tra due fuochi

ottobre 1974

E allora questi anticoncezionali (e forse domani anche questo aborto libero) per cui stiamo lottando da anni, ci verranno non più concessi, bensì «imposti», come si poteva leggere tra le righe dell’intervento paternalistico del prof. Valle. Ci divertirà molto vedere come la metteranno con la Chiesa, che continua imperterrita a proscrivere pillola e aborto come «malefiche arti del demonio», che continua a colpevolizzare le donne che rifiutano la maternità (e ci sarebbe da chiedersi in molti casi perché lo fanno) o interrompono una gravidanza. Certo che le donne italiane, cattoliche e no, non sapranno più come comportarsi: se «mettere a disposizione» il loro corpo per il bene della famiglia e la salvezza dei «valori cristiani», sacrificando la loro vita alla gestazione, all’allattamento e alla cura dei figli o rinunciare al loro eventuale desiderio di avere un figlio (magari anche fuori dal sacro vincolo del matrimonio), in nome del bene produttivo ed ecologico del paese.
Ironie a parte, non vorremmo si credesse che noi femministe siamo contrarie alla più ampia diffusione e nonché alla gratuità dei contraccettivi, oltre che, evidentemente, dell’aborto. Quel che vogliamo è diventare « soggetto» e non essere più «oggetto» in questa battaglia, come del resto aveva precisato nella sua ottima relazione, purtroppo ben poco recepita dal pubblico, l’unica voce ufficiale femminista del convegno, Elena Giannini Belotti. Vogliamo avere il controllo della ricerca medica e informazioni esatte sulle sperimentazioni che si vanno facendo dei nuovi tipi di contraccettivi. Non vogliamo servire da cavie nelle mani di medici non sempre troppo scrupolosi. Vogliamo avere risposte precise a molti interrogativi: perché, ad esempio, si continua ad inserire la spirale «Dalkon Shield» che sembra aver provocato gravi danni e addirittura la morte di alcune donne?
Quanti medici effettuano periodicamente tutte le analisi indispensabili prima di prescrivere la pillola? Quale garanzia avranno le sei donne che stanno sperimentando la spirale a progesterone, se questa provocherà danni o non funzionerà? A questo proposito è stata avanzata una proposta concreta da una redattrice di EFFE, di garantir loro, in caso di fallimento della spirale, il libero accesso ad un aborto terapeutico. Quale sarà la risposta?
Questi temi sono troppo vasti, la nostra sessualità troppo complessa per poterne trattare in questo breve articolo. Ci ripromettiamo di affrontare questi problemi, in maniera più esauriente, nei prossimi numeri.
Nella mozione conclusiva del convegno si è richiesto che:
1. Sia capillarizzata la preparazione del personale medico e paramedico, realisticamente accettando livelli minori di specializzazione in cambio di una più diffusa capacità di assistenza;
2. Sia liberalizzata la normativa delle prescrizioni contraccettive;
3. Siano previsti programmi di assistenza domiciliare, per gli strati meno abbienti della popolazione;
4. Sia assicurato l’appoggio dello Stato anche alle organizzazioni private qualificate, come avviene nella maggior parte dei paesi;
5. Siano riservati fondi massicci alle campagne propagandistiche, di carattere informativo e motivazionale.
Mi è difficile e caro al tempo stesso parlare di Noi e il nostro corpo, il manuale di medicina pratica, scritto da un gruppo di donne di Boston e recentemente pubblicato in Italia da Feltrinelli. Difficile perché lo ritengo un libro importante sia per il suo contenuto, e ancora più per lo stile in cui è scritto e il modo in cui è stato collettivamente creato. Caro, perché mi riporta agli anni (70-72) della mia residenza a Boston, mi fa rivedere volti familiari, riunioni femministe animate dall’entusiasmo dei ‘primi tempi’. Proprio in quel periodo ho conosciuto diverse delle donne che hanno partecipato alle varie fasi del progetto e che come me, facevano parte di Bread and Roses, un’organizzazione femminista socialista di Boston ora disciolta (principalmente per irrisolti problemi organizzativi di come conciliare la spontaneità e la mancanza di gerarchia del piccolo gruppo con le necessità di coordinamento di un organismo cresciuto troppo in fretta fino ad includere più di 800 donne).
Bread and Roses costituiva un punto di riferimento e di appoggio per molti gruppi femministi. Tra le varie iniziative avevano incontrato molto favore i corsi serali in cui gruppi di donne si riunivano per imparare ciò che generalmente veniva considerato poco adatto per una ragazza: ad esempio come riparare un’auto, come funziona un televisore, un giradischi ecc. Dopo aver assistito a una serie di conferenze sulle donne e il loro corpo nel maggio del 1969, un gruppo di donne decise di organizzare un corso sulla salute, sulla donna e il suo corpo. Dapprima venne elaborato un questionario che cercava di appurare le impressioni e il sentimento che le donne nutrivano verso il loro corpo e che tipo di rapporto riuscivano ad avere con i loro medici. Scoprirono ben presto che quasi nessuna aveva un rapporto di piena fiducia col proprio medico e decisero di darsi una istruzione da sole. Scelsero degli argomenti di interesse comune e durante l’estate lavorarono da sole o in piccoli gruppi. A ottobre il corso venne offerto alle donne e ebbe un tale successo che si decise di ciclostilare il materiale e farlo pubblicare da una tipografia ‘alternativa’, la New England Free Press. Il volumetto fu così venduto che ne furono stampati ben 4 edizioni tra il dicembre 70 e il dicembre 71. Infine fu necessario rivolgersi a una casa editrice tradizionale che curò due edizioni nel 71 e nel 73, da cui è tratta la versione italiana.