«donna e capitale»

settembre 1976

un contributo qualificante alla tematica della emancipazione della donna è il libro «Donna e Capitale» di Rosaria Manieri, salentina, docente di Filosofia Morale all’Università di Lecce, pubblicato da Marsilio nell’ottobre scorso. Si tratta di una approfondita analisi critica della questione femminile, da non identificare però completamente, tiene a precisare la Manieri, come già la Kuliscioff, con la questione del proletariato, essendo la prima più intricata e complessa della seconda. L’analisi si colloca in una rigorosa prospettiva storica ed è essa stessa, di volta in volta, analisi critica di una società determinata. Il che porta a smascherare ogni rappresentazione che vede la condizione della donna come inquadrata in leggi di natura eterne e sovrastoriche, cioè in un presunto destino biologico.

Né la questione femminile, aggiunge la Manieri, può porsi unicamente come problema aperto tra uomo e donna, riducendo la problematica ad una pura battaglia sessista.

Pertanto la condizione della donna deve essere vista come una «struttura specifica» che è una unità di diversi elementi individuabili nella Produzione, Riproduzione, Sesso e Socializzazione dei figli, la cui combinazione produce appunto la «unità complessa» del suo stato.

In questo senso hanno ragione le esponenti del nuovo femminismo quando, in polemica col marxismo, affermano la necessità di una analisi radicale del problema della donna che è anteriore allo stesso capitalismo, il quale capitalismo ha soltanto il merito di portare alle estreme conseguenze le contraddizioni e la subordinazione della sua condizione di donna. In «Donna e Capitale» la Manieri ricostruisce il dibattito filosofico intorno al tema, attraverso lo studio del pensiero di Comte, Mill e Marx, dall’epoca cioè in cui veniva pubblicamente delineandosi la questione femminile all’interno della più ampia «questione sociale».

Nella prospettiva positivistica conservatrice di Augusto Comte, la donna appare come biologicamente e quindi legittimamente subordinata all’uomo. Nella prospettiva positivistica liberale riformista di J.S. Mill, la «soggezione» delle donne è vista invece come un residuo della società feudale, per cui il filosofo reclama anche per essa la rivoluzione borghese,

Così come nella prospettiva di Comte la Manieri vede coagularsi in termini laici le posizioni più tradizionaliste e retrive, sulle quali concorderà sin quasi ai nostri giorni tutto un fronte che va da Rosmini a Gentile; nella prospettiva di Mill, nella sua lotta per l’estensione alla donna dei diritti politici, essa vede espressa nei suoi meriti e nei suoi limiti la posizione tipica del pensiero democratico-borghese le cui richieste di emancipazione della donna rimangono incapsulate all’interno stesso della logica capitalistica e non travalicano affatto gli interessi delle donne appartenenti ai ceti privilegiati, indenni dai lavori domestici e aspiranti a una,vita creativa e non oziosa. Bisogna arrivare a Marx per trovare un’aperta denuncia del brutale sfruttamento del lavoro femminile, che caratterizzò soprattutto il primo capitalismo.

Riportando la questione della donna all’esame delle contraddizioni storiche di una società basata sull’alienazione della forza-lavoro, Marx dimostra come la donna sia soggetta ad una doppia forma di alienazione, in quanto per lei il rapporto fondamentale della compravendita della capacità creativa avviene tanto all’interno quanto all’esterno della famiglia. Solo il socialismo, pertanto, può portare a quelle trasformazioni della vita quotidiana da cui nasce l’emancipazione della donna e l’effettiva parificazione dei sessi, sia sotto il profilo pubblico che sotto quello privato.

Purtroppo, però, né Marx né Engels seppero darci una visione chiara di quelle che saranno queste trasformazioni, di quel nuovo tipo di famiglia, di società e di rapporti tra i sessi in un sistema socialista, né riuscirono ad individuare gli elementi caratteristici dell’oppressione della donna. Mentre, infatti, l’operaio in fabbrica si emancipa formalmente, in quanto libero lavoratore salariato, liberandosi dal rapporto feudale di schiavitù della produzione precapitalistica, la donna no, non diviene libera lavoratrice salariata.

Il rapporto della donna col capitale, è questo il punto centrale del libro, è mediato dal rapporto con l’uomo e di conseguenza la sua condizione non si origina e non si esaurisce, come invece quella dell’operaio nella divisione sociale del lavoro capitalistico. Questo accade perché il luogo originario e specifico della oppressione della donna, primario nei confronti della fabbrica, è la casa con i rapporti che in questa si stabiliscono, è la famiglia con i suoi legami con il tutto sociale. Prima che come proletaria la donna è oppressa in quanto donna, in quanto moglie, madre, figlia, in un tipo di famiglia la cui stessa natura ed i cui rapporti rendono impossibile la soluzione di problemi quali la socializzazione del lavoro domestico e la produzione dei figli.

Pertanto, conclude la Manieri, resta ancora da ricercare e sistemare scientificamente quali siano i meccanismi concreti, materiali e culturali che possano formare la donna nuova, la donna libera.

Bisogna strappare, dunque, i veli dei rapporti privati, operando un «taglio» sulla struttura familiare del capitalismo come luogo in cui si originano e si determinano i rapporti più immediati tra uomo e uomo e tra uomo e donna, e come canale di determinazione sociale dell’identità della donna. Solo così si potrà rendere operativa ogni analisi sulla condizione della donna e porre finalmente fine alle tante e disparate mistiche di essa.

 

ROSARIA MANIERI, Donna e capitale, Marsilio,-1975 – L. 2.800