Freud contestato

giugno 1975

 

Luce Irigay, psicanalista, membro della Scuola Freudiana di Parigi diretta da Jacques Lacan, ha pubblicato un libro «Speculum de l’autre femme» (tradotto in Italia dalla casa editrice Feltrinelli) in cui demolisce sistematicamente le teorie freudiane sulla donna. Risultato; grosso successo del libro ma «allontanamento» della Irigay dalla Università di Vincennes, dove insegna, per reato di «lesa freudianità».

Nel suo libro Luce Irigay redige una «storia» della filosofia — da Platone a Hegel — e parallelamente muove a Freud una critica di fondo denunciandone l’impostazione «patriarcale» soprattutto a proposito delle sue teorie sulla sessualità femminile.

«Le Monde» nell’autunno scorso presentò il libro come un testo che «scuote impercettibilmente la nostra cultura alle radici, che mina le fondamenta stesse del nostro pensiero. Le lotte, le rivendicazioni, la presa di posizione delle donne, trovano in questo libro la loro prima giustificazione squisitamente scientifica. Alla base, una constatazione fin troppo semplice: la differenza tra i sessi esiste e tutto si svolge come se non esistesse. La natura umana filtrata attraverso l’immagine che ci hanno fornito i filosofi, è la” natura” degli uomini. Non delle donne. Dopo il”selvaggio”, il”pazzo”, il”bambino ‘, la donna diventa l’altra da sé della cultura corrente — di una società, di un modo di pensare e di un linguaggio creato e gestito dagli uomini. ‘ Lei” non è più certa e familiare, è terra incognita». Afferma Irigary in una intervista: «Freud considerava la sessualità femminile”un continente nero” della psicanalisi. E, di fatto, egli non fa mai riferimento ad una sessualità femminile specifica. La descrive unicamente come la contrapposizione oppure l’appendice della sessualità maschile. In principio la fanciulla non è altro che un ragazzo. La sola zona erogena che essa è in grado di conoscere, a detta di Freud, sarebbe la clitoride, cioè un equivalente del pene. Ma sarà ben presto costretta a doverne fare a meno e ad accorgersi di quanto, in confronto al pene essa sia irrilevante e miserevole. Per la donna, il complesso di castrazione deriva dal fatto che le manca il pene. L’intero destino sessuale della donna è quindi determinato dalla carenza, dalla gelosia, dal desiderio di questo organo sessuale. Se la fanciulla si allontana dalla madre, dalle altre donne e comincia a odiarle, ciò avviene perché si accorge che queste non hanno il membro agognato. Se essa prova attrazione per il padre e per gli uomini, ciò avviene perché vuole ottenere quel che nessuna donna possiede: il pene. Se desidera avere un figlio, ancora e sempre è per godere del possesso di un surrogato del sesso maschile. Se è omosessuale, si tratta di una identificazione con il maschio. In breve, lo schema generale delle argomentazioni di Freud presenta il femminile come un maschile atrofizzato, privato del sesso».

Freud perciò, per risolvere il problema feminile che gli ha procurato tanti grattacapi, compie delle vere e proprie forzature «teoriche». Egli sostiene infatti: «La donna deve mutare le sue zone erogene, passare dal clitoride alla vagina, mentre il bagaglio erotico del ragazzo resta riferito al pene. La fanciulla deve «abbandonare» il suo primo oggetto d’amore, la madre, mentre l’uomo continua a trovare nelle sue partners femminili sostituzioni della figura materna. In ogni caso, nel processo lineare dello sviluppo maschile, ci si smarrisce nel labirinto del «diventare donna». «Malauguratamente Freud non si è sbagliato — sostiene Luce Irigay — egli non ricerca le motivazioni storiche.

Ha codificato la condizione femminile così come l’ha vista. Ha interpretato le sofferenze, i sintomi, le insoddisfazioni delle sue pazienti in funzione della loro storia individuale, senza chiedersi se la loro «patologia» non fosse riferibile a una certa situazione della cultura e della società. E questo ha un peso determinante nella pratica della psicanalisi, lo penso, in effetti, che una psicanalisi delle donne non è possibile se non si considera la diversità dei sessi e, cioè, l’esistenza di due sessi. E questa è la norma corrente nei trattamenti di analisi. Anche coloro che rimproverano agli americani di «adattare» i loro pazienti ai codici della società del profitto, «adattano» quotidianamente le loro pazienti alle regole della società maschile.

E’ giusto rivendicare l’eguaglianza nel campo dei salari, la presenza nelle strutture dello Stato, i diritti sociali, ecc., ma non si tratta solo di ottenere una regolamentazione pari a quella degli uomini. Le donne potrebbero chiedere e pretendere cose diverse: esistere «per se stesse» e non più solo «per gli uomini». E a mio parere è assai importante lavorare a questa vera e propria «mutazione» culturale che solo l’affermazione di un linguaggio delle donne può realizzare». Alla critica maschile: «Un linguaggio, delle donne… Prima di dire” è una cosa ridicola, è una utopia” è il caso di considerare gli elementi — inoppugnabili — che possono dimostrare come noi parliamo e pensiamo in un linguaggio maschile”». Luce Irigay spiega: «Gli assunti filosofici sono tuttora la linea di demarcazione tra sensato e insensato, tra bene e male, tra vero e falso… Chi è stato il «soggetto», colui che ha dato una conformazione alla cultura, è l’uomo. Non la donna. E’ possibile dimostrare — e ho cercato di farlo — come i filosofi abbiano sempre tentato di riprendere nei loro logismi la potenza del”materno” e del”femminile”. Il ruolo assegnato alle donne negli assunti filosofici è perciò l’afasia, il mutismo, oppure l’esprimersi come un uomo. Finché una tale forma mentis non verrà superata un linguaggio delle donne non potrà avere diritto di cittadinanza. Tutt’al più verrà considerato una piacevole ciancia priva di effetti, a meno che le donne non si conformino una volta di più a criteri maschili. Ma in questo caso non sarebbero più donne. Un linguaggio femminile, prendendo come punto di riferimento la psicanalisi, potrebbe riferirsi alle caratteristiche dei fluidi più che a quelle dei solidi. E cioè un linguaggio scorrevole, con un ritmo diverso, la cui dinamica scaturirebbe da una sorta di attrito tra parole interdipendenti e senza soluzione di continuità. Si tratterebbe perciò di un linguaggio privo di soggetto, nel senso filosofico del termine. Queste caratteristiche si riferiscono alla struttura specifica della sessualità femminile: una sessualità che recupera il sensoriale tattile rispetto a quello visuale».