chiesa, capitalismo, fascismo: mamme si nasce

maggio 1976

Elisabetta: 23 anni, quarto anno di medicina, una ragazza come tante: moderna, emancipata, vive da due anni con il ragazzo. Ha già fatto un aborto ed ora è di nuovo incinta e non può permettersi questo figlio. Abortirà di nuovo piena di sensi di colpa ed incapace di dare una spiegazione razionale del perché usasse l’Ogino Knaus abbinato al coito interrotto, rivelatosi già fallimentare.

Adele, laureanda in biologia, ha avuto i primi rapporti sessuali a 24 anni, dopo quattro mesi (durante i quali non usava nessun contraccettivo, tranne un generico conteggio dei giorni), è rimasta incinta. Il ragazzo l’ha lasciata, la famiglia le è ostile, non ha un lavoro. Sapeva tutto sulla struttura molecolare dell’acido ribonucleico quello che dà la vita), ma faceva confusione tra vagina e utero. Abortirà a Londra.

Patrizia, vent’anni, frequenta la scuola interpreti, viene da me con il ragazzo che esordisce dicendo «la mia ragazza è incinta, dobbiamo abortire». Invitata Patrizia a esporre personalmente i suoi problemi afferma che non usava anticoncezionali perché aveva rapporti ^< solo» da quattro mesi e che aveva in programma di prendere la pillola. Abortirà a Londra. Simona, ventidue anni, studentessa in medicina, tre anni di rapporti sessuali, tre anni di coito interrotto. Secondo mese di gravidanza. Rifiuta la pillola adducendo motivazioni pseudoscientifiche sulla sua non provata innoquità; aggiunge anche che il suo ginecologo gliel’aveva sconsigliata. Confessa resistenze psicologiche verso il diaframma «Mi fa senso applicarlo da sola». La spirale «è cancerogena per la mucosa endouterina» mi risponde con scientificità di terminologia, ma non di informazione. Il discorso per le donne proletarie è chiaramente più drammatico anche perché l’aborto è l’unico controllo delle nascite che il sistema ha concesso loro di conoscere. Ho scelto questi casi tra i tanti registrati in due anni di consulenza presso un centro di controllo delle nascite, perché sono i più significativi per introdurre il discorso delle resistenze psicologiche alla contraccezione e sono anche quelli che sollevano molti interrogativi. Perché queste donne che hanno tutti gli strumenti culturali e finanziari per accedere ad una contraccezione valida, si affidano al famigerato Ogino-Knaus o peggio al «ci sta attento lui», hanno paura di toccarsi i genitali per applicarsi il diaframma, o smettono la pillola dopo un mese? Ricordo che una compagna femminista mi ha detto che prendendo la pillola aveva un assillo continuo «e se fossi sterile e la prendessi per niente?». Perché infatti queste donne pur conoscendo l’esistenza dei contraccettivi e di medici disposti a prescriverli, decidono di ricorrervi solo dopo il primo aborto o una gravidanza, se non per il fatto di avere ormai accertato il proprio stato di «normalità», La maternità (non come libera scelta) è vissuta come ricerca di gratificazione sociale da raggiungere per essere accettate ed accettarsi — però solo nell’ambito delle sacre istituzioni matrimoniali —. Infatti la resistenza opposta da molte all’uso dei contraccettivi, è dovuta in buona parte al profondo desiderio di mettere alla prova la propria capacità di procreare, in parte anche dalla sessualità vissuta come colpa e pertanto punibile con il rischio della gravidanza. Scrive Willy Pasini (1) «la contraccezione non è soltanto un problema di tecnica ginecologica, ma è soprattutto un comportamento umano, nel quale la visione soggettiva della sessualità e della maternità, intimamente caricate di affettività ed emozioni, svolge un ruolo essenziale». E ancora: «in essa il desiderio di gravidanza sembra spesso in opposizione con la volontà razionale di evitarla, perché la pratica contraccettiva agisce nel senso di rimettere in discussione il ruolo della donna in campo materno e sessuale e, rappresentando ancora per molte donne la maternità la realizzazione essenziale della loro femminilità, si può comprendere perché vivano la contraccezione come una specie di castrazione simbolica».

Questa posizione così fortemente conflittuale che tutte noi abbiamo vissuto o viviamo tutt’ora è spiegabile solo se andiamo a vedere punto per punto tutte le situazioni di potere che ci hanno pesantemente condizionato educandoci rigidamente ad un ruolo di «figlia, moglie, madre» buona, sottomessa, rispettosa.

Ogni epoca storica ed economica ha deciso di noi, del nostro corpo, alzando ed abbassando le leve del potere: ora fate figli! Ora basta, siamo in troppi! Ora in fabbrica! Ora basta, c’è la crisi, a casa! Diamo o no loro l’aborto legale? ecc.

L’espropriazione così totale del nostro corpo è stata sancita per prima dal patriarcato che, non dimentichiamolo, è nato prima del capitalismo, Con il patriarcato la donna è diventata uno strumento di riproduzione del quale appropriarsi per controllarlo. Nel momento stesso in cui l’uomo ha realizzato un collegamento tra atto sessuale e fecondazione, ha deciso che i figli «erano suoi».

Scrive Eva Figes: (2) «La spinta motivazionale alla supremazia maschile sulla femmina è intimamente connessa con il concetto di paternità. Una volta che l’uomo ha scoperto il collegamento tra l’accoppiamento e la fecondazione, il legame fisico tra se stesso ed il bambino che la compagna porta in grembo, che comprende come il figlio sia decisamente suo, ossia la «continuazione» di se stesso, tutto diventa possibile. Insorge il concetto della continuità individuale e l’uomo, a patto che riesca a controllare la propria donna, diventa in un certo senso immortale. Egli, giocando al ribasso sul ruolo decisivo che la donna assume nella procreazione e, considerandola come semplice «recipiente» da inseminare, scopre e sfrutta una sensazione nuova di potere: il dominio incontrastato sull’ambiente. Potrà tramandare il proprio nome e le ricchezze ai figli maschi, beffando così finalmente la morte. Vale allora la pena lavorare sodo, accaparrare ricchezze… vale la pena ereggersi a conquistatore aggressivo, avanzare pretese sulla terra e conservarla a tutti i costi».

Certo il passaggio è stato graduale, ma inesorabile, la discendenza matrilineare (cioè i figli erano della madre in quanto l’accoppiamento era libero) è andata sfumando anche con il consolidamento della società agricolo-rurale e con l’avvento della proprietà privata. Da questo momento per Engels (3) (ed anche per noi…) «l’uomo assunse il governo della casa, la donna fu avvilita, asservita, divenne la schiava del suo piacere e un semplice strumento di riproduzione, Questa posizione degradata della donna è stata gradualmente inorpellata e dissimulata, e in taluni luoghi rivestita anche in forme più dolci, ma in nessun caso abolita».

Fino ad oggi tutto questo è stato funzionale all’ideologia del sistema patriarcale e capitalistico, Da qui la pretesa dell’uomo di imporre la maternità anche non voluta alla donna, alla quale fino ad oggi è stata preclusa ogni possibilità di funzione attiva nella procreazione (se non attraverso l’aborto), negandole ufficialmente il diritto di un controllo del suo corpo, costringendola attraverso pesanti condizionamenti sociali e ricatti morali del cattolicesimo, ad accettare la maternità come un fatto prettamente «naturale», ineluttabile, non connesso al suo volere, in poche parole a subirla. Capitalismo e fascismo a braccetto con la Chiesa cattolica hanno particolarmente imperversato dall’inizio di questo secolo per timore di perdere parte del controllo sulle masse femminili che inserite forzatamente come manodopera a basso costo nel processo produttivo prendevano coscienza di alcuni fondamentali diritti. Al capitalismo servivano braccia, al fascismo servivano baionette e la Chiesa eterna trasmettitrice dell’ideologia del potere, usando la leva emozionale della religione, scagliava fulmini sotto forma di encicliche per ogni atto sessuale non finalizzato alla riproduzione. Ecco alcune «perle» della storia di questa triplice alleanza:

Chiesa. L’ineffabile S. Tommaso «padre» della Chiesa scrive: «massimamente si vergognano gli uomini degli atti sessuali tanto che anche i rapporti coniugali, pur distinguendosi per la loro dignità dello stato matrimoniale, non sono mai esenti da vergogna». Gli fa eco nel 601 Gregorio I «l’accoppiamento serve a generare figli non

alla lussuria». Per S. Agostino «la conversione esige la rinuncia alla donna perché esse sono di ostacolo sulla via che conduce a Dio». Di oscurantismo in oscurantismo arriviamo al nostro secolo. 1930, piena era fascista, Papa Pio XI nella sua enciclica «Casti Connubi» condannava ogni mezzo di controllo delle nascite, ribadiva la superiorità dell’uomo sulla donna, la subordinazione civile e patrimoniale di questa, l’insensatezza e la pericolosità dell’emancipazione femminile, e persino l’aborto terapeutico. 1951, Pio XII, nel sua discorso alle ostetriche definiva i limiti in cui era consentito l’uso del metodo Ogino-Knaus. Limitare anche l’uso dell’Ogino suona perfino grottesco se non fosse stato tragico perché le masse femminili cattoliche erano (e sono?) pesantemente condizionate dal Vaticano attraverso l’Azione Cattolica femminile. Sotto la loro paterna benedizione morivano e muoiono donne non in grado di portare a termine una gravidanza, avvengono suicidi di madri sfiancate dai continui parti e incapaci di controllare la propria fecondità, continuano gli scandali vergognosi degli aborti clandestini, 1968, Paolo VI, enciclica «Humanae vitae» riconferma le tradizionali posizioni verso il controllo delle nascite.

Non si smentisce nemmeno il recente documento vaticano sulla sessualità che non fa che parlare di «paternità» responsabile, e eccezionale, ma che grossa apertura!, nominano perfino gli omosessuali (maschi, guarda caso!). D’altra parte essi sono solo coerenti, sono cinque secoli (dalla controriforma) che dicono sempre le stesse cose. Non ci sognamo di cambiare la Chiesa, ormai come femministe ci limitiamo ad analizzarla come fenomeno politico e di costume. Anche se l’educazione sessuofobica impostaci nell’infanzia ci ha creato non pochi guai a livello inconscio.

Nel ventennio fascista. Gli ideologi del potere, durante il fascismo, si servirono di ogni mezzo (scuola, stampa, cinema ecc;) per ricacciare nuovamente la donna in casa. Scrive Piero Meldini (4) «Il fascismo, dottrina etica si preoccupa di restituire alla donna la sua missione procreatrice e domestica, all’uomo la sua dignità maritale e la famiglia alla sua funzione educativa e sociale» …«la radicale inconciliabilità dei sessi, l’inferiorità intellettuale e spirituale della donna, la sua completa estraneità alla dimensione politica e sociale, la sua insopprimibile vocazione al ruolo di casalinga e di madre, questi i motivi di fondo dell’ideologia fascista sulla donna».

La necessità che la donna accetti come primario all’interno della famiglia il suo ruolo materno è fondamentale in questo periodo. Il regime si serve di ogni strumento per mistificare al massimo la funzione materna, avendo come principale sostegno e fedele alleata la Chiesa, con la già citata «Casti Connubi». Non meno della Chiesa, la medicina si adopera per fornire al regime svariate teorie pseudo-scientifiche sul benessere conseguente alla maternità. Scrivono i luminari di regime: «gli stati di gravidanza ripetuti aumentano la bellezza, oltreché le resistenze dell’organismo femminile contro tutte le infezioni». Fino ad affermare: «l’esistenza di una sindrome (cioè di un quadro morboso) derivante da un atteggiamento psichico contrario alla maternità e poi dalle pratiche che a questo possono connettersi» (un chiaro riferimento all’aborto). Gli scienziati incalzano: «i figli delle unipare e delle bipare (uno o due figli), i quali invece sono anche soggetti, causa l’anormale erotismo provocato dalla limitazione delle nascite, a fenomeni di precocità sessuale ed autoerotismo». Così la donna, ridotta a macchina riproduttrice, garantisce all’impero un immenso esercito di uomini da sfruttare a fini bellici e colonialistici.

Alla caduta del fascismo l’Italia ha avuto la sua Costituzione, ma dietro a questa facciata democratica ci siamo portate addosso trent’anni di codice Rocco (il codice penale scritto durante il fascismo) che tuona verso i «delitti contro la stirpe», cioè: anticoncezionali, aborto, sterilizzazione, e la stessa ideologia reazionaria nei confronti della donna anche se riveduta e corretta. Il recente voto della coalizone D.C.- M.S.I. contro l’aborto legale riconferma questo stato di cose.

Capitalismo. Nel mondo occidentale e in Italia in particolare il capitalismo si serve della donna e della “famiglia per la produzione e riproduzione della forza lavoro. Il processo di «emancipazione» della donna italiana ha dato solo una patina di modernità al patriarcato ed un pretestuoso riformismo al capitalismo in quanto le donne vivono in una situazione di forte contraddizione: se da un lato si sentono fortemente motivate ad identificarsi, almeno esteriormente, col modello emancipato che i mass-media propongono: atteggiamenti, abbigliamento, trucco, una certa cultura nozionistica ecc., avvertono poi delle forti resistenze inconsce nel processo di un reale riscatto sessuale, nell’accettazione cioè del piacere umano della sessualità svincolata da ogni norma colpevolizzante e dal fine procreativo. La diffusa tendenza della delega all’uomo in «cose di sesso», l’assenza di autonomia e di iniziativa nell’uso degli anticoncezionali e, in genere, una totale ignoranza e disinformazione in campo sessuale, spesso non sono nemmeno vissute in conflitto con la propria emancipazione, ma come il necessario tributo al proprio stato di donna. La conferenza sulla popolazione organizzata dall’ONU nel 1974 a Bucarest, ha tentato di far assumere ai governi impegni di pianificazione delle nascite (essendo tutti preoccupati, anche se per motivi diversi, dell’esplosione demografica), secondo il metodo del «population planning» (cioè controllo delle nascite imposto dall’alto). E’ superfluo dire che in tutte queste operazioni di vertice la donna non viene tenuta nel ben che minimo conto e quelli che sono i suoi diritti all’autogestione del suo corpo in campo procreativo vengono del tutto ignorati. La donna nel sistema capitalistico è spesso una doppia sfruttata: sul lavoro e nelle sue funzioni di casalinga. Quando è solo casalinga crede di vivere un lavoro isolato ed improduttivo, ed è invece la seconda area di sfruttamento capitalistico. La presa di coscienza del suo sfruttamento è difficile e lontana perché la donna subisce il ricatto morale ed affettivo (oltre che economico) della famiglia. Oltre tutto la casalinga ha ben interiorizzato il suo ruolo ed essa stessa trasmette ai figli i valori dominanti, primo fra tutti l’educazione differenziata secondo il sesso, affinché si perpetuino i ruoli confacenti ed utili al sistema. A questa donna, capitalismo e patriarcato hanno imposto un vòlto ed un ruolo nuovo: quello sessuale, esasperato ed oggettivizzato a puri fini commerciali e consumistici. Ecco allora fiorire accanto alle riviste femminili tradizionali, quelle che fanno tanto «donna spregiudicata», dove il culto dell’orgasmo a tutti i costi e l’obbligo di essere una brava amante oltre che una brava moglie è il tema di fondo. Per la donna che inizia a manifestare disagio e scontentezza all’interno della famiglia ecco pronto il nuovo feticcio.

E’ chiaro dunque che niente di ciò che il sistema permette ha a che vedere con un’autentica liberazione sessuale, né con i reali bisogni consci e inconsci della donna di abbattere i frustranti ruoli di moglie-madre-oggetto sessuale.

I meccanismi di pseudo-emancipazione messi in atto dal capitalismo, all’esclusivo fine di consolidare e riadeguare il ruolo della donna, rappresentano un «tentativo disperato della borghesia di riportare soddisfatti donne e uomini in famiglia».

Oggi che sono entrati in crisi gli automatismi di regolamentazione demografica (guerre, epidemie, mortalità) e che occorre porre freno all’aborto clandestino di massa, il capitalismo è stretto tra la necessità di attuare una politica di controllo delle nascite e quella di non tollerare che a ciò la donna arrivi attraverso una gestione diretta del suo corpo, pena il crollo dei valori su cui il sistema stesso si basa. In Italia si è risposto all’esplosione del problema aborto con la legge 405 sull’istituzione dei consultori familiari, tentando di ripiegare su questo obiettivo quando la regolamentazione dell’aborto era ormai diventata una questione improrogabile. L’impostazione della legge dà una risposta riformista ai bisogni espressi dalla donna, in quanto l’art. 1 della 405 sottolinea il fatto che i consultori sono: per la coppia, la famiglia, per il prodotto del concepimento e poi {da buon ultimo) per la contraccezione. Niente di meglio di un consultorio istituzionale gestito con i soliti criteri paternalistici per controllare i bisogni reali delle donne. Noi donne dobbiamo riacquistare il potere e la confidenza sul nostro corpo in termini anche psicologici oltre che fisici e questo può avvenire solo attraverso l’incontro con altre donne per la presa di coscienza e attraverso la pratica del self-help. Pratica guardata con enorme sospetto se non con derisione dalla classe medica, la stessa che avrà una grossa parte di potere all’interno del consultorio. (Merita un discorso a parte l’atteggiamento della classe medica italiana nei confronti della contraccezione e dell’aborto, analisi che affronteremo nei prossimi numeri).

A seconda della gestione e dell’impostazione ideologica, i consultori possono essere finalizzati al consolidamento dell’unione familiare o alla presa di coscienza della donna, al suo diritto all’autodeterminazione in campo sessuale e sociale.

Solo quando noi donne anche attraverso i consultori acquisteremo il diritto di vivere quali persone a prescindere dagli schemi fissi di figlia-moglie-madre, di sentire la sessualità come espressione di noi stesse in quanto donne, di considerare la maternità una scelta da fare, avendo però la possibilità di attuarne altre prima e dopo di questa, inizierà la nostra «humana vita».

 

(riduzione a cura di Lucia Bolognese)

(1) Willy ‘Pasini «< Contraccezione e desiderio di maternità», Feltrinelli ed., Milano, 1975.

(2) Eva Figes «Il posto della donna nella società degli uomini», Feltrinelli ed., Milano, 1975.

(3) F. Engels «Origine della Famiglia, della proprietà privata, dello Stato», Savelli ed., Roma, 1973.

(4) Piero Meldini i«Sposa e madre esemplare, ideologia e politica della donna e della famiglia durante il Fascismo», Guaraldi ed., Firenze, 1975.

Bibliografia:

Il Manifesto «Famiglia e società capitalistica», Alfani ed., Roma, 1974.

AA. VV. «La moglie e la prostituta: due ruoli e una condizione», Guaraldi ed., Firenze, 1975.

M. R. Dalla Costa «Potere femminile e sovversione sociale», Marsilio ed., Padova, 1972.

Joannes F. V. «Crisi dell’antifemminismo», nella collana Idoc, documenti nuovi, Mondadori, Verona, 1973.

Centro Italiano Anna Kuliscioff «I figli, scelta libera e responsabile», Quaderno 1°, Roma, 1974.

Ferraioli L. «Aborto e ideologia borghese della tutela della vita» in «Quale Giustizia», la Nuova Italia, n. 34-35, gennaio 1976.