povero padrone è rimasto senza soldi….

gennaio 1976

a Marsciano a 30 chilometri da Perugia una piccola fabbrica tessile, che produce divise militari, è stata occupata per tre mesi e mezzo, da settembre a metà dicembre. Ho incontrato Barbarella, una delle 50 operaie della Formelis che dopo cinque mesi che non ricevevano stipendio si sono rivolte al sindacato. «Non ci siamo rivolte al sindacato prima per paura. C’era diffidenza e si cercava di risolvere il problema nel modo più semplice».

Le operaie erano sottopagate e non venivano versati i contributi; se una di loro si ammalava il Signor Marini, il proprietario della fabbrica, le aiutava con le spese per la cura. Nella fabbrica non c’era nessun tipo di controllo sanitario: «Se c’era l’alcol e un po’ di cotone e una scatola di cerotti nella cassetta del pronto soccorso era già tanto».

Lavoravano nove ore al giorno: «Il signor Marini diceva che era meglio, così il sabato lo avevamo libero, ma in realtà c’erano un mucchio di consegne da fare, così che spesso si lavorava lo stesso» racconta Barbarella: «Io stiravo 150-180 cappotti militari al giorno. I cappotti dei soldati sono pesantissimi e la sera quando tornavo a casa avevo proprio le ossa rotte». All’inizio lo stipendio veniva pagato regolarmente, poi con sempre più grandi ritardi ed infine non veniva più dato. «Quando eravamo sole fra noi tutte protestavamo e ci lamentavamo, ma come arrivava Marini nessuna fiatava, avevamo tutte tanta paura. Un giorno abbiamo deciso di parlargli. Quando è arrivato le altre operaie mi hanno spinto avanti. Gli ho detto che la situazione era insostenibile e che ci doveva pagare. Marini aveva sempre una gran fretta. Ci faceva vedere delle carte, dei conti e ci diceva che doveva correre ad un appuntamento proprio per discutere della fabbrica e trovare una soluzione. Insomma non si riusciva mai a capire molto, Un giorno ci ha mandato un nastro registrato, Ci diceva che non aveva più soldi che però gli dovevano arrivare. «Questo stronzo di Stato deve pagare» proprio così ha detto. Ci pregava di collaborare e di aver pazienza. Giurava, sulle sue due piccole bambine, che lui avrebbe risolto tutto, magari avrebbe firmato assegni in bianco e sarebbe finito in galera pur di pagarci. Si rivolgeva a noi chiamandoci «figliole mie» (Marini avrà una trentina d’anni io ne ho 49). Alla fine del nastro, (45 minuti) eravamo tutte commosse, alcune di noi avevano gli occhi umidi dal pianto». Dopo cinque mesi che non ricevavamo stipendio, un’operaia ha preso l’iniziativa di rivolgersi alla camera del lavoro. «Ora lo posso confessare, ma quel giorno quando sono arrivata in fabbrica e ci ho trovato un sindacalista ho detto, per mettere le mani avanti, «e chi l’ha chiamato?». Le operaie erano sempre state sconsigliate a chiamare il sindacato che, veniva loro spiegato, avrebbe chiuso la fabbrica per irregolarità e sarebbero rimaste tutte senza lavoro. Se invece aspettavano ed avevano pazienza la situazione si sarebbe potuta risolvere. Marini aveva ricevuto il lavoro in subappalto. C’è una vera mafia che il governo avalla dietro questo sistema. C’era stata un’asta infatti che partiva da circa 35.000 lire a divisa e avevano dato l’appalto per 12.500 lire. Prima di dare il lavoro a Marini c’era una serie di intermediari così che lui si ritrovava a fare una divisa per 6.000 lire. Il calcolo fatto dal sindacato rivela che se Marini avesse rispettato il contratto per le operaie e pagato i contributi, l’azienda ci avrebbe rimesso 30-40 milioni l’anno. Dunque la soluzione in questi casi è il sottosalario, ricatto diffusissimo fatto agli operai più poveri e meno organizzati.

Un’operaia racconta: «Ho lavorato per tanti anni a domicilio 15 ore al giorno. All’inizio la macchina la prendevo in affitto dalla ditta per la quale lavoravo, poi me la sono comprata a rate con un sacco di sacrifici. Mia suocera mi aiutava a tenere i bambini, la casa e a preparare i pasti. I miei figli ora sono grandi, purtroppo tutti e due disoccupati, ma non hanno più bisogno della mia presenza costante a casa. Ho deciso di andare in fabbrica per poter avere quell’assistenza, mutua; pensioni etc. All’inizio mio marito non era tanto d’accordo preferiva che io rimanessi in casa, poi s’è convinto. Il suo stipendio basta solo a sfamarci, ma ci sono mille altri bisogni. Se non si fosse risolto il caso della Formelis avrei dovuto riprendere il lavoro a domicilio».

Non è stato facile per le operaie lottare per i loro diritti; oltre ai soldi persi, alla paura della disoccupazione, dovevano affrontare quelli che le giudicavano delle fanatiche che si volevano dare solo delle arie. Alcuni mariti erano proprio contrari all’occupazione della Formelis, altri, dalla fabbrica vicina dove lavoravano, mandavano la colazione alle loro mogli che passavano la notte in fabbrica. Alcuni anni fa lo stesso Marini aveva fatto portar via durante la notte tutti i macchinari di una fabbrica che aveva; la mattina le operaie si erano recate al lavoro e non avevano trovato più niente.

Ora la Formelis è stata rilevata da un altro proprietario e dovrebbe riprendere la sua attività questo gennaio. Le operaie dicono: «Ora non abbiamo più paura, non sarà più così facile fregarci. Se ci dovesse ricapitare di non ricevere uno stipendio, o subire qualche altro sopruso, non esiteremo più a rivolgerci subito ai sindacati».