appello dalle carceri femminili cilene

maggio 1975

 

Pubblichiamo il testo di un breve articolo di Evelyne Sullerot, comparso il 30 marzo scorso sul quotidiano parigino «Le Monde» con il titolo «Les oubliées de l’année de la femme» (Le dimenticate dell’anno della donna), a proposito delle prigioniere politiche cilene. Invitiamo le lettrici di Effe a manifestare la loro solidarietà per queste donne sottoposte ad atroci torture nelle carceri del regime fascista cileno.

L’Associazione Italia-Cile (Via di Torre Argentina – 00186 Roma), sta proseguendo la raccolta delle firme per la liberazione delle prigioniere cilene. Questa campagna di solidarietà, che è stata promossa durante l’inverno, è una iniziativa parallela a quella francese. Italia-Cile prega di mandare copia dì ogni attestato dì solidarietà inviato al comitato francese:

Le loro immagini non sono affisse sui muri e le loro voci non giungono fino alle nostre orecchie; non riusciamo a sapere quali imprecazioni e quale lamento di infinita stanchezza potrebbe uscire dalle loro bocche se solo potessero parlare.

Sappiamo solo che alcuni uomini ogni giorno sono testimoni della loro umiliazione, sentono le loro grida sotto la tortura, le vedono passare impotenti a proteggerle; e sappiamo che questi uomini arrivano a piangere per la disperazione. Uno di essi è riuscito a farci avere una testimonianza dall’interno di una delle carceri promiscue in cui vengono ammassati: egli stesso ammette che sono loro, le donne, quelle da compiangere di più. Le vede ogni giorno passare lungo il corridoio di fronte alla sua cella, in direzione delle toilettes, in fila indiana, ognuna con una mano appoggiata sulla spalla dell’altra, con gli occhi bendati perché viene loro negato il diritto di vedere. Si sforzano di camminare bene erette, fiere, malgrado l’osceno sarcasmo dei secondini che si divertono a farle inciampare. Alla cieca, per via delle bende sugli occhi, vengono costrette a fare i loro bisogni a tempo di record, mentre i secondini, guardoni, fanno commenti.

Tornano quindi indietro, in silenzio forzato, mentre gli stessi che in altri momenti le torturano e le picchiano, si divertono a toccarle man mano che passano dinanzi a loro. Chi parla viene obbligata a restare ore e ore nel corridoio, e quando, dopo una intera notte, comincia a vacillare per la stanchezza, viene attorniata dai secondini che se la giostrano come fosse un birillo e abusano di lei coprendola di insulti. La condizione dei prigionieri politici sotto un regime totalitario è certo una prova drammatica per il corpo e per lo spirito, sia per gli uomini che per le donne. Gli uomini, però, non sono costretti a subire giorno e notte l’oscena e sadica parodia dell’amore da parte dei loro carcerieri. E nessun uomo, gettato in cella dopo un interrogatorio di terzo grado è costretto, in sovrappiù, a temere di attendere un figlio dal suo carnefice. Le donne, sì. La loro dignità di persone viene calpestata, ma ancor più duramente la loro identità di donne. Quanto odio alimenta il sadismo di questi gendarmi!

Queste donne sono di sinistra! Non solo non hanno mai partecipato alle famigerate «parate delle massaie» dove le casalinghe venivano aizzate contro Allende, queste donne sono anche assai convinte delle loro idee politiche. E molte di esse hanno un titolo di studio, sono professoresse, dottoresse, giornaliste. Quale migliore possibilità di vendetta per i gendarmi di Pinochet! Il figlio di Carmen Castillo Etcheverria, che lei aveva partorito dopo mesi di prigionia e di torture, è morto. La figlia di undici mesi di Soledad Tana è stata torturata sotto gli occhi della madre. In seguito a una serie di ricerche e di verifiche siamo venuti a conoscenza dei nomi di 230 donne e dell’indirizzo del carcere nel quale sono rinchiuse. Ogni lettera, appello, telegramma che verrà loro inviato sarà senz’altro preferibile al silenzio che, per loro, può risultare fatale. Per chi sta in carcere qualsiasi iniziativa individuale è meno dannosa del silenzio.

Soledad Jana e la sua bambina sono state di recente liberate grazie alle iniziative portate avanti in loro favore in vari paesi. Tutti coloro che vogliono aiutare le prigioniere cilene si facciano sentire. Diremo loro cosa fare.

Scrivete a «M.me E. Peiret 9, Rue du Duras – 75008 Parigi CCP MDPL 33086-67 – La Source – Pa. ligi.

Il Comitato di difesa delle prigioniere politiche cilene informa che Diana Aron, di 24 anni, giornalista, è morta. La sua morte, avvenuta in una delle case di tortura della DINA, resa nota da Amnesty International, è stata causata da una perforazione dei reni; informa anche che non si hanno più notizie di Alessandro Jaque, di sette anni, figlio della giornalista Gladys Diaz, nelle carceri della DINA da febbraio.