e il ginecologo mi prescrisse il «signora, ci stia attenta!»

giugno 1976

Come un fiume in piena ma in silenzio scendevano le donne per Roma immobile.

Come un fiume in piena spaccavano la città le donne — una accanto all’altra una dietro l’altra, non c’era spazio fra loro per l’irrisione per la voce blasfema del maschio per l’insulto del sesso per il bavaglio del padre. Gridavano le voci — slogan e canti ritmati — urli di liberazione della carne e del cuore, del ventre del sangue e dell’utero finalmente risorti.

Eppure gravava il silenzio tagliava il cuore il silenzio delle donne che scendevano a reclamare se stesse, perdute nell’Infanzia mai avuta mai nate e mai cresciute sotto il tallone dell’uomo. Chiara l’acqua del fiume In piena chiara come un’idea di speranza, chiari gli occhi da troppo tempo chini sulla curva del ventre.

Roma in silenzio guardava, la città in silenzio ascoltava il silenzio delle donne.

Piegata sotto un brivido

Roma aspettava

che il sole finisse di splendere.

Solo il pugno alzato,

alle finestre muti i compagni salutavano.

Rosangela Mura

Quando venne da me all’AIED, Ilaria M., 29 anni, era ormai incinta. Sesta gravidanza per l’esattezza. La guardavo mentre mi faceva il racconto di queste sue sei «maternità». Dimostrava quarant’anni. Raccontava con voce monotona ed il capo chino, come un’imputata: Il primo figlio: un aborto spontaneo al sesto mese. Il secondo: un taglio cesareo al settimo mese di gravidanza, vivente e sano.

La terza gravidanza sopravvenuta subito dopo il taglio cesareo la costrinse ad un aborto procurato con sonda, «stavo per morire». Il quarto ed il quinto bambino, nati a termine, tutti e due microcefali (praticamente deficenti). Ora una nuova gravidanza che capita proprio mentre la imbottiscono di psicofarmaci per la cura di uno stato depressivo. Le chiedo che metodo contraccettivo usava: «Conteggio dei giorni» dice «e coito interrotto.».

Eppure Ilaria si faceva seguire dal ginecologo della mutua durante la gravidanza, i bambini li portava spesso dal medico dell’ONMI. E come lei, ormai la stragrande maggioranza delle donne partorisce in ospedale. «Si, l’ostetrico mi aveva detto: signora mi raccomando stia attenta!, ed io ci stavo attenta, ogni volta».

Dunque il nostro meraviglioso ed efficiente sistema sanitario congeda, dopo il parto, donne sfiancate dalle gravidanze, tagli cesarei, stati di stress psicofisici, con un mezzo anticoncezionale dal nome: «ci stia attenta». Alla classe medica ed ai ginecologi in particolare non passa nemmeno per la testa di fornire la donna di contraccettivi idonei, di fare insomma della ginecologia preventiva. Questo perché — diciamolo una volta per tutte —-la loro preparazione in questo campo è pressoché nulla e le loro personali remore etico-patriarcali fanno il resto.

Nelle nostre università, nei nostri ospedali, agli specializzandi in ginecologia viene insegnato molto presto e molto bene ad eseguire l’aborto — naturalmente per raschiamento e «naturalmente» in una prospettiva rigorosamente terapeutica. Per quel che riguarda la contraccezione: silenzio totale. Direi che è tacitamente temuta perché nel libro di testo universitario di fisiologia (GANONG) c’è scritto che la mestruazione è «l’utero che piange perché non ha avuto il bebé»! (sic). Ma che poeti! In Italia non esistono ancora posti di qualificazione in endocrinologia ginecologica, la disciplina che è maggiormente interessata a questo problema. Non viene data nessuna istruzione sulla contraccezione e sulla farmacologia clinica degli estro-progestinici, (sia pure per indicazioni mediche). In altri paesi, come gli Stati Uniti, esistono addirittura cattedre di insegnamento sulla contraccezione. Nella quasi totalità dei paesi del ‘ mondo sono stati creati dei corsi a livello universitario sulla contraccezione. Nessun corso organico di insegnamento del genere di quelli promossi dall’I.P.P.E (un’organizzazione internazionale per la pianificazione familiare) è stato mai tenuto in Italia, rarissime le conferenze in ambienti scientifici. Stesso vuoto anche per tutto il personale paramedico.

Qual’è il riflesso pratico di questa mancanza di informazione e di istruzione? Che la pillola viene guardata con circospezione e persino con una sorta di paura reverenziale. Quando viene prescritta, in ben pochi casi per spontanea iniziativa del sanitario, viene somministrata con il famigerato metodo del 3-1-3-1, cioè tre mesi sì ed uno no. Metodo assurdo dal punto di vista contraccettivo e dannoso clinicamente, che ha infatti come unico risultato quello di far rimanere incinta la donna nel mese di intervallo. Non mancano i medici che dicono che la pillola fa venire il cancro, oppure quelli che somministrano i vecchi dosaggi da cavallo con la massima tranquillità. In fatto di dispotivi intrauterini (spirali), l’ignoranza si trasforma in speculazione. In una città come Roma un ginecologo chiede dalle 70 alle 150.000 lire per l’applicazione del dispositivo (in farmacia costa 10-11 mila lire).

