arrediamoci una casa di marzapane

maggio 1976

alla casa come «sintomo» del malessere di abitare non avevo mai pensato, avevo pensato alla casa come ad un nido caldo, ad un posto di lavoro, ad un indirizzo, senza precisi aggettivi, ma come al sintomo del male di vivere, no.

Alla mostra organizzata dalla Mides (alla Fiera di Roma intitolata all’architetto Le Courbisier ospitato da Casa-Idea) invece ho visto la malattia della casa, in tutte le sue manifestazioni. La febbre alta era indicata dallo slogan «Casa-Idea», ossessiva e martellante come un mal di denti. La Casa-Idea inventata dai tecnici architetti e offerta alle masse.

I collaboratori organizzatori annuncia vano nei librettini (del tipo«come s capisce una mostra») la scoperta ideo logica che la fiera voleva sottolineare e cioè che un pubblico più informato é più esigente, fa alle case produttric di arredamenti richieste precise. Il gu sto si evolve in maniera meravigliosa facendo una danza. Da una parte il produttore dall’altra il consumatore dispensatore di illuminanti suggerimenti. Il consumatore è una selvaggina manipolata dalla pubblicità, diretta e indiretta, ed è come il «pollo supermarket» pulito e spennato, pronto al forno. Se è una gallina è meglio. Giro per gli stands della mostra, e vedo tutto uno zoo di palombelle, tacchi-nacce, gallinotte e gru reali aggirarsi tra moquettes e carte da parati. C’è un grande domandare quanto costano le rifiniture esotiche, il mobile di bamboe, la finta tigre (…fosse la pelle di quella di Sandokan dagli occhi all’ostrica in guazzetto?) ma allora la casa è sentita non solo come il sintomo, ma come un posto per evadere dalla galera quotidiana, forse anche la febbre è il sintomo per fuggire malattie più profonde. Meglio subire tutto un salotto di vero cuoio (ovviamente bulgaro, completo di signore in tweed molto «English lavander») che gridare forte la gioia di sdraiarsi per terra su dei cuscini, magari polverosetti. Le case produttrici sanno tutto questo e speculando ampiamente, vendono cicli completi di servizi di piatti veri Meissen composti di «tremendamila» pezzi, che però resisteranno al lavaggio nella lavapiatti. Orge dì pranzi con i nonni, completi di amici dei nonni che loderanno lo stupendo blu delle decorazioni e considereranno fra sé l’opportunità di comprare azioni privilegiate Ginori (nel caso del nonno intrallazzatore) oppure l’inutilità dei disegni che confondono il colore e il sapore del cibo nel caso del nonno godereccio (caso raro, nelle famiglie medio-borghesi).

La mostra vende tutto, o meglio indica dove andare a comprare quel tutto così confortevole e stimolante, quelle Case-Idea che renderanno il pollaio di ciascuna gallinotta ridente e godibile, come nemmeno una conigliera riuscirebbe mai. Sì perché a questo punto vengono in mente i reali spazi a disposizione delle unità abitative, e ti prende il mal di cuore.

Con questo cuore travagliato e stimolato da voglie contro-voglie, odori e colori, allettamenti da letti trapuntati con sopra disegnate frasi del tipo «il vero letto della felicità» ovvero «la felicità è un vero letto» o forse «non è il letto che fa la felicità» (vedi articoli prodotti da artisti, che insieme a questo producevano sedie in vero abete a forma di mani unite in una coppa accogliente) (sic!) la mostra ti convoglia in un bianco corridoio, in uno spazio bianco e pulito.

L’abbiamo trovata! L’ideologia consumistica e speculante sulle conigliere non è riuscita a nasconderla, la Casa-Idea deve lasciare da parte la Casa e lasciar spazio all’Idea di abitare che l’architetto Le Courbisier viveva.

Dal catalogo la mostra risulta costruita sulla idea che l’architetto aveva della «macchina per abitare», cioè del mobile. Charlotte Perrland, (o guarda caso) una donna vivace e intelligente che fu sua collaboratrice e alla quale si deve molto del materiale della mostra, è presente nelle invenzioni esposte.

La «Chaise-longue» e la sua antenata disegnata da un anonimo, prototipo della comodità, vengono presentate su palchetti di mattoncini bianchi, in coni di luci che separano lo spazio in tanti ventagli di tempo. In questi ventagli, l’architetto Le Courbusier e la Perriand e Pierre Jeanneret ci indicano l’antidoto per non vivere come polli in una stia.

«Pensare qualcosa… nei momenti di riposo» ha detto Le Courbisier. Quali momenti di riposo mi domando? E lo domando a chi circola in tutto questo spazioso bianco riverberante. Mi rispondono un pò allucinati. Una professoressa mi dice che ha trovato doveroso portare (e all’inizio ha avuto resistenze da parte dell’amministrazione) le sue ragazze a vedere queste cose, perché vivessero un momento di bellezza; io mi chiedo se riusciranno anche a capire che la casa non dovrebbe essere un posto dove accumulare collezioni di conchiglie o accendere fìnti caminetti, ma un punto di partenza per aprire una nuova lotta. Il modo di stare nello spazio che abitiamo ci condiziona e fare di questo un argomento di discussione potrebbe essere una base per avere in un domani delle case che riflettano un sistema più generoso di stare insieme. Le donne devono costituirsi questo metro di valutazione per come dovrà essere lo spazio da abitare, devono discuterlo per proporlo.

E’ o non è la donna l’angelo della casa? Bisogna stabilire se di una casa di marzapane come quella della strega di Hansel e Gretel, o di un «diverso» su cui si è parlato fino allo sfini-‘ mento ma che fin’ora ha prodotto, «il legno di abete si fa vecchio ma non cede» «il mio persiano (tappeto non gatto) è più autentico del tuo» «creiamo oggi l’antiquariato di domani» (splendide prospettive di crescita) (sic!) e via dicendo.