Il femminismo secondo “II Corriere della Sera”

settembre 1975

 

Martedì 12 agosto. Sono in vacanza. I giornali pubblicano le notizie più inverosimili, è estate si sa, e non c’è niente di cui parlare. Mi cadono gli occhi su un titolo promettente (devo ammettere che leggo i quotidiani quasi esclusivamente per trovarci motivi di risate): «Non è femminista la donna bandito». L’autrice è colei che tentò di essere la prima direttrice responsabile di EFFE, Gabriella Parca. Mi dispongo a una piacevole lettura.

La tesi di fondo, come dal titolo, è che fare la banditessa non è indice di femminismo. Nessuna, in effetti, che io sappia, ha mai sostenuto il contrario. Perché, allora, la Parca sente il bisogno di scrivere su questo argomento? Tutto l’articolo è teso non a dimostrare che femminismo non significa presa (violenta o no) del potere, bensì a dimostrare che le donne che prendono il mitra, per rapinare un supermercato o per rovesciare il potere, non lo fanno né per libera scelta, né perché credono in qualcosa, ma sempre, solo e soltanto… per amore! Devo qui assolutamente dire una cosa che mi preme sullo stomaco da un po’ di tempo: ai tempi della morte di Margherita Cagol, tutti i quotidiani nazionali, dal Tempo all’Unità (escludo i tre extraparlamentari), ne hanno parlato come della «moglie» di Curcio. Solo le Brigate Rosse, sulle quali non voglio qui dare un giudizio politico, bensì esclusivamente femminista, hanno spedito ai giornali un comunicato di partecipazione alla morte del comandante Mara, non citandola come moglie di (figliasorellaamanteservacuocainfermieraoaltro) e riconoscendo il suo essere un essere umano con capacità autonome di scelta.

La Parca, evidentemente meno femminista dei membri delle brigate rosse, invece ci dice che no, che Margherita Cagol era «una ragazza dolce, dagli occhi buoni ed espressivi, che ha aderito a delle teorie estremiste forse assai lontane dalla sua natura per seguire il suo Renato» sorvolando sul fatto che la stessa aveva alle sue spalle un lungo curriculum di militanza nei gruppi rivoluzionari anche prima dell’incontro col marito. Ma si sa, in fondo le donne non sono capaci di usare la loro graziosa testolina, né nel bene né nel male, e quindi, nel male come nel bene, bisogna cercare l’uomo, l’ispiratore, perché «difficilmente queste donne sono il cervello della banda» (il che — suppongo — sarebbe per la Parca indice di femminismo, non in quanto eventuale indice di raggiunta coscienza rivoluzionaria, bensì in quanto indice di presa del potere). Ci viene riconfermato il concetto che del femminismo ha la Parca, anche dal parere — immancabile — dell’esperto (maschio) il prof. Ponti, definito noto criminologo: «No, non direi che siano femministe» afferma sorridendo paternalIsticamente I’esperto «Ho avuto occasione di conoscerne una decina dal ’70 a oggi, e soltanto una era una capa».

Ora vorrei fare con voi un giochetto che faccio quasi costantemente, leggendo il giornale, guardando la TV, andando al cinema, ascoltando le chiacchiere della gente sull’autobus e al bar, ascoltando parlare i miei genitori e parenti. Cerco cioè la morale sottintesa dietro ogni frase, ