femminismo all’inizio del secolo

luglio 1975

 

A New York ha uno studio di scultura molto frequentato un’artista di larga fama, forse la prima scultrice degli Stati Uniti, la signorina Evelyn Longhan. A parte il valore personale, che pare sia molto perché ella già produsse parecchie opere eccellenti, la fama le viene anche dal fatto che, contrariamente a quasi tutte le donne professioniste ed agitatrici le quali sono brutte come l’accidente, la Longhan è bellissima. Questa la notizia, seguita dalla lapidaria considerazione, pubblicata da un settimanale Italiano. Il nome del periodico; la Domenica del Corriere. La data: il 16 marzo. L’anno: il 1913; il quindicesimo dall’edizione del primo numero. Le famiglie Italiane riunite intorno al desco sul quale già allora fumava la minestra Knorr (4 piatti, centesimi 20) nutrivano, insieme ai loro corpi, anche notevoli e giustificatissime apprensioni che il futuro si sarebbe incaricato di confermare al di là di ogni pur nera previsione, il vertiginoso aumento del costo della vita, preso in esame dalla Domenica a fine irraggio, era sconfortante per chiunque, figuriamoci per la massaia di allora che, oberata generalmente da una famiglia numerosa, doveva comunque far quadrare il bilancio. Scriveva l’anonimo corsivista: «Il rincaro dei viveri assume proporzioni veramente allarmanti anche in Italia e costituisce senza dubbio uno dei problemi più gravi. Le statistiche lo dimostrano colla maggiore evidenza. Incominciamo dai generi di prima necessità. Nel secondo quinquennio del XX secolo il prezzo della farina di frumento ascese da 29 a 35 lire al quintale; quello della pasta da 39 a 46, quello del grano turco da 14 a 15 ; quello del riso da 31,5 a 34,5 e quello delle castagne da 17 a 20». Forse supponendoli annichiliti da queste cifre, la pubblicità proponeva agli stressati lettori, sotto il richiamo in neretto: «UOMINI ESAUSTI!» il rimedio sicuro ed infallibile del VIR MARA che avrebbe guarito qualunque debolezza anche cronica (listini e schiarimenti a richiesta)». Per le gentili signore, invece, una comunicazione meno ampollosa e più sbrigativa: «Gocce ricostituenti del Dott. BOTTO-MICCA. Guariscono Anemie, Neurastenie, Esaurimenti». Seguiva un rassicurante: «Non contengono sostanze velenose».

La donna piaceva in carne e quindi dalle pagine della Domenica le si domandava perentoriamente: «Siete voi troppo magra? Se il vostro peso si avvantaggiasse di cinque o dieci chili, non sareste voi più soddisfatta del vostro aspetto? SARGOL vi renderà più paffuta, qualunque siano le cause della vostra magrezza». Ma dai resoconti di cronaca estera faceva capolino una donna dalla problematica più complessa. E’ di settembre uno studio analitico comparato tra femminismo inglese e femminismo d’oltreoceano, così articolato: «La suffragetta americana si distingue da quella inglese per la mancanza di istinti sanguinari! La suffragetta inglese ha tendenza a rompere i vetri e ad appiccare il fuoco alle ville; quella americana è affetta dalla malattia delle cerimonie. Appena può organizza corte, cavalcate, grandi apparati solenni, ottenendo lo scopo di una grande pubblicità intorno alla causa del suffragio femminile, senza rischiare la prigione. Chi ci si diverte è il pubblico americano che assiste alle sfilate pompose delle guerriere del voto come in Italia si assisteva alle sfilate carnevalesche». E qui, preso da nostalgia e memore forse della «vertiginosa ascesa dei prezzi» lo scrupoloso cronista puntualizzava: «…quando in Italia c’era il Carnevale !».

Poiché la donna piaceva anche ubertosa e con una folta capigliatura, giustamente si temevano forfora e calvizie di cui si parlava in termini a dir poco agghiaccianti in un crescendo di mistificazione pseudo-medica di cui si è tramandato l’uso, o meglio l’abuso, fino ai giorni nostri. «E’ un fatto riconoscentissimo che il germe della forfora è la causa di quasi tutte le affezioni alle quali è soggetta la cute capillare, quali la calvizie e la canutezza prematura; ma quando si pensa inoltre che questo stesso germe è pure la causa indiretta dei più gravi casi di catarro(! ) e di ‘tubercolosi(! ! ) è facile rendersi conto della importanza di ogni rimedio capace di distruggerne la forza». Seguiva la . «formula» dello «specialista», come dire il nostro esperto di oggi.

Oggi, di tutto questo, ridiamo. Nel 1913, invece, evidentemente l’umorismo era diverso se sotto la controcopertina disegnata da Beltrame per un numero di aprile si poteva leggere: «Virtù eroiche che fanno ridere: suffragette inglesi nutrite a forza in carcere per impedire loro di lasciarsi morire di fame». Sempre di Beltrame e sempre in contro-copertina, era apparso in febbraio una tavola truculenta, commentata dal corsivo: «Madri Eroiche! Una contadina di Ancona si fa levare la pelle delle spalle per cederla ad un suo bimbo bruciato dall’acqua calda». E possiamo immaginare cosa volesse dire a quei tempi e con le strutture sanitarie di allora, una operazione del genere. A scongiurare altre sciagure provocate dal fuoco, giungeva in luglio dagli Stati Uniti, questa rassicurante comunicazione: «In America hanno creato un impiego unico al mondo per una donna: l’ispettrice del fuoco, regolarmente addetta all’ufficio pompieri. Non deve spegnere gli- incendi, ma prevenirli. Essa gira da mane a sera negli stabilimenti di sartoria, di tessitura, fabbriche di merletti, preparatrici di piume e simili, per constatare se tutte le regole intese a preservare dal fuoco siano osservate e in caso contrario denunciare i contravventori. Accumulo indebito di materie infiammabili, condizioni del macchinario, facilità di uscita, disobbedienza al divieto di fumare, entrano nella sua sfera di azione».

Ormai la donna sembra proprio lanciata. Ed è con una vena di malcelata malignità che a settembre viene riportata la notizia che: «Neppure il mestiere di poliziotto, che si direbbe fatto per gli uomini e soltanto per gli uomini, è risparmiato dalla concorrenza femminile. Già da qualche mese era stata segnalata la prima donna poliziotto. Ma si poteva credere che fosse l’unica. Invece nello scorso mese, in una soia giornata prestarono giuramento negli uffici della Polizia di Chicago, dieci donne iscritte regolarmente fra i poliziotti e ben decise a fare il loro mestiere sul serio». «Ci puoi giurare!» commentiamo noi cinquant’anni dopo. Sempre in settembre, a denti ancora più stretti e non risparmiando neppure alcune frecciatine all’estetica, alla moda e al costume, viene riferito con evidente malavoglia che: «Decisamente la Finlandia è il paese ideale per le donne desiderose di prendere il posto degli uomini. Dopo la donna poliziotto, la donna capostazione che risponde al nome di Toglandler, con tanto di berretto regolamentare e un vestitino agghindato ed elegante che può benissimo essere preso a modello per l’uniforme delle future donne capostazione. La signora Toglandler ha nelle fragili mani il destino dei viaggiatori che passano o scendono alla stazione di Murola, una stazione che forse mai avrete sentito nominare»,

annotava il corrispondente — «ma che tuttavia esiste, visto che…» concludeva lapalissianamente — «la si è potuta fotografare con la prima donna regolatrice di traffico ferroviario». Ad ottobre la sopportazione del cronista è messa a dura prova da due notizie di cui sembra difficile, così su due piedi, valutare l’effettiva portata d’urto alle basi stesse delle strutture del sistema. La prima viene addirittura dall’Italia, e riferisce con tono volutamente superficiale e in chiave semi-mondana: «L’ingegneria — non è vero? — non sembra la professione più invogliante per una donna, tuttavia il sesso gentile comincia ad orientarsi anche verso i severi studi dei politecnici. Giorni or sono, infatti, al Politecnico di Milano è stata laureata in ingegneria la signorina Gaetanina Calvi. E’ la prima donna ingegnere per lo meno in Italia —».

Per la seconda notizia, riferita in tono molto asciutto, dobbiamo varcare l’oceano: «Lo stato del Colorado ha eletto a senatore la signora Elena Ring Robinson, istitutrice e pubblicista, la quale sarà così la prima donna rivestita dell’alta carica». L’anno si chiude con un’apoteosi per la nuova donna. Nell’ultimo numero di Dicembre, infatti, possiamo leggere — o meglio — i nostri nonni potevano leggere, un trafiletto dal titolo trionfalistico: «La marcia del femminismo», così concepito: «In America la signora Jessie P. Williams è stata nominata direttrice di una compagnia ferroviaria al posto di suo marito che è morto. E’ la prima volta che una donna riesce ad un posto così alto e di così dura responsabilità. Gli stessi americani sono sorpresi delle attitudini finanziarie, della serietà, della previdenza e della resistenza spiegate dalla signora Williams nelle sue nuove funzioni». E risulta evidente che i primi ad essere sorpresi, e soprattutto delle doti di serietà e di resistenza della signora in questione, sono gli Italiani.

Ma già l’anno che viene, il 1914, con i suoi presentimenti di guerra — la «guerra delle nazioni» come scriveva la stampa dell’epoca — che sarebbe scoppiata in luglio, quattro settimane dopo l’assassinio di Sarajevo, si incarica di ridimensionare la figura di questa donna nuova che sta cercando di liberarsi dalle pastoie in cui è rimasta imprigionata per millenni. E’ così che sul numero posto in vendita il 1° marzo a 10 centesimi, possiamo leggere: «Perché si divorzia», una inchiesta sulle ragioni che determinano l’enorme percentuale di divorzi, oltre 250 mila l’anno, negli Stati Uniti». La colpa è delle donne… magre! Le donne magre sono tutte bisbetiche, civette, volubili, leggere, interessate, crudeli, attaccabrighe. Raramente un matrimonio con una donna magra può andar bene; le donne magre cambiano l’uomo come cambiano il fazzoletto. Al contrario le donne grasse sono miti, dolci, affezionate, soavi, placide, tranquille, senza nervi, senza sdilinquamenti morbosi, poco amanti della toeletta. Il loro fisico richiede minori spese di acconciatura ed è questa una ragione d’indole psicofisiologica non scevra d’importanza… Meno una moglie chiede al proprio marito e più il talamo coniugale sarà tranquillo».

Più avanti, in Maggio, dal Dottor Giovanni, titolare di una rubrica di medicina, veniamo informate che: «La malattia delle donne moderne è l’esibizionismo. Non dirò certo che il nervosismo in genere «— scrive Giovanni —» e l’isterismo in ispecie, non siano diffusissimi fra il sesso gentile dei nostri giorni: però sostengo che la forma morbosa prevalente nella odierna società femminile è rappresentata da quello stato patologico della psiche, che il Lasègue per primo ha battezzato con il nome di esibizionismo, e che pare abbia colpito le donne dei nostri giorni in forma di epidemia. Non si tratta quindi di una malattia nervosa propriamente detta, ma bensì d’una forma psichica. Per chi non lo ricordasse, dirò che il dottor Lasègue designò con il nome di esibizionismo quello stato mentale, intermedio fra la ragione e la… non ragione, il cui delirio consiste in una smodata tendenza e in uno smodato desiderio e in. un irresistibile bisogno di fare mostra della propria persona». E qui il dottor Giovanni si dilunga a parlare delle «vesti che meglio non si potrebbero prestare per la soddisfazione di tale tendenza psichica e cioè quelle che si attagliano al corpo succintamente, così da lasciare intravvedere perfettamente le linee anatomiche principali, e con squarci speciali e con la soppressione di alcune parti del vestimento muliebre mettono allo scoperto alcuni tratti delle membra e del tronco. A questo si aggiunga l’uso moderno di stoffe traforate, calze trasparenti, maniche velate, scollacciature profonde le quali costituiscono uno dei mezzi più comodi e più adatti per lo sbizzarrirsi delle tendenze esibizionistiche». Fin qui il bravo dottor Giovanni. E’ incredibile come di una questione che può essere tutt’al più definita di costume, si sia voluto fare un trattato di patologia. Non riusciamo ad immaginare cosa avrebbe mai scritto il nostro Giovanni, se avesse potuto proiettarsi con l’immaginazione fino all’epoca attuale.

Alla fine di luglio attira la nostra attenzione un trafiletto che ha per titolo: «La forza della donna». Il testo è un delirio: «Da tempo si disputa sulla energia e sulla forza dell’uomo e della donna, comparativamente, per stabilire quale dei due sia veramente l’essere fisicamente più forte. Certo, se si considerano l’uomo e la donna sotto un trattamento elettrico,ad esempio, la donna appare più resistente al dolore. Ma ciò non vuol dire che essa sia più forte, bensì che essa è meno sensibile dell’uomo, sempre si intende nel rispetto fisico. L’avere un sistema nervoso più ottuso non vuol dire essere più forte. Non è punto vero che un manovale od un bifolco siano più forti, perché non hanno i nervi di un poeta o di un decadente, essi hanno forza muscolare, ma difettano di forza nervosa. E’ provato che dal triplice punto di vista della dinamometria, della resistenza alle fatiche e della lotta contro le malattie, i negri ed i pelli rosse sono assai inferiori agli europei. Ammettendo che la donna sia meno sensibile dell’uomo, bisogna concludere che essa è meno forte e meno potente nella estrinsecazione della sua vita fisica e morale. Essa, infatti, si trova in istato di inferiorità rispetto all’uomo, sotto i molteplici punti di vista della forza dinamometrica, della pressione del sangue nelle arterie, delle attività del ricambio nutritivo, della quantità di urea emessa durante un periodo di 24 ore. Insomma sotto quasi tutti i rapporti, il funzionamento di un organismo femminile è ad un livello un po’ più basso di quello maschile. L’uomo crea e la donna cova. Però ci sono condizioni in cui la donna ha una reale superiorità sull’uomo. Non voglio parlare né della bellezza delle forme, né della grazia, né della tenerezza che è come il fiore degli affetti, ma piuttosto delle facoltà della perseveranza, della pazienza, della decisione e anche dell’astuzia sopraffina. Appunto perché il cervello della grande maggioranza delle donne è poco nutrito da sensazioni, da conoscenze diverse, precisamente perché un gran numero delle sue cellule rimane inattivo, quelle invece di tali cellule che agiscono sono più vivaci, più sicure nel loro funzionamento». Evidentemente le mie sono completamente paralizzate dalla lettura di questo trattatello, perché non riesco assolutamente ad elaborare un commento. Il 1915 si apre con una tavola del solito Beltrame. I corpi di alcuni soldati in agonia sulla neve e, sotto, la didascalla: «Come s’inizia fra dolori e sangue, il nuovo anno 1915: metà della popolazione del mondo in guerra». La donna rientra nei ranghi. Crocerossina, madrina di guerra, sorella, consolatrice, moglie, madre dell’eroico caduto. Unica eccezione tollerata: l’eroina.

Nello stesso numero, a pag. 13, un trafiletto con tanto di fotografia: «Berta Krupp, pacifista» — spiega che — «non è un’ironia. La signora Berta Krupp, ora baronessa von Bohlen, ultima ed unica erede di Alfredo Krupp e proprietaria esclusiva delle più grandi officine di cannoni che siano al mondo, è una bella ed elegante e pia signora: essa — e non lo nasconde — va fiera dello straordinario successo commerciale ed industriale della sua impresa, la qual cosa non le vieta di essere annoverata tra i capi del movimento pacifista tedesco. Dotata di una squisita sensibilità, tutta femminile, essa prende parte attivissima a tutte le riunioni pacifiste del suo paese e nelle conferenze internazionali ella ha sempre inviato un suo personale rappresentante».

Della fine di febbraio è una comunicazione che va sotto la scritta: «Donne decorate» e dice: «La guerra attuale, più forse che le passate, esercita su molte donne il desiderio di prendervi parte. Naturalmente per poter entrare nelle file dei combattenti la donna-soldato deve mentire il proprio sesso altrimenti verrebbe inesorabilmente respinta. Ma già parecchi casi si verificarono di soldati che rimasti feriti, nelle ambulanze si rivelarono… donne, in Francia, in Serbia, ma soprattutto in Russia. Pochi giorni fa un dispaccio ufficiale da Pietrogrado annunciava che lo Zar in persona aveva decorato con la croce di San Giorgio la signorina Tylscinin la quale, fuggita dal ginnasio e travestita da uomo, era accorsa ad isolarsi. Tre volte ella rimase ferita durante i vari combattimenti cui prese parte pugnando da eroina». In marzo si può avvertire un tono di riprovazione nel commento ad una fotografia: «Le donne inglesi non assomigliano affatto a quelle latine-, la guardia nazionale femminile istituita a Londra e militarmente disciplinata si mostra nelle vie del West End con il tamburino». A fine aprile ecco un’altra serie di fotografie: «Mentre gli uomini sono alla guerra». Il commento alla prima dice: «Lord Kitchener continua a chiedere uomini al Paese, e già si cominciano a sentire i vuoti negli impieghi, nei commerci, nei servizi pubblici. Ma l’Inghilterra non è mai senza risorse: ora sostituisce gli uomini con le donne. Uno dei primi esperimenti è stato fatto a Glasgow, ove le tranvie cittadine hanno assunto in servizio parecchie decine di bigliettai e manovratori… in gonnella». Le altre due vengono dalla Germania. «A Berlino: un ufficiale, prima che sul campo di battaglia, dà prova del suo coraggio affidando la propria pelle ad un barbiere donna» e «Prima di avere il permesso di guidare i tranvai cittadini, le donne tedesche debbono diventare perfette nel mestiere, frequentando un breve corso speciale».

Il 24 maggio, anche l’Italia entra in guerra e a fine giugno siamo informati, sotto l’intestazione: «Donne Guerriere» che «la maestra Luigia Ciappi a Bologna e la pollivendola Gioconda Si rei I i a Milano, che avevano vestito l’abito del soldato per recarsi a combattere, furono scoperte al momento della partenza e rimandate l’una alla sua scuola, l’altra al suo commercio, in attesa che la Croce Rossa le incorpori tra le sue file». Da protagonista, quale si avviava ad essere, la donna è regredita in poco tempo al suo vecchio ruolo di spalla. Costretta a sostituire sul lavoro gli uomini partiti per il fronte o a ritornare fra le quattro mura della sua casa e a muoversi in questo spazio angusto, dove ormai è a tutti gli effetti capofamiglia, neppure questo le viene riconosciuto. Coinvolta, ancora una volta, in ideologie e decisioni non sue ; il ricatto degli affetti e del sentimento le succhiano le forze delle quali avrebbe bisogno per portare avanti le sue battaglie.

Ci vorrà il fascismo, ci vorrà un’altra spaventevole guerra, ci vorranno molti anni di letargo e di mistica della femminilità, perché la donna riprenda con determinazione e su basi politiche nuove, quella che nel lontano 1913 la Domenica del Corriere aveva definito, con una felice intuizione «la marcia del femminismo».