creatività

ricamo a penna

luglio 1978

ho dedicato a questa mia ricerca quasi due anni di lavoro. Durante questo tempo ho fermato le immagini che mi venivano in mente come per lievitazione con un segno grafico altrettanto lento e accurato. 
Un mese per disegnare un urlo, per delineare il piumaggio di un’arpia sconosciuta, che ho voluto disegnare come se l’avessi vista il giorno prima appollaiata accanto alla mia porta.
Le immagini non sono datate anche se rimandano a forme e fisionomie delle epoche che le hanno prodotte; ho inventato visi e corpi assiri, etruschi, semitici cambiando i volti da come ci sono giunti attraverso la cultura degli ultimi seimila anni. 
Ricercando, queste nuove immagini, quasi un gioco di contraffazione, poi ho scoperto che tutte queste arpie, erinni, sirene, che andavo ricamando, con la penna assomigliano alle donne che mi sono intorno: alcune si sono riconosciute, altre sono state riconosciute.
Pur non essendo voluta fin dall’inizio, questa mi pare la, logica conclusione del lavoro, partito come ricerca di identità mia, che è insieme bisogno di riconoscermi nelle altre e necessità di verificare con loro la volontà di recupero di un passato attraverso, il tempo che ci separa dall’essere liberamente noi stesse.
Ho recuperato ora con ironia, ora con angoscia, le figure mitologiche che più mi sembrava indicassero tempi e modi di essere diverse. Nello stesso tempo ho lasciato le fattezze ingabbianti e deformanti del corpo-uccello-pesce-leone, ricordo di antiche libertà di volare, nuotare, di essere forti.
Ho tolto l’aspetto ieratico dei prototipi.
Mi sono divertita a disegnare ali di fantasia: piume, di piante di bosco, piume di vestaglie liberty.
Ho disegnato donne contente dei loro sei seni, ricordo di passati poteri; dal corpo potente e muscoloso di antiche belve di pelo di fango, di moaire. Grandi ali e corpo, di lupa, ghigni ironici, facce stupefatte, sono state la prima parte del mio lavoro.
Poi la mia volontà di gioco e di ironia è finita.
Negli ultimi mesi di «personale» difficile ed agitato le mie arpie hanno cominciato ad urlare: urli bloccati dal tempo, come quelli dellee erinni prima del loro tramutare in consolatrici. Urla al vento, al cielo, alle nuvole, agli stagni.
Ed i corpi di nuovo gabbie feroci, zampe d’uccello avvinghiate, unica azione la rabbia, fuori dal tempo, contro niente.
Disegnare è stata una fetta del tempo che ho tagliato per me dal mondo intorno, dal lavoro ufficiale di architetta-burocrate, dal mondo esterno in cui ho paura anche solo di fare una tranquilla passeggiata pomeridiana, dai rapporti affettivi in cui non sono mai abbastanza quello che mi si chiede, troppo tutto ciò. che non mi viene richiesto.
Ed è stato anche un distaccarmi dal movimento come impegno collettivo, per darmi una base da sola. 
La spinta l’ho avuta dà un anno di pratica di gruppo con altre donne che fanno grafica e dipingono.
Era il «gruppo dell’immagine», nato come necessità di confronto, tra noi e con le altre, insabbiato perché i nostri tempi erano diversi e per altri mille motivi, come l’incapacità di oltrepassare il muro dell’autocoscienza per andare a fare altro, trovare una comune necessità operativa.
Il mio fare nasce da questo momento di confronto ancora interno, in cui non avevamo ancora il coraggio dell’autocritica espressa rispetto ai nostri prodotti individuali. Il tema dominante dei nostri incontri
è stato quello dell’identità, che ho continuato a indagare,
Il tema del mito è caro un po’ a tutte noi del gruppo di origine; Giovanna aveva già trattato il tema di Medusa, Cecilia faceva fumetti sugli antichi costumi delle donne etrusche, Laura disegna da anni sul tema della donna, con attenzione al passato. Giovanna, la mamma del gruppo, mi ha dato molto aiuto psicologico.
Adesso che il lavoro è finito, i disegni esposti al pubblico, osservo e parlo con le compagne; spero che serva a farle sorridere anche se presento loro le mie, le loro urla di Erinni, a ricordare insieme quando il potere di morte e di vita è stato nostro, anche, se ancora non sappiamo decidere chi essere e ci chiediamo il come, il perché, e spesso rimandiamo tutto alle altre, trasferiamo al futuro i progetti, le decisioni. Spero (e mi pare sia proprio così) che il lavoro che ho svolto sia un suggerimento ad essere senza colpa terribili e tremende o almeno a non scindere da sé la parte cattiva e riconoscerla come giusta capacità di rispondere non solo dentro i corpi mitici che ci hanno dato, sapendo che anche l’altra può essere arpia, menade, erinni, sirena.