da «dura lex» a «i nostri diritti»

giugno 1976

è uscito in questi giorni, edito da Feltrinelli, «I nostri diritti», un manuale giuridico per la donna scritto dall’avvocatessa Laura Remiddi. Elena Doni ne ha parlato con Laura qualche giorno prima che il volume arrivasse in libreria.

D Laura, com’è nato il tuo libro?

R – Si potrebbe dire che è nato sulle pagine di «Effe». Nel luglio 74 «Effe» pubblicò un mio articolo intitolato «Dura Lex», che era una serie di risposte alle domande che le donne si pongono più di frequente in materia di leggi. Nel corso della mia attività professionale avevo notato che spesso le donne venivano a consultarmi non tanto con l’intenzione dichiarata di fare una battaglia legale, quanto per conoscere precisamente i loro diritti. La prima telefonata che ricevetti dopo la pubblicazione dell’articolo su «Effe» fu quella di Alba Morino, che dirige l’ufficio stampa della Feltrinelli e che mi propose di scrivere un libro di consultazione pratica non solo nel campo del diritto famigliare, ma anche in materia di proprietà e di lavoro. Ecco, questo è l’atto di nascita de «I nostri diritti».

D Anche il libro è concepito in forma di domanda e risposta?

R – No, il libro è ordinato per argomenti ed ogni argomento è stato trattato cercando di evitare il più possibile i termini giuridici.

D Sarebbe a dire che è accessibile anche a chi non conosce il latinorum delle leggi?

R – Sì, il mio è un libro che è stato scritto per il più vasto pubblico possibile, anche per chi non ha una cultura secondaria. E in appendice c’è un glossario per chiarire quei termini giuridici che è stato inevitabile usare.

D Leggendo l’indice mi sembra che la parte più interessante, o almeno la più nuova è la prima, cioè quella che riguarda la donna come persona. Vedo qui, per esempio, un capitolo intitolato «Un figlio artificiale». Io non sapevo nemmeno che quest’argomento fosse stato materia di legislazione: cosa stabilisce la legge italiana?

R – In realtà non stabilisce niente. L’argomento è stato dibattuto perché i giuristi cattolici vedevano nell’inseminazione artificiale un’insidia contro la famiglia e il matrimonio e si sono a lungo battuti affinché non fosse consentita. Era l’ennesimo esempio della volontà maschile di controllare la procreatività femminile. È stato a lungo dibattuto, per esempio, se l’eventuale inseminazione dovesse essere omologa, cioè con seme del marito, oppure eterologa, con seme di un altro uomo; se il donatore dovesse essere persona nota e se si dovesse o no registrare il nome del donatore; se fosse preferibile impedire qualsiasi possibilità di riconoscimento e di controllo usando un miscuglio di liquidi seminali. Dopo tanto discutere si è visto però che non esisteva in tutto il nostro sistema giuridico una norma che potesse proibire l’inseminazione artificiale: perciò in questo caso la donna è libera di agire secondo la sua decisione.

D Dicevi prima del tentativo degli uomini di controllare attraverso una legge la procreatività femminile. In realtà tutto il corpus delle leggi è fatto di norme create dagli uomini per gli uomini, a discapito o a dispetto delle donne. Come hai fatto — mi chiedo — a interpretare queste leggi da un punto di vista femminista?

R – Il femminismo sta nell’ottica con la quale si esaminano le leggi. Vorrei sottolineare, per esempio, che nel libro, quando parlo di diritto di lavoro, critico tutto il sistema legislativo italiano, protettivo per la donna, per ottenere il quale sono state condotte tante battaglie «femminili».

D Anche leggi recenti, come quella che ha istituito i consultori, hanno una impostazione maschista?

R – Per quello che riguarda i consultori bisogna subito chiarire che la legge non è stata fatta per le donne. La lettera della legge è tutt’altro che femminista. Non per niente sono stati chiamati consultori famigliari e si fa riferimento ai «problemi della coppia e della famiglia», al «servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità» e così via. Tuttavia, poiché la legge nazionale dovrà essere messa in pratica dalle regioni, mi auguro che questo mio libro contribuisca a fornire un’indicazione per la nascita di consultori che vedano la donna protagonista consapevole e non solo soggetto passivo al quale ammannite medicine e buoni consigli.

D E veniamo alla patte che riguarda il diritto di famiglia e, in particolare la regolamentazione della separazione e del divorzio. A volte, osservando certi casi intorno a me, ho la sensazione che le leggi che proteggono il cosiddetto coniuge più debole, finiscano per negate la dignità di persona alla donna. Quando il giudice obbliga un uomo a mantenere vita naturai durante una donna che, magari per breve tempo e senza avere figli, è stata sua moglie, non fa che ribadire il concetto che il matrimonio è l’unica possibilità di realizzazione della donna. In pratica, il matrimonio diventa una forma di prostituzione legalizzata. Che ne pensi?

R – Una donna che si serve delle leggi per fare la mantenuta legale è stata evidentemente così castrata della sua personalità che non può più pensare di esistere senza fare riferimento al partner maschile. Quindi quando sfrutta le leggi a suo vantaggio non fa che pretendere un risarcimento del danno che le ha inflitto la società indicandole come strada a senso unico quella della mantenuta.

D Una donna liberata e che conosca i suoi difetti può, secondo te, oggi in Italia avere una vita libera?

R – Evidentemente i condizionamenti dell’educazione, e sociali in genere, sono così forti che è difficile esserne immuni. Ma va detto che spesso le donne sono intimidite da vaghe minacce in cui si fa riferimento a leggi che non esistono: pensa per esempio quante volte, ancora oggi, si sente pronunciare la frase «ti mando in galera». La verità invece è che ormai la nostra legislazione è più avanzata del costume predominante in larghi strati sociali: quindi conoscere una legge progredita diventa uno stimolo al progresso sociale. E poi la conoscenza è, in ogni caso, un’occasione di maturazione. Così come ci siamo accorte che conoscere il nostro corpo è un arricchimento di tutta la personalità, penso che conoscere i nostri diritti sia un bagaglio culturale indispensabile. Io credo di avere scritto un libro democratico e femminista perché ho tentato di portare a conoscenza di tutte le donne quelle conoscenze e quegli strumenti che prima si consideravano riservati ai giudici ed agli avvocati.

D Vuol dire che, sulla scorta del tuo libro, si potrebbe fare a meno dell’avvocato?

R – In parecchi casi sì. In appendice al libro sono riportate le indicazioni precise di come si possono espletare da sole molti procedimenti: ho scritto quali sono i documenti da presentare, la forma della domanda, l’iter da seguire per un accesso diretto alla giustizia. Per esempio nelle richieste di adozione o nei casi di separazione consensuale insegno come fare a meno dell’avvocato.

D Una curiosità: quanto tempo ti è costato scrivere questo libro?

R – Nove mesi: è stato proprio un parto… Diciamo, in realtà poco meno di un anno, durante il quale, ovviamente, ho continuato a svolgere il mio lavoro di avvocato. Se avessi dovuto scrivere per altri avvocati avrei impiegato probabilmente la metà del tempo: lo sforzo maggiore l’ho dedicato al linguaggio, cioè al tentativo di evitare la terminologia giuridica alla quale sono abituata per riuscire a farmi capire da tutte quelle che vorranno leggermi.