ʍ gli asili

puntiamo sulle alternative

luglio 1974

 

Negli ultimi anni si è assistito al formarsi di un coro di consensi sulla necessità e l’urgenza di costruire più asili e scuole materne, e parallelamente si è cominciato a prestare attenzione a come questi centri vengono gestiti e sulla base di quali valori venga attuata la socializzazione dei bambini che li frequentano. Ci si inizia a rendere conto degli stretti legami che esistono tra contenuti e metodi dell’educazione infantile e l’organizzazione sociale delle strutture d’una società, si tende cioè a inquadrare sempre più il problema dell’educazione infantile nel contesto politico e sociale generale, mostrandone l’intrinseca politicità al di là di ogni ideologia neutralistica.

Da decenni psicanalisti come Reich hanno teorizzato che un certo tipo di educazione infantile repressiva e autoritaria promuove la formazione di un carattere psichico che si adatta particolarmente bene alle esigenze di una società gerarchica, burocratica e sessista; recentemente questa presa di coscienza si sta diffondendo (anche se purtroppo ancora lentamente) anche a livello di insegnanti e genitori. Ecco ad esempio come un gruppo di maestre milanesi descrive il tipo di asilo oggi prevalente in Italia e l’ideologia che lo sostiene:

Se i bambini trovano posto in un asilo — cosa sempre più difficile — sono poi costretti a dividere una sola maestra con trenta o quaranta bambini. In una situazione di questo genere, anche con le migliori intenzioni delle maestre, è impossibile che il bambino possa trovare l’appoggio dell’adulto quando ne ha bisogno, scegliere i compagni e vivere senza costrizioni con loro. Quello che dovrebbe essere un luogo d’incontro anche per i genitori si trasforma il più delle volte in un ‘ deposito per bambini ’.

La scuola materna finisce per favorire nei bambini la rassegnazione alla solitudine e all’obbedienza passiva… viene da pensare che noi maestre siamo ‘ in produzione ’ sotto padrone come le operaie della Bor- letti, e i bambini sono come pezzi di una catena di montaggio, e che anche per noi c’è un ‘ piano di produzione ’ che si chiama ‘ sistema educativo ’.

‘Del resto basta aprire gli occhi per ritrovare nella scuola materna la stessa gerarchia di potere, la stessa divisione di compiti che c’è negli altri rapporti sociali. Sopra di noi la dirigente che sbriga le faccende burocratiche e spesso rappresenta per alcune di noi ‘ la voce del padrone ’ che ci consiglia e ci controlla. Anche quando è brava, il dialogo che può nascere con lei è viziato dalla paura di vedersi la qualifica abbassata. Sotto di noi le inservienti, donne di pulizia e bidello: noi siamo chiamate ad educare lo spirito, loro a pulire i gabinetti. Non c’è bisogno di aver letto Pestalozzi per capire che il bambino si imprime bene nella testa questa ‘ divisione di compiti ’ a cui corrisponde una diversa rispettabilità sociale…

La legge fondamentale di tutto il nostro vivere sociale è il guadagno: c’è chi produce e chi guadagna su chi produce, chi sfrutta e chi è sfruttato. I bambini non possono sfuggire a questa legge e quindi tutti gli sforzi ‘ educativi ’ mirano a plasmarli perché, una volta divenuti adulti, non si ribellino a questa legge, anzi non si chiedano nemmeno perché devono sottostare a questa legge. Così a partire dalla famiglia, ma anche ‘negli asili-nido, e nelle scuole materne, chi comanda usa tutti i sistemi (chiamandoli pure ‘ metodi pedagogici ’) per plasmare individui timorati ed ossequienti, rispettosi della autorità e dell’ordine costituito ».

La necessità di mutare questi sistemi educativi è sostenuta da varie parti, anche se variano le opinioni sugli scopi che un’educazione alternativa dovrebbe avere e i metodi attraverso i quali la si dovrebbe conseguire. Da una parte si insiste soprattutto nel puntare su metodi pedagogici che siano rispettosi dei bisogni dei bambini, che li aiutino a svilupparsi liberamente in un clima non repressivo; dall’altra si sostiene che l’educazione infantile vada politicizzata nei contenuti e nei metodi, in modo che fin dall’infanzia ad esempio il bambino prenda coscienza della sua appartenenza di classe e non sia più facilmente strumentalizzabile; in altri termini alcuni sono semplicemente a favore di un educazione ‘ antiautoritaria ’, altri invece mirano ad ‘ un educazione al socialismo ’.

Anche per le strategie da seguire ci sono due opposte tendenze: alcuni favoriscono l’impegno politico nel confronto delle istituzioni, che sono istituzioni di massa, con esempi generalizzabili e con un impatto diretto sulla realtà. Altri preferiscono impegnarsi in esperienze scolastiche autonome fuori dall’apparato istituzionale, creando ad esempio asili autogestiti. I politici tradizionali accusano i fautori degli asili alternativi di correre il pericolo dell’elitismo e dell’isolamento dal contesto politico reale; gli sperimentatori cautelano i politici sull’enorme difficoltà di attaccare, agendo dal suo interno, un’istituzione, la cui logica e inerzia sono tali da macinare e attutire tutto e che pone pesanti condizionamenti ad ogni forma diversa di gestione.

Noi pensiamo che ambedue i metodi siano necessari e complementari. Dato che gli esperimenti alternativi sono meno noti delle forme di lotta sindacale e politica tradizionale vorremmo offrirne un breve panorama, sperando che servano a stimolare l’iniziativa di tutti coloro che lottano per un’educazione diversa.

Per ragioni di spazio possiamo soltanto discutere brevemente i vari tipi di asili alternativi che sono sorti negli ultimi anni negli Stati Uniti e in paesi europei e descrivere tre esperienze, una russa e due italiane che ci sono sembrate particolarmente significative.

Tutti gli asili alternativi hanno in comune il tentativo di essere ‘ luoghi di liberazione e non di oppressione infantile ’; tuttavia variano i modi in cui vengono concepiti sia l’oppressione che la liberazione. Uno dei primi asili alternativi, fondato da Vera Schmidt a Mosca, ispirandosi alla psicanalisi, ipotizzava che la liberazione passasse attraverso l’apprendimento dei processi di sublimazione, per cui gli istinti del bambino non venivano repressi attraverso la disciplina, ma educati poco a poco ad aderire maggiormente al principio di realtà.

La stessa ottica psicanalista domina pure le comuni o asili infantili alternativi tedeschi; sorti negli anni 60, essi mirano maggiormente tuttavia ad arrivare ad un’educazione socialista. Essi cercano di portare avanti una prassi antiautoritaria basata in parte sulle teorie dell’autoregolazione di A. S. Neill fondatore della famosa scuola di Sum- merhill, e sulle teorie della repressione sessuale di Reich, tuttavia essi tentano di non isolarsi dal collettivo sociale concreto. Infatti rimproverano al Neill di aver operato in un isolamento asociale e apolitico che è alla lunga controproducente. Allo stesso tempo gli asili sperimentali tedeschi insistono sulla portata politica di un’educazione tesa a formare individui non repressi e quindi non disposti a subire o far subire la repressione, capaci di cogliere il legame tra autoritarismo e repressione a livello individuale e l’organizzazione economica e sociale complessiva.

Il principio di autoregolazione che ispira gli asili tedeschi sostiene che il bambino deve esprimere liberamente e regolare autonomamente i propri bisogni a qualsiasi età e in tutti gli aspetti della vita (quali il cibo, il sonno, la sessualità, il gioco ecc.). Come affermano i tedeschi:

« educazione all’autoregolazione non significa un puro lasciare liberi i bambini, confidando nelle loro proprietà naturali, né esercitare una semplice protesta contro le regole e le abitudini. L’educazione che ha teso per secoli a spezzare la volontà autonoma del bambino non si supera abbandonando il bambino a se stesso

  1. spingendolo alla disobbedienza ma ponendolo nella condizione di riconoscere, di articolare e di soddisfare
  2. suoi bisogni. Anche i bisogni e gli interessi dei bambini sono socialmente determinati. Il tentativo di soddisfare i bisogni e di percepire gli interessi porta al confronto con la realtà politica e sociale esistente. Autoregolazione non significa quindi mera fede in un principio, ma confronto con le limitazioni poste dalla società e dallo stato, nella misura in cui esse ostacolano l’autoregolazione. Chi conosce i suoi interessi ed è abituato a regolare autonomamente i suoi bisogni non la- scerà che queste limitazioni passino inosservate. Lui solo è capace di cambiamenti sociali ».

Lo stesso concetto di autoregolazione è alla base delle ‘ libere scuole materne ’ organizzate a centinaia negli Stati Uniti; data tuttavia l’alienazione dei rapporti umani che prevale in una società classista, competitiva e materialista come quella americana, gli asili liberi americani sottolineano maggiormente le componenti emotive della liberazione e dell’autoregolazione. Si insegna ai bambini a esprimere i propri sentimenti, a confrontarli con quelli dei compagni, a verbalizzare e drammatizzare le proprie emozioni attraverso esercitazioni, giochi animati, piccoli psicodrammi. Quest’educazione emotiva al rapporto con se stessi e cogli altri è considerata indispensabile al pieno sviluppo dell’individualità di ciascuno e alla creazione di rapporti interpersonali e sociali più umani.

Le esperienze italiane si rifanno sia agli asili tedeschi sia ai principi di autoregolazione. Tra gli esperimenti di ogni paese abbiamo scelto di descriverne tre: l’asilo russo di Vera Schmidt, perché nonostante i suoi limiti, comuni a quasi tutte le esperienze alternative (isolamento dal contesto istituzionale reale, elitismo, approssimazione teorica e pratica, enfasi selettiva sulla liberazione di alcuni aspetti dell’oppressione infantile, ecc.) ci sembra un tentativo interessante e coraggioso di applicare le conoscenze psicanalitiche ad una educazione sessuale meno repressiva. L’asilo italiano di Porta Garibaldi è sembrato notevole perché ha dedicato molto spazio a un problema fondamentale, quello di quale debba essere il giusto rapporto tra adulto e bambino dato che per ragioni economiche fisiche sociali e culturali questo rapporto è forzatamente asimmetrico.

L’asilo romano è stato scelto perché rappresenta il tipo di asilo antiautoritario che più s’ispira alla prassi di Neill, e inoltre ha il vantaggio di rappresentare un’esperienza alternativa attualmente in piena espansione.