Cinema

vogliamo il realismo femminista?

è giusto interpretare delle immagini mirando solo ai contenuti, mettendo in discussione l’onestà politica di «donne intellettuali» e per di più femministe? Invitiamo le compagne ad una maggiore distinzione circa l’uso e il valore delle immagini.

aprile 1978

carissime Lu, Sofia, Adelaide, Marida, ho letto l’articolo pubblicato su Effe (febbraio 78) «La schermo è un maschio cattivo» e ho sentito voglia di scrivervi quello che penso io riguardo al film «Io sono mia». Premetto che non sono molto d’accordo su molte delle vostre idee, soprattutto perché non considerate (ad eccezione di Marida) quasi per niente l’errore, molto grosso sull’idea che dal film viene fuori sulle femministe. Una delle scene che mi ha dato più fastidio è il colloquio tra Suna e Mafalda riguardo a Santino. Il movimento delle donne ha discusso per anni, e continua tuttora, sul rapporto di coppia, non di coppia, rapporto libero, coppia aperta ecc. Penso che moltissime donne, e direi tutte quelle che hanno preso coscienza di che cosa significhi la coppia, il matrimonio, la famiglia, in termini di sfruttamento per noi, si trovi tuttora abbastanza dilaniata tra la teoria e la pratica, tra il non volere la sicurezza di un rapporto perché bene o male ti priva di qualcosa {quando non è molto) di tuo e di te e tutto questo nel film viene risolto dividendosi Santino a giorni. La figura di Suna appare in quasi tutti i momenti artificiale, forzata e rappresenta, anzi dovrebbe rappresentare una femminista. Il suo suicidio poi, che cosa ha voluto significare? Sono completamente d’acccordo con Marida quando dice che le femministe non sono disposte a passare gli errori su di loro. Certi errori per me sono molto gravi, in qualsiasi momento ed in particolare in questo. Tali errori ti fanno perdere di valore il film anche se avesse mille pregi.

Io sono mia. Siamo andate a vederlo. Dire che è un film maschilista è dire poco. La cosa peggiore è che è stato fatto interamente da donne e voleva essere un modo nuovo per le donne di fare cinema. Ci sono troppe cose che non ci sono piaciute. Sì, ci hanno defraudato un’altra volta: dietro allo slogan «io sono mia» c’è tutto un modo di intendere la vita e di viverla che nel film è stato completamente stravolto, così come la Cori ha tappezzato tutta l’Italia con la scritta «finalmente solo donna». Ad ogni modo vogliamo riportare quello che ci ha particolarmente sconvolte in questo film. Innanzitutto viene posta la figura di un maschio oppressore solo in quanto meridionale, quindi lascia spazio -al maschio del nord per dire: io non sono così. È privo di qualsiasi impegno e contributo per la donna qualunque, in più vi è una deformazione pazzesca dei contenuti reali del femminismo come scelta di vita e quindi come movimento rivoluzionario. Il modo in cui viene posto l’aborto è allucinante. Una frase del film è che «se una donna sceglie di abortire, questa non è violenza». La nostra esperienza di donne nei consultori con donne che abortiscono ci ha sempre fatto vedere che l’aborto è sempre violenza. Di contro la maternità viene qui completamente svuotata delle sue implicazioni storiche-politiche-affettive, L’impatto con le donne che lavorano a domicilio è completamente falso, superficiale e privo di contenuti che il movimento porta avanti da sempre. Per quanto riguarda il rapporto di conoscenza donna-donna viene vissuto unicamente come forma di prevaricazione e violenza di una donna su una altra donna, il che significa che in questo film è riproposto tale e quale il rapporto uomo-donna, sfruttatore-sfruttata. Il rapporto che l’attrice (Stefania Sandrelli) ha con il ragazzino richiama immagini idilliache del libro «Cuore» e di una insignificante love-story da fotoromanzo. La visione della presunta libertà sessuale delle due donne intesa come realizzazione del maschio-oggetto rappresenta una realtà che non ci appartiene. La realizzazione di una donna in un rapporto con un uomo non è il semplice rapporto sessuale ma implica il rifiuto di un rap porto sessuale basato sulla penetrazione e quindi sulla violenza (vedi quando lui là mette incinta e in tutte le altre scopate!). A questo punto sembra veramente impossibile che questo film sia stato realizzato da delle femministe o solo da donne. Questo film offre alla donna una visione falsa e mistificante delle femministe. Una donna qualunque da questo film ricava un messaggio del tipo: le femministe sono tutte, puttane o lesbiche, cercano di garantirsi con le unghie e coi denti
le scopate che il maschio elargisce democraticamente. Il finale poi non la scia dubbi sul messaggio che la regi sta vuole trasmettere: sì, Vannina la scia il marito, abortisce, prende coscienza, però si ritrova la casa piena di bambini. Ecco in definitiva la piena
realizzazione «naturale» di ogni donna: il ruolo materno vince sempre. Nonostante nella borsa queste donne abbiano Effe e il Manifesto non sanno creare un dialogo con le altre donne. Se la nostra realtà di femministe che lottano fosse questa, allora avremmo sbagliato tutto. Ciò non è vero, quindi il film è una Buffonata!

Mi sembra doveroso, per correttezza verso le compagne che’ hanno realizzato il film, precisare che la frase «se una donna abortisce, questa non è violenza» era detta in forma, interrogativa ed aveva quindi il senso «l’aborto, è violenza». Ricordo alle compagne, comunque,’ che la troupe e la regista in particolare non ha mai detto (semmai ha detto proprio il contrario), che Suna e Mafalda erano «le femministe».
M. T.