichi e vivi per te, solo per la tua vita che è diventata altro e si sta bene così, è bello, è vivere”. “Quando ti senti diverso — dice una ragazza dei Parioli (uno dei quartieri più chic di Roma) — per forza che ti senti di fare una rivoluzione e probabilmente lo è, solo che fa paura…Io ho un fratello più grande che crede di sa-pere tutto, che ha fatto le manifestazioni, lui ha piena la testa dì cose e dì teorìe e io penso che quella terapia li è peggio del metadone, ti riduce una cavia e non sai neppure più quello che dici… Forse io non faccio la rivoluzione, ma almeno ho il coraggio di dire che non so chi sono e non sputo sentenze…, però quando mi buco, mi sento forte, non è vero che ci si sente deboli perchè si ‘cede alla tentazione ‘. Se lo fai, è perchè ne sei convinta e sei anche convinta di stare dalla parte giusta, di essere migliore di questa vita di merda”. Marta 15 anni di piazza Navona non è d’accordo: “Io quando mi faccio uso il cervello e non mi piace la moda quella di chi si sente figa perchè si fa: una volta una mia amica che pensava che bucarsi era paraculo, ha detto a quello che stava con lei di fare il frodo perchè andava di moda… E così, fra noi c’è gente che si buca solo per fare il figo e poi ci rimette le penne perchè non ci capisce più niente… Quando l’eroina la usi con convinzione è diverso, queste puttanate non ti vengono in mente… fino all’anno scorso io quando tornavo a casa e ero fatta, prima dì rientrare mi rimettevo a posto davanti lo specchio dell’ascensore per non far capire che ero fatta, cercavo di assumere espressioni normali… adesso non lo faccio più, ho capito che quello era come accettare una vita che invece rifiuto e allora torno strafatta oppure non torno per niente…, per essere diverso devi essere diversa nella testa, fare una vita diversa, pensare cose diverse, altrimenti… ”
Discorsi lucidi e sconclusionati in uno stesso tempo fatti da ragazzine della stessa età di un tempo che va da quello delle mele a quello di un frullato misto di cose belle e brutte dal quale non sono escluse le “stelle filanti” (così le chiamano in gergo le protettrici di una casa di prostituzione per ragazzine dai 12 ai 15 anni) quelle dagli abiti di Fiorucci e i collant coloratissimi, meta ambitissima degli stranieri e dei benestanti nostrani. In Italia sono circa centomila. Anche loro del tempo della frutta mista.