Ricordo che una signora mi diceva che il suo ginecologo era molto scrupoloso perché a lei la spirale gliela toglieva e rimetteva ogni sei mesi! (le spirali con il rame hanno effetto fino a due anni…).

Per il diaframma poi è meglio rivolgersi ad un’ostetrica perché ci capisce sicuramente di più.

In questa confortante panoramica le Regioni si sono mosse poco e male per l’istituzione di corsi per il personale medico e paramedico che entrerà nei consultori, dunque è sempre più importante ed urgente che le compagne esercitino un controllo su questi consultori avendo esse stesse la massima preparazione in questo campo.

Scrive Ettore Cittadini, uno dei pochi specialisti della contraccezione: «Rende perplessi l’atteggiamento di certi ambienti medici italiani, purtroppo influenti, verso le tecniche antifecondative tradizionali. Mentre sarebbe stato logico che la professione medica si schierasse compatta a favore di un ramo della medicina preventiva tanto importante per la salute pubblica e difendesse il proprio diritto all’informazione scientifica, molti medici hanno assunto un atteggiamento di condanna pregiudiziale. Si leggono articoli, libri, perfino trattati di ginecologia che descrivono i deleteri effetti dei mezzi antifecondativi ohe gli autori non hanno mai sperimentato clinicamente, e su cui non fanno che ripetere opinioni tutt’altro che scientifiche, dettate da considerazioni moralistiche e dallo opportunismo politico». (Qualcuno — troppo pochi — rompe il velo della omertà di corporazione…).

Se la classe medica è tanto taciturna sulla contraccezione, diventa improvvisamente loquace e sentenziosa sull’aborto, invoca lo Stato e le Leggi.

Un recente dibattito sul tema aborto tenuto dai medici a Firenze («Firenze medica» n. 5 maggio ’75) contiene le prove più evidenti di come il problema sia affrontato solo ed esclusivamente sulla base di astratte disquisizioni filosofiche, morali e religiose. Ecco alcuni significativi brani del dibattito: U. Bigozzi, titolare della cattedra di patologia medica «… non ha perciò alcun senso biologico chiedersi quando uno zigote diventa persona. L’embrione-non è una parte del corpo materno come qualunque altro organo. L’utero materno funge solo da incubatrice per l’embrione. Pertanto è assolutamente fuori da ogni realtà, pensare che il diritto di disporre del proprio corpo possa essere esteso per la donna alla vita del feto che porta nell’utero, come non può essere consentito a nessuno di disporre della vita di un ospite che si trovi momentaneamente nella sua casa».

Gastone Neri, cattedra di genetica medica: «nessuno può avere la prerogativa di togliere i diritti alla vita… mi sembra chiaro che negli stati democratici, dove i diritti inerenti alla persona umana vengono prima di ogni legge positiva, la liberalizzazione dell’aborto non può trovare posto». V. Monaci, ispettore sanitario «direi che l’unico caso in cui è lecito l’aborto è quello del cancro all’utero. Quanto alle malformazioni dirò che esistono anche persone affette da gravi malformazioni e che sono egualmente felici di vivere».

V. Chiodi, titolare della, cattedra di Medicina legale: «Oggi basta un minimo di attenzione per non rimanere incinte. Ma die cosa si parla di aborti in un epoca in cui stanno per entrare in attività dei contraccettivi potentissimi, la pillola del giorno dopo, le prostaglandine? Il problema della discussione sull’aborto rischia di diventare un problema di archivio, di archivio storico, direi quasi archeologico…» P.L. Duvina pediatra: «Lo Stato non si può assumere l’autorità e il diritto di propagandare la depenalizzazione dell’aborto. Non credo che si debba risolvere il problema per il fatto che esiste, perché allora allo stesso modo dovremmo regolamentare le rapine…» R. Perpagnoli, medico condotto: «E’ da rilevare che l’accettazione del principio dell’aborto, la mancanza di amore e di generosità nei confronti della vita, produrrà in maniera inequivocabile, un’umanità deteriore, orientata verso la violenza collettiva e la pazzia».

Una voce nel deserto: T. Ricci assistente universitario: «Si dimentica che quella religione che benedice gli eserciti sui campi di battaglia è la stessa che permette gli omicidi bianchi, …la sperequazione sociale che è la causa prima di molti aborti…»

M. Pandolfo, ginecologo «l’aborto, comunque la giriamo, è un omicidio. Questo è un problema molto importante che ci interessa e non se mancano le case, se c’è l’affollamento e se le mamme non possono mantenere i loro bambini. Questi problemi riguardano la società, il Parlamento e non i medici».

Ecco qua la classe medica che ci troveremo nei consultori, che continua ad insultarci nelle corsie degli ospedali, che mantiene il glorioso primato europeo di mortalità materna da gravidanza e parto, che protegge i «cucchiai d’oro». Sono il prodotto, di una cultura maschilista, reazionaria, gretta e cattolica, che ha contribuito con il suo paternalismo ipocrita, col suo rifiuto a riconoscere il diritto della donna al controllo della sua fecondità, condannando ieri la contraccezione ed oggi l’aborto, alla situazione attuale.