libri

“noi e il nostro corpo”

ottobre 1974

Ogni nuova edizione offriva nuovi argomenti, rispondendo ai suggerimenti e alle critiche avanzate da diverse donne. In sintesi, anche se l’ultima edizione fu curata da un collettivo di 12 donne, più di 50 presero parte all’elaborazione e un’altra cinquantina di persone contribuirono con consigli e aiuti. L’ultima versione offre in maniera semplice e diretta informazioni ed esperienze vissute su una varietà di soggetti, dall’alimentazione alla ginnastica, dalla sessualità alle malattie veneree, dal controllo delle nascite alla gravidanza e al parto. Oltre all’interesse indubbio per il contenuto di questo volume, mi sembra che la sua importanza derivi anche – e forse soprattutto – dall’essere un notevole esempio di un modo diverso di lavorare insieme. Fin dall’inizio sia il gruppo originario del 69 sia le donne che successivamente ne fecero parte, diedero molto peso non solo a ‘cosa’ stavano producendo e a ‘come’ (cioè senza parcellizzare le mansioni e senza concentrare i poteri decisionali nelle mani di un’elite) ma soprattutto al modo in cui l’individuo e il gruppo vivevano il loro lavoro. Non venne cioè trascurato l’aspetto emotivo del lavoro inteso sia come rapporto individuo-mansione, sia come rapporto tra compagne di lavoro. La continua apertura all’esterno fece sì che il libro diventasse sempre più l’espressione non solo delle esigenze individuali delle autrici ma anche di quelle della comunità per cui il libro era scritto. Quanto diventi potente la spinta ad imparare quando ciò che si studia ha diretta rilevanza per sé e per gli altri, è efficacemente illustrato in questo paragrafo:

«Innanzitutto scoprimmo che potevamo imparare altrettanto bene dai libri di testo, dalle pubblicazioni mediche, dai medici stessi, dalle infermiere e dalle nostre esperienze. Ma una volta appreso ciò che gli esperti avevano da dirci, scoprimmo che avevamo ancora molto da imparare l’una dall’altra. Per esempio molte avevano studiato qualcosa sul ciclo mestruale nelle ore di scienza e biologia ma la maggior parte di noi non se ne ricordava più. Quando, lavorando insieme, leggemmo che tutte le ragazze tra i dieci e i diciotto anni hanno le prime mestruazioni, cominciammo a parlare del nostro primo periodo mestruale. Scoprimmo che per molte di noi l’inizio del ciclo mestruale non era stato qualcosa di normale, ma al contrario, ci eravamo spaventate, ci era sembrato imbarazzante e misterioso. Ci rendemmo conto che quello che ci avevano detto sulle mestruazioni e anche quello che non ci avevano detto, e persino il tono di voce che avevano usato, che tutto questo, insomma, aveva influito sulla nostra consapevolezza di essere donne. «…Imparare a conoscere il nostro corpo in questo modo cambiò radicalmente la nostra vita e noi stesse. è splendido studiare, quando ciò che proviamo emotivamente e ciò che | impariamo sono due esperienze parallele, strettamente legate che si integrano a vicenda. Scoprimmo che non avremmo I mai imparato nulla se ci fossimo sentite j come semplici ‘recipienti’ che dovevano I accogliere un certo numero di nozioni e ci accorgemmo che le nostre reazioni e la partecipazione attiva di ciascuna di noi a quanto andavamo imparando – così come il discutere insieme – si rivelavano | strumenti validi e utili per accogliere criticamente ciò che gli esperti ci dicevano. E questo modo di studiare ci è utile ancora oggi in ogni campo della nostra esperienza».

Come questo tipo di apprendimento di gruppo stimoli e spinga ad una integrazione tra conoscenza e azione da un lato, e a una presa di coscienza di come la esperienza personale s’inserisce nel collettivo è ben espresso in queste citazioni prese dalla introduzione:

«Fin dall’inizio del nostro lavoro, prima per il corso e poi per il libro siamo state incoraggiate e stimolate dalla gioia che provavamo nell’acquisire nuove conoscenze. Scoprire il nostro corpo e le sue necessità, incominciare ad assumere il controllo di questa parte della nostra vita, ci ha dato un’energia che si è trasmessa al nostro lavoro, alle nostre amicizie, ai nostri rapporti con uomini e donne e per alcune di noi, anche alla nostra vita matrimoniale di genitori: «…L’ignoranza, in cui sono state tenute le donne per secoli nei riguardi del loro corpo ha sempre avuto una conseguenza fatale: la gravidanza non desiderata. Fino a poco tempo fa la gravidanza era inevitabile, la biologia era il nostro destino, perché il corpo della donna è destinato a ingravidarsi, a partorire, ad allattare, a ciò che tutte noi, o almeno a la maggior parte di noi, hanno fatto da sempre. Donne coraggiose e generose come Margaret Sanger incominciarono dall’inizio del secolo XX a diffondere e rendere accessibili a tutte i metodi di controllo delle nascite, liberandoci da una vita di gravidanze ininterrotte. Ma non altrettanto rapidamente è morta l’idea che la donna innanzitutto deve avere dei figli; tanto è vero che nel 1969, quando iniziammo il lavoro per questo libro, scoprimmo che molte di noi rimanevano incinte senza desiderarlo. Soltanto quando ci impegnammo seriamente nella ricerca e nello stu dio del nostro sistema riproduttivo, dei metodi di controllo delle nascite, dell’aborto, delle leggi che regolano i metodi contraccettivi e l’aborto, soltanto quando prendemmo coscienza di ciò che significava per noi l’essere donne, soltanto allora ci rendemmo conto che potevamo decidere se e quando volevamo figli. Questa consapevolezza ci ha liberate, perlomeno in parte, dallo costante e snervante paura di rimanere incinte. Le nostre gravidanze sono state più felici perché non ci erano più imposte: abbiamo potuto sceglierle e viverle con entusiasmo. Anche il nostro rapporto con i figli è migliorato, perché lo sceglievamo noi e non ci era più imposto dal destino. Abbiamo così scoperto la possibilità di disporre di uno spazio vitale più ampio in cui lavorare, in cui dispiegare le nostre forze, le energie e i talenti che sono in noi, per svolgere TI lavoro che amiamo»….«In secondo luogo il nostro lavoro ci consentì di dare un giudizio sulle istituzioni che-dovevano occuparsi della nostra salute: ospedali, cliniche, medici, scuole per medici e infermiere, uffici d’igiene, organismi mutualistici e così via.
Alcune di noi analizzarono per la prima volta con occhio critico le istituzioni esistenti. Fu per noi un’esperienza politica fondamentale: scoprire che non disponevamo di quasi nessun controllo sulla nostra vita e sul nostro corpo, uscire dall’isolamento per imparare l’una dall’altra le cose di cui avevamo bisogno: sostenerci reciprocamente nel chiedere i cambiamenti che il nostro nuovo atteggiamento critico ci indicava come necessari. In quel momento abbiamo preso coscienza del nostro potere in quanto forza politica e sociale in grado di operare dei cambiamenti».

Un altro aspetto interessante di questo lavoro riguarda il modo in cui l’impegno di queste donne a ‘non sacrificare al lavoro i rapporti fra noi’, come avviene spesso per gli uomini quando lavorano insieme»; cioè ad offrire l’un l’altra sentimenti di solidarietà e sostegno reciproco, abbia dato loro la possibilità di aiutarsi a crescere e a realizzarsi. Seguendo l’ideologia femminista che dà molta importanza a come le persone sono, si trattano e interagiscono tra di loro, oltre a ciò che fanno, esse hanno applicato alcuni dei principi che sono al centro del processo creativo di gruppo. Uno dei metodi psicologici più efficaci nel favorire la creatività di gruppo, chiamato Synectics arriva infatti a liberare le forze creative di ogni individuo e a coordinarle in una elaborazione collettiva stabilendo alcune regole che favoriscono il formarsi di un clima di fiduciosa cooperazione. Le regole obbligano i membri a trovare qualcosa di positivo in ogni idea espressa da chiunque su un argomento prescelto, prima di poter discutere su cosa manca all’idea per essere valida. In tal modo si cerca di diminuire l’abitudine (acquisita da quasi tutti noi in questa società competitiva e individualistica) a stroncare il contributo degli altri facendone subito risaltare i dati negativi. Di solito criticando i nostri simili ed essendone ugualmente prontamente rimbeccati, noi blocchiamo in noi stessi e in loro la genesi, di nuove idee e sensazioni. Solo in un clima in cui l’individuo non ha paura di rendersi ridicolo, di essere giudicato, ecc., può lasciarsi andare ad esplorare idee magari strambe ma che possono contenere il germe di una soluzione efficace. Inoltre una atmosfera di cooperazione e mutuo sostegno permette di aggiungere a una prima idea rozzamente espressa il contributo di altre idee affini, in modo che il prodotto diventi veramente una creazione collettiva. Avendo saputo creare e mantenere
quest’atmosfera, nonostante gli inevitabili conflitti e problemi, il gruppo di Boston ha saputo produrre qualcosa di valido per tutte noi. In questo senso il loro operato ci offre precise indicazioni su come possiamo lavorare insieme per meglio crescere individualmente e al tempo stesso operare efficacemente in quanto forza politica per i necessari cambiamenti sociali.