speculum: la magia delle streghe di oggi

gennaio 1976

 

Chi siamo

Il nostro gruppo, ha avuto in parte inizio, ma senz’altro ispirazione, da un lavoro sugli anticoncezionali nel quartiere popolare di San Lorenzo. Si iniziò con il contatto porta a porta; poi un gruppo di donne del quartiere iniziò a riunirsi a casa di una di loro per parlare dei problemi della salute. Le donne di questo quartiere rifiutano quasi sempre gli anticoncezionali per paura di averne danni fisici. Preferiscono fare il quinto o sesto figlio o il decimo aborto.

Incitate ad andare a farsi prescrivere anticoncezionali al centro di pianificazione familiare del policlinico Umberto I, oppongono il rifiuto dovuto alla vergogna di farsi visitare, quando non è il marito a proibirglielo. Allora abbiamo cominciato a pensare a questa vergogna e al suo perché, E abbiamo riconosciuto che questa vergogna c’è anche in noi, magari con la laurea, senza essere casalinghe di un . quartiere popolare. Su questa reticenza a non accettare come naturale la parte sessuale del nostro corpo, a vivere la vagina e l’utero come parte di noi stesse che non ci appartiene, si fonda buona parte del ricatto maschile. Quando sei giovane devi conservarla intatta per il futuro sposo, quando sei sposata appartiene al marito o tutt’al più all’amante, se ti ammali è amministrata dal medico. Se rimani incinta e il tuo corpo urla il rifiuto, è la chiesa e la società che decidono su di te. Domani sarà forse una commissione di medici; quei medici che quando partorisci il più delle volte ti assistono con un «Ah! strilli ora, ma non facevi così quando fottevi». E così via, con più o meno brutalità a seconda della classe sociale in cui ci si viene a trovare. Ma soprattutto e sempre succede proprio a tutte le donne di non poter avere un atteggiamento attivo nei confronti del proprio corpo.

 

La donna e la medicina ieri

Per molti secoli la salute delle donne è stata gestita dalle stesse donne. Ogni donna anziana era ostetrica e ginecologa. Questo è avvenuto fino all’ottocento o fino a qualche decennio fa (e ancora ce n’è qualcuna) nelle aree d’Italia più depresse. Da quando, però, la ginecologia e l’ostetricia hanno cominciato ad essere un affare economico, della salute delle donne se ne sono impadroniti esclusivamente gli uomini. Ma è stato sempre così? Nell’antica Grecia, la donna fu tenuta lontana dalla medicina ufficiale. Le era permesso soltanto di essere levatrice. Una levatrice famosa fu la madre di Socrate. Ma il caso più significativo fu quello di Agnodice vissuta in Atene nel IV secolo prima di Cristo. Nell’antica Roma ci sono dei templi dedicati alla dea della salute femminile: la «Bona Dea». Le sacerdotesse di questi templi, nei quali gli uomini non possono entrare, sono medichesse e levatrici che hanno a disposizione delle vere corsie dove ricoverare le donne bisognose di cure. Fuori dai templi vi sono altre medichesse alcune delle quali specializzate in oculistica. Nel Medio Evo la medicina romana era quasi completamente dimenticata, ma sorge a Salerno la più famosa scuola di medicina: la «scuola salernitana», appunto. Questa scuola era molto frequentata da donne, descritte dagli storici come gaie e vivaci. La più famosa tra queste dottoresse è Trotula, la cui opera è stata talmente geniale e importante da non essere distrutta dagli storici, così come è successo a molte altre donne autrici di opere minori. Vissuta nella seconda metà del mille, Trotula appare come una medichessa nel senso più esatto del termine. Prescrive salassi ed altre terapie appropriate. Dà vaste nozioni di stomatologia, otoiatria, di oculistica, di urologia e medicina interna, Ma la sua opera più famosa è un ottimo trattato di ostetricia e ginecologia, contenente utili indicazioni sul modo di comportarsi prima, durante, e dopo il parto. La grande opera manoscritta di Trotula, è ancora conservata negli archivi di Breslavia, ma ci sono anche copie stampate nel 1574. Quest’opera, infatti è stata studiata in tutta Europa per più di 500 anni ed ebbe una certa popolarità nella cultura inglese, sotto il nome di Dame Trot. Ma durante il Medioevo, Salerno, insieme a qualche città-comune (in Sicilia e a Venezia), era un vero paradiso per le donne e per la medicina in confronto a ciò che succedeva più a nord. Sull’arco alpino, infatti, e in tutta l’Europa, si viveva nel terrore dell’Inquisizione. La Chiesa aveva proibito la medicina. Se ti ammalavi era perché dovevi scontare dei peccati. L’unica cura permessa era l’acqua santa con le preghiere. Ovviamente i nobili, ossia i ricchi, riuscivano a cavarsela come sempre, pagandosi un medico. Ma i poveri non avevano scampo.

Fu così che tra i poveri molte tra le donne che già si aiutavano tra loro per i parti e gli aborti, si misero a curare gli altri. Le sagge, o streghe (per lo più di estrazione contadina) avevano a disposizione mille rimedi sperimentati in anni d’uso. Molte delle erbe curative che esse usavano hanno una collocazione importante nella farmacopea moderna.

Ma, più queste donne aumentavano la capacità di aiuto reciproco, meno dipendevano da Dio e dalla Chiesa. Le cure magiche, anche quando avevano successo, erano un’interferenza maledetta nei voleri divini, perché, secondo la morale «ufficiale», ottenute con l’intervento del demonio. Nell’autorevole libro-guida per cacciatori di streghe, il «Malleus Maleficarum», scritto nel 1484 dai reverendi Kramer e Spren-ger (figli prediletti di papa Innocenzo Vili) si legge: «… E mettiamo nello stesso fascio tutte le streghe buone, che non recano danno ma benefici, che non portano distruzione e rovina ma salvezza e assistenza… Sarebbe mille volte meglio per la terra se tutte le streghe, e in particolare le streghe benedette, potessero morire». L’atteggiamento di queste donne non era infatti quello passivo della religione, ma quello attivo della ricerca. «La strega quindi rappresentava una triplice minaccia per la Chiesa: era una donna e non si vergognava di esserlo; sembrava essere parte di un movimento clandestino organizzato di donne contadine; era una guaritrice la cui attività si basava su studi empirici» (1). Così si sterminarono in modo sistematico le streghe, tanto che si calcola che in due secoli siano state bruciate vive 8 milioni di donne. Per dare un’idea più precisa e vicina prendiamo Como: 1000 donne nel suo circondario furono bruciate in un anno, nel XVIII secolo. La caccia alle streghe non eliminò del tutto le guaritrici del popolo, ma le marchiò per sempre come fattucchiere, superstiziose e pericolose. I medici maschi si erano conquistati il monopolio della medicina. L’ostetricia e la ginecologia rimasero, però, un campo prettamente femminile per altri secoli. È nell’ottocento, con l’inizio della società industriale-capitalistica, che i medici iniziarono ad attaccare quest’ultimo terreno rimasto in mano alle guaritrici: «Passando nelle mani dei ” barbieri chirurghi “, la pratica ostetrica si trasformò rapidamente tra i ceti medi da servizio di vicinato a pratica lavorativa,.. In Inghilterra le levatrici cercarono di organizzarsi accusando i maschi di speculazione e di uso dannoso del forcipe» (2). Troppo tardi: mentre era reso quasi impossibile l’accesso delle donne allo studio della medicina, le levatrici dissenzienti furono messe facilmente a tacere con l’accusa di essere ignoranti e legate alle superstizioni del passato.

La «scienza» medica dell’ottocento procedeva invece con interventi efficaci nel campo della chirurgia ginecologica: l’ablazione chirurgica della clitoride per abolire l’eccitamento sessuale. (L’ultima clitoridectomia di cui siamo a conoscenza è stata fatta, negli Stati Uniti (n.d.r. nell’Africa nera invece viene praticata tuttora), venticinque anni fa, a una bambina di 5 anni come rimedio per la masturbazione). Ma più ampiamente applicata fu l’ablazione chirurgica delle cavie o castrazione femminile per malattie non ovariche. Questa invenzione era del dott. Robert Battey di Rome, in Georgia vissuto alla fine dell’800.

Le indicazioni riguardano sintomi diversi come la fastidiosità, l’alimentazione eccessiva, la masturbazione, le tendenze erotiche, la mania di persecuzione. «Quali che fossero gli effetti, alcuni medici dichiararono di avere rimosso da 1500 a 2000 ovaie… ed essi le portavano in giro su dei piatti, come trofei, ai congressi medici» (3).

 

La donna e la medicina, oggi

Anno del Signore 1975: su un testo universitario per la facoltà di medicina (Ganong,Fisiologia umana) leggiamo che nella pubertà si sviluppa nell’uomo una mente più attiva ed aggressiva, che le mestruazioni sono l’utero che piange perché non ha un baby, ecc. Abbiamo a disposizione un’intera raccolta di pensierini di questo tipo, ma sinceramente non ci pare il caso di perderci su troppo tempo. Passiamo ad analizzare invece la situazione sanitaria italiana che tutti, grosso modo, vediamo come sconfortante:
 

1) È una medicina capitalistica il cui compito è quello di mettere a posto il pezzo guastato per farti tornare a produrre o a riprodurre meglio. Vedere le persone malate come delle macchine non funzionanti è un meccanismo oggettivizzante.
 
2) Però è una medicina che non riesce neppure a riparare i pezzi guasti per via che i medici sono poco preparati (il più basso livello in Europa) in una università e in una struttura sanitaria feudale. I famosi baroni della medicinatendono a non comunicare le proprie conoscenze per paura di concorrenti nelle loro speculazioni economiche.
 
3) È una medicina patriarcale e quindi sessista perché erede di quel processo storico già esaminato nel capitolo precedente. Lo è maggiormente per le donne, perché le pone in una situazione ancor più passiva perché aggravata dalla ginofobia della classe medica. Certo, per le donne ci sono modi più o meno privilegiati di risolvere i problemi della salute, ma il modo di vivere la vagina con ansia e passività è stato finora simile per tutte, borghese e proletarie.
 
In Italia il tasso di mortalità materna è al decimo posto come causa di morte per le donne dai 15 ai 45 anni e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tra i paesi dell’Europa occidentale abbiamo il primato negativo. Senza considerare l’aborto, l’indice statistico di mortalità per conseguenze derivate dalle complicazioni per gravidanza, parto e puerperio è di 49,5 ogni 100.000 bambini nati vivi (in Danimarca l’indice è di 8,8) (4). Questo dato da solo potrebbe rendere l’idea di quale assistenza ostetrico-ginecologica godiamo nel nostro paese. Circa poi la mancanza di una politica anticoncezionale che finisce per privilegiare l’aborto clandestino, se ne è molto parlato in questi ultimi tempi. È, per noi femministe, un modo, o meglio una politica precisa che serve ad impedire la nostra autodeterminazione, serve a non farci sentire persone ma animali braccati dalle punizioni sociali e dai sensi di colpa.

Il rischio fisico dell’aborto clandestino è uno dei principali mezzi che ci impediscono di porci come soggetti storici, rinchiudendoci nel «naturale» in quella natura che è dentro di noi, nel nostro corpo.

È poi l’industria farmaceutica che decide quale tipo di anticoncezionale le conviene che usiamo; è il medico che decide se e in che modo prescriverlo, magari dopo aver insinuato che sei un po’ puttana. E d’altra parte abbiamo già visto anche quanto una maternità scelta e accettata liberamente comporti grossi rischi alle madri e ancora di più ai neonati (5).

Nei paesi più progrediti sembra ormai normale far di tutto perché anche il dolore naturale del parto sia minimizzato. Sono diffuse varie tecniche per alleviare quasi completamente il male. Si preparano le donne a controllare il dolore, si usano analgesici o l’anestesia caudale fatta da specialisti. Nei reparti di maternità italiani non si usa, la maggioranza delle volte, alcun tipo di anestesia. Poiché il parto indolore richiede la presenza di un anestesista, molti medici sono contrari a questa pratica; già si scomodano malvolentieri i ginecologi, è impensabile che le italiane non ricche possano disporre di un altro specialista. Il parto avviene tra insulti «dai troia spingi» ed altri incoraggiamenti che rendono indimenticabile questo sublime momento, in cui «ti realizzi» come madre. Per le ricche sono meno violenti gli insulti e più frequenti le anestesie, ma in compenso sono più soggette alla speculazione. Per esempio sono più frequentemente sottoposte al cesareo, che risaputamente costa molto di più.

Inoltre molte donne, potremmo dire troppe donne, muoiono di malattie che colpiscono organi che esse hanno praticamente ignorato per tutta la vita: la cervice uterina, la vulva, la vagina e l’utero. Questo «inconveniente», in parte, è causato dalla diagnosi tardiva di malattie curabili, cominciate in modo banale; la diagnosi tardiva è provocata da un oscurantismo reso falsamente rispettabile col nome di «pudore».

L’ostilità di molte di noi a sottoporci alla visita ginecologica, anche a scapito della salute e a volte della stessa sopravvivenza, ha delle motivazioni ben precise, Spesso le nostre resistenze sono dovute alla brutalità e alla violenza dei medici di cui tutte abbiamo, direttamente o indirettamente, fatto esperienza. Una buona parte è dovuta alla repressione sessista che ci ha fatto vivere i genitali come cosa da nascondere perché vergognosa, indecente e brutta. Il motivo più inconscio è quello di trovarsi in una posizione concretamente passiva di fronte a un uomo. Molte di noi per affrontare una visita fanno scattare un meccanismo di scissioni tra il corpo e la mente. Abbiamo vissuto la vagina come una parte che ha sempre riguardato un uomo (che sia il marito, l’amante o il ginecologo non importa), come una cosa che non ci ha appartenuto veramente. Alcune chiudono gli occhi o si creano una barriera con la gonna tra la parte «superiore» e la parte «inferiore». La passività è aumentata dal lettino ginecologico e da ciò che il ginecologo fa e vede dentro di noi mentre teniamo le gambe aperte in completa impotenza. Anche se una donna vuole seguire attivamente la visita, il ginecologo la riporta al suo posto di passiva ponendole innanzi la sua specializzazione, la sua scienza e il suo potere, come una barriera che non potrà mai superare.

Inoltre, c’è un altro elemento che non può essere trascurato. La medicina e il medico, sono oggi i portatori della morale più tradizionale, repressiva e sessista. Quella stessa morale che non avrebbe più nessuna credibilità se imposta dal prete. Oggi il medico di famiglia ha preso il posto del vecchio prete confessore, cui la famiglia si rivolgeva abitualmente. È il medico infatti che ci consiglia di fare una vita regolata, di non fare troppo l’amore, di non bere, di andare a letto presto ecc. Ed è la donna che, all’interno della famiglia, amministra questi precetti imponendoli ai figli, al marito, agli anziani. In conclusione e per tutte queste ragioni, le donne vanno spesso, molto più spesso degli uomini, dal medico; e il rapporto donna-medico diventa un importante rapporto di potere nella vita di ogni donna.

 

Perché e come ci siamo organizzate nel gruppo femminista per una medicina della donna

Come non essere più alla mercé del tecno-stregone?

Il primo passo è stato quello dell’auto-visita. Lo speculum, arma di metallo lucido nelle mani del ginecologo (serve a dilatare la vagina per mettere in evidenza il collo dell’utero) è per noi uno strumento del quale ogni donna dovrebbe servirsi per controllare la propria salute e osservare un’eventuale malattia allo stato iniziale (si usano economici speculum di plastica). Oltre l’aspetto «salute» c’è quello della pura conoscenza. Il mistero dei genitali nascosti si rivela con lo speculum e la pila. È il primo passo per ritrovare la piena identità di se stesse, nella nostra pratica settimanale di Self-Help (auto-aiuto) abbiamo anche notato l’importanza dell’esperienza collettiva di questo momento in cui possiamo finalmente confrontarci con le altre donne in tutto, compresi i nostri genitali. Pei esempio, molte di noi, prima della visita, erano convinte di avere malformazioni od anomalie del tutto particolari tipo: piccole labbra troppo lunghe o troppo scure, vagine infantili, peluria sui capezzoli, seno troppo grande o troppo piccolo, il tutto visto come malattia piuttosto che come normale caratteristica del proprio corpo. Questo confronto fisico, non solo è completamento necessario della pratica d’autocoscienza, ma anche e soprattutto il momento in cui teoria e pratica si riuniscono, dando finalmente un significato reale a slogans del tipo «l’utero è nostro e ce lo gestiamo noi». Attraverso la nostra esperienza di Self-Help, il cui scopo è la riappropriazione del nostro corpo, noi ci prefiggiamo di:

 

– intaccare il potere del medico derivante dal suo assoluto monopolio della scienza;
 
– capovolgere il rapporto con il ginecologo;
 
– mettere in evidenza i grossi limiti di questa stessa scienza, soprattutto nei riguardi della donna e del suo corpo;
 
– creare una medicina che non sia solo per la donna ma anche autogestita dalla donna.
 
Abbiamo raccolto una vasta documentazione che si avvale principalmente delle informazioni contenute nelle riviste scientifiche e nei bollettini degli altri gruppi internazionali di Self-Help. Sono sotto accusa soprattutto le sperimentazioni indiscriminate che le case farmaceutiche fanno.sugli anticoncezionali, il loro tutt’ora ampio margine di rischio per la salute della donna, la mancanza di interesse per i contraccettivi che potrebbero essere più idonei o comunque che non compromettono soltanto la donna (il controllo del ciclo mestruale e la pillola maschile).

I nostri incontri sono fino ad ora avvenuti in casa di due compagne. Inizialmente eravamo un gruppo molto ristretto che è ora diventato aperto e talmente numeroso che si sta ponendo grossi problemi di spazio e di organizzazione. Abbiamo cercato per il nostro lavoro dei medici che accettando i nostri presupposti fossero disposti a darci una mano. Gli aiuti in realtà sono stati molto scarsi perché anche i medici compagni e, ci dispiace dirlo, anche le donne medico, sono attaccati al concetto della professionalità e riluttanti a mettere in discussione il loro ruolo.Non parliamo poi di quali resistenze esse hanno ad infilarsi lo speculum insieme alle altre.

Al fine di scambiarci le esperienze con le compagne che nelle altre città si interessano e lavorano sul problema della salute, abbiamo organizzato in aprile, a Roma, un incontro di due giorni. Ci è sembrato un avvenimento importante perché la riunione ha raccolto più di 300 compagne diventando così una specie di convegno. Ci siamo già date un appuntamento a Firenze per i primi giorni del prossimo novembre. L’incontro di aprile è stato per noi un momento esaltante nel suo scambio di esperienze e nella sua coscienza di dover operare insieme. Unanime ci è parso l’interesse per l’auto-visita, sia per il suo lato tecnico che per le sue implicazioni psicologiche, poiché la riappropriazione del nostro corpo ci consente un discorso nuovo sulla sessualità. Infatti non a caso i gruppi di lavoro si sono concentrati sugli argomenti «sessualità», «consultori» e «aborto» trascurando altri come «maternità» e «menopausa» sentiti come meno immediati. Abbiamo registrato la comune urgenza di fare e la necessità di approfondire abbinate al riconoscimento dell’autocoscienza come strumento di verifica del nostro stato di oppressione e di individuazione collettiva dei nostri bisogni.

II nostro primo obiettivo è ancora quello di trovarci una sede-consultorio doveproseguire ed approfondire la pratica dell’auto-visita e dove organizzare un archivio e un centro di documentazione.Non pensiamo però ad un centro sanitario dove assistere alla visita di un ginecologo perché questa sia più gentile e più umana. Ci sembra per ora impossibile sostituirci alle strutture sanitarie esistenti ( non esistenti) e ad ogni modo improbabile che lo Stato o le Regioni finanzino i nostri consultori.

La nostra idea di consultorio è piuttosto quella di un luogo dove imparare a conoscerci, imparare l’auto-osservazione come metodo da non abbandonare mai ma da diffondere tra tutte le donne. Dovrebbe anche diventare un modo per imparare come dovrebbe essere fatta una visita così da poterla esigere — o meglio imporre — nelle strutture sanitarie esistenti. Non è vero che le donne proletarie non accetterebbero il Self-Help; le donne proletarie in certe zone del meridionale (nell’alta Irpinia per esempio) gestiscono ancora la propria maternità, gli aborti, la contraccezione (con lavande a base di aceto ecc.). Si visitano tra di loro ascoltando le esperienze delle anziane, alcune delle quali sono ritenute «magare» o maghe. Vogliamo chiarire però che noi non riteniamo da imitare una assistenza di quel tipo; per ovvie ragioni economiche e sociali essa si basa su ignoranza e pregiudizio (anche se possiamo porre delle riserve su qualche cura fatta con le erbe). È però un esempio di un primitivo modo di fare self-help. Bisogna tenere conto che molte donne più represse e nelle aree più povere si trascinano le malattie per non andare dal medico. Non è certo nelle nostre intenzioni lasciare che non si curino, che ad esempio rischino il cancro per non andare a fare il Pap-test, che muoiono dissanguate da un parto non assistito e così via. L’auto visita, secondo noi dovrebbe servire a impossessarci e gestire la conoscenza scientifica, usandola e riappropriandocene per quello che consideriamo positivo.

 

(1) Da Le streghe siamo noi , edizione Celuc, p. 37, Milano 1975.

(2) Ibid., p. 44.

(3) Ibid., p. 120.

(4) F. D’Ambrosio «Sulla mortalità materna», in Unità sanitaria, gennaio-giugno 1975.

(5) Vedi su Terranova-Berlinguer, La strage degli innocenti, quanto è alta la mortalità neonatale, ed. La nuova Italia, Firenze 1972.