danis frigato

25 anni Responsabile commissione femminile comitato regionale veneto

maggio 1976

D Che senso ha mantenete le commissioni femminili perpetuando la ghettizzazione dei problemi che riguardano le donne in questo momento storico quando affiora sempre più prepotentemente la necessità di superare la subordinazione in cui è stata tenuta la «questione femminile»?

R – Più che di ghetto la commissione femminile è uno strumento — anche nei confronti del partito — delle donne che noi abbiamo sempre voluto anche negli anni bui della questione femminile e senza il quale le donne sarebbero sparite come è accaduto in altri partiti. È indubbio che l’utilità della commissione dipende dalle sue capacità politiche. Non si deve ridurre ad essere un ghetto in cui prevalgono le lamentele nei riguardi del partito, deve invece saper cogliere i dati politici interni ed esterni che possono fare assumere alle donne in generale e dunque anche alle comuniste più potere. D’altronde dove non c’è una commissione femminile, non si lavora nemmeno sui problemi femminili, anche se ora, è sempre più il partito a farsi carico nel suo complesso di questo aspetto determinante della linea generale.

D Mantenendo la commissione femminile non si rischia tuttavia di relegare le poche donne che accedono agli organismi dirigenti del PCI alla gestione delle questioni femminili?

R – Dove ci sono le commissioni femminili al contrario si ha la forza di imporre compagne in organismi dirigenti che si occupano anche di altre attività.

D Allora come spieghi che qui nel Veneto, dove pure esiste la commissione femminile, in quasi tutti gli organismi dirigenti la presenza di donne è quasi irrilevante?

R – Per dieci anni fino al 1972 il lavoro femminile è stato interrotto. Nel Veneto non c’era la commissione femminile e non c’erano nemmeno donne nei comitati federali, nei direttivi provinciali e nel comitato regionale, invece ora ci sono.

D Tuttavia nella segreteria regionale non c’è ancora nessuna donna?

R – Nella segreteria no, ma nel massimo organo direttivo è presente la responsabile femminile.

D La responsabile femminile appunto; insomma una donna su 13. Mi sembra non sia rappresentativo del numero delle iscritte o delle votanti, no? Comunque vorrei chiederti quali scopi comuni pensi che noi femministe e voi militanti del PCI possiamo individuare per il prossimo futuro.

R – Tutti coloro che possono far assumere più potere alle donne. Uno degli slogans delle donne democratiche del Veneto è «unite per contare, unite per cambiare»! Se il movimento femminista riesce ad appropriarsi non solo del proprio corpo tìia anche della politica, ed ad evitare che questa rimanga orto di caccia del maschio, allora non solo con le donne comuniste ma con tutte le donne italiane ci sarà la possibilità di imporre a tutti i livelli e le donne, e la politica per le donne.

D Puoi essere un po’ più specifica?

R – Per esempio credo che un terreno di lotta comune possa essere quello dell’Integrazione tra pubblico e privato. In questo momento questo è un grosso tema di discussione a livello di base. Nelle sezioni le donne comuniste stan-

no facendo grosse battaglie anche nei confronti dei compagni.

D Tu personalmente come donna hai avuto difficoltà nel PCI? per esempio ad imporre le tematiche di specifico interesse delle donne del Veneto?

R – All’inizio sì, tieni conto che ho cominciato con un incarico generale, ero segretaria provinciale della FGCI di Rovigo ed erano gli anni in cui si negava l’esistenza della questione femminile. Poi sono passata al regionale e nel Veneto era molto radicata anche in vasti strati del movimento democratico la teoria che le donne erano arretrate. Abbiamo dovuto sgombrare il campo anche con scontri personali, ma soprattutto imponendoci con l’iniziativa politica. Ora le cose stanno mutando. Recentemente in una sezione di Padova, un compagno partigiano ha detto: «Perché, vedìo, non ghe più come una volta che le femmene le sta-van sempre zite. Semo noialtri omeni che dovemo cambiare e renderci conto che no basta far politica in sezion ma anche a casa».

D Diresti che questo compagno è rappresentativo delle posizioni della massa dei compagni?

R – No non di tutti. Però anche nel Veneto un dato molto diffuso è che sono le compagne che stanno imponendo questo cambiamento anche nei rapporti privati (non per niente ci sono diversi casi di matrimoni in crisi, rotture di fidanzamenti, ecc.). Questo provoca anche una certa reazione negativa da parte di certi settori, perché a parer mio, certe regressioni sul ruolo della donna sono da ricollegarsi anche al ristringimento della base produttiva.

D Nell’intervista con Nilde lotti è emerso che forse una delle ragioni per cui le donne non hanno maggiori responsabilità nel PCI sta nel fatto che le donne «sono meno consapevoli delle questioni politiche generali» e forse più timide e conformiste. Tu cosa ne pensi?

R – Può darsi che nel passato fosse così. Nella mia regione le ragazze giovani sono diverse. Le cose stanno cambiando anche qui. Mi pare però che la lotti si riferisse al fatto che non vi sono donne segretarie di Federazione. Oggi però il punto di riferimento deve essere la VI conferenza.