simboli antichi di una struttura di potere

febbraio 1976

ogni struttura di potere ha bisogno di cerimoniali e codici che la caratterizzino e la rendano facilmente identificabile da parte delle masse. Anche le varie religioni hanno sempre fatto uso di riti e simboli che erano l’espressione del loro potere di comunicazione con le forze trascendentali. Nonostante ciascuna di esse pretenda di essere rivelata, di differenziarsi drasticamente dalle altre e di essere portatrice di messaggi completamente nuovi, un’analisi comparata dello sviluppo delle varie tematiche rivela una monotonia esasperante e una evidente staticità.

Il femminismo ritiene di aver individuato nella religione in genere e nelle classi sacerdotali che l’amministrano, un elemento massiccio di oppressione per tutte le donne, che si è tramandato per millenni sin da quando, in Babilonia il clero femminile venne destinato alla prostituzione sacra codificandone i ruoli in: «ierodule» (qadishtu), «infeconde» (naditu), «oblate» (kul mashitu), «virago» (sinnishat-zikru), «donne di piacere» (shamkhatu), «prostitute» (kharim-tu).

La Chiesa di Roma, fin dai primordi, si è appropriata di molti elementi di culti di religioni preesistenti. Anche a non volersi soffermare sulla spoliazione dei templi delle divinità del pantheon romano con conseguente prelievo di colonne e capitelli (danno non lieve dal punto di vista archeologico) trasportati magari a chilometri di distanza, o all’insediamento di chiese paleo-cristiane su santuari pagani, non si può non associare, ad esempio, il rituale della comunione inserito nella messa a quello ebraico, tuttora in uso, in cui il capofamiglia, prima di dare inizio al pasto, invoca la benedizione di Dio, spezza il pane e lo distribuisce in piccoli pezzi tra i commensali i quali poi, passandoselo, bevono un

sorso di vino dal calice comune. Del resto il dogma della transustanzione che acquisisce a materia di fede il passaggio totale della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo, in virtù delle parole della consacrazione che il sacerdote pronuncia durante la messa, non è altro che una rievocazione dei rituali primordiali in cui, dopo l’uccisione del padre, del capo, dell’eroe, il clan si riuniva per cibarsi con parti del suo corpo in un banchetto cannibalico. Dice Freud in «Mosè e il monoteismo»: — «Ho già ricordato come il rito cristiano della Comunione, in cui il fedele immette nel suo corpo la carne e il sangue del Redentore, ripeta il proprio contenuto dall’antica agape totemica; naturalmente solo nel suo senso affettuoso e adorativo, non in quello aggressivo. L’ambivalenza dominante la relazione padre-figlio, si mostra tuttavia chiaramente nel risultato finale di questa innovazione religiosa. Intesa a propiziare la divinità paterna, termina con il suo spodestamento e detronizzazione. La religione mosaica era stata una religione del Padre; il Cristianesimo divenne una religione del Figlio. Il vecchio Dio, il Padre, passò in seconda linea e Cristo, il Figlio, si eresse al suo posto, proprio come in quegli antichi tempi ciascun figlio aveva bramato». Anche il culto della Madonna, vergine e madre del Dio, non è che il più recente esempio del mito classico della nascita dell’eroe per opera dello spirito divino. Gli archeologi hanno ritrovato un testo attribuito a Sargon di Agade, fondatore di Babilonia intorno al 2.800 a.C, che dice: «Io sono Sargon, il re potente, Re di Agade. Mia madre Fu Vestale, mio Padre non lo conobbi, il fratello di mio Padre abitava la montagna. (Intesa probabilmente come luogo sacro). Nella mia città, Azupirami, che giace sulle rive dell’Eufrate, mia madre, la Vestale, mi concepì. In segreto mi partorì…». Lo stesso «romanzo familiare» è valido per gli eroi Romolo e Remo, nati secondo la leggenda intorno al 735 a.C. circa, dalla Vestale Rea Sylvia che Marte «visitò» mentre giaceva addormentata, per Perseo, Ghilgamesh ed altri. Così come gran parte delle suppellettili adibite ai servizi religiosi provengono da culti più antichi, in massima parte dal rituale dei preti dell’antico Egitto che, ricordiamo, erano organizzati in classi sacerdotali molto simili a quelli della chiesa cattolica. Il loro potere temporale fu enorme

durante il corso delle varie dinastie. Basta ricordare che, quando nel 1350 a.C. circa Amenofi IV abbandonò Tebe per fondare ad Amarna una città nuova dedicata al culto monoteistico di Aton, chiudendo così tutti i vecchi templi, abolendo i vecchi culti e prescrivendo i nomi degli dei, il clero egizio obbligò il suo successore Tutan-khamòn a ritornare a Tebe e ad abrogare tutte le misure contro di loro e che oggi gli studiosi sono propensi a credere che il giovane faraone sia stato ucciso dai sacerdoti in una congiura di palazzo.

Il clero egizio era così articolato: presiedeva un pontefice, quindi venivano i sacerdoti che ufficiavano il culto mattutino, il servizio di mezzogiorno e l’ufficio della sera, come ai nostri giorni, i preti lettori, i «servitori del dio-» (coloro che i Greci, traducendo con una certa inesattezza, chiameranno «profeti»), gli stolisti, portatori di paramenti e poi il basso clero composto di sacrificatori e interpreti di sogni. Alcuni oggetti culturali della Chiesa di Roma hanno una provenienza siriaca od asiatica. Il rosario, ad esempio, si ritiene che sia di origine tibetana. Vediamone insieme qualcun’altro. Il «flabello» è un grosso ventaglio di piume di struzzo e di pavone, montato in cima ad un’asta, di origine egizia. Lo vediamo negli affreschi delle tombe, sorretto da schiavi o schiave, che lo agitavano all’altezza del capo del faraone per muovere l’aria e creare un senso di freschura, ma era anche emblema di rango. Due flabelli sono stati portati sino a pochi anni fa, quindi per circa 2.000 anni, ai lati della sedia gestatoria del pontefice durante le cerimonie solenni. Ora sono stati aboliti. Il «turibolo» è un recipiente di metallo che si regge per mezzo di tre catenelle e in cui si brucia l’incenso nelle cerimonie sacre. Deriva da culti orientali in cui l’incenso era essenziale alla creazione di un clima mistico, e quindi era usato soprattutto nel corso di funzioni in cui venivano recitate litanie ossessive che creavano una situazione di eccitabilità. Come ancora ai giorni nostri. Il «triregno» è la tiara del Papa, composta da tre corone d’oro sovrapposte e simboleggianti le tre chiese: militante, purgante e trionfante. Ripropone il modello della tiara faraonica composta dalla corona del Basso Egitto e da quella dell’Alto Egitto, inaugurata dal faraone Menes (3.200 a.C. circa) quando si compì la unione dei due regni sotto un’unico scettro. Il «pastorale» è il bastone in metallo dei vescovi e degli abati e segno distintivo del loro grado gerarchico. Forse si rifa addirittura ai bastoni di comando dei Magdaleniani (15.000 a.C. circa. Paleolitico superiore), di certo deriva dal «lituo», simbolo del potere politico e religioso. Era anch’esso una verga ricurva ad uno dei lati, portato dal faraone, quindi dall’augure etrusco e romano. Recentemente un lituo in ferro ritrovato nel cosidetto Heron di Enea a Pratica di Mare presso Roma, ha permesso di assegnare la tomba ad un capo della Lavinio arcaica.

Ma l’argomento ci porterebbe lontano. Qui possiamo solo soffermarci molto brevemente a ricordare che la dottrina del peccato originale è di origine orfica. Essa venne conservata nei misteri e di lì passò nelle scuole filosofiche della antichità greca. Che dai Greci la Chiesa romana attinse il neo platonismo che è diventato la filosofia della religione cristiana, la base del suo dogma e la fonte del suo misticismo. Che la demonologia babilonese e la cosmogonia caldea, filtrate attraverso il Vecchio Testamento, le fornirono la base per la sua dottrina escatologica e i miti greci della discesa all’inferno e della resurrezione le offrirono i supporti per i dogmi della salvazione. Che, non a caso, nel Medio Evo la Chiesa di Roma ha riproposto in termini esasperati i temi della Passione del Cristo e il culto dei santi che è di chiara origine pagana e politeistica. Possiamo solo accennare alle affinità tra certi aspetti della vita religiosa e determinate manifestazioni della patologia nervosa, affinità che giustifica l’applicazione dei metodi della psicanalisi ad una interpretazione del rito religioso e che, fin dal 1907, era stata oggetto di una acuta indagine da parte di Freud. Possiamo inoltre raccomandare la lettura di testi che, fornendo il materiale per lo studio dei fenomeni storici, consenta di intraprendere una ricerca sulla personale posizione a riguardo e di prendere una ricerca sulla personale posizione a riguardo e di prendere coscienza del proprio sfruttamento ideologico da parte di un’istituzione che, con il pretesto di gestire la morale e di essere depositaria della spiritualità, ritroviamo invece a vari livelli della vita dello Stato e contro la cui ingerenza dobbiamo continuamente scontrarci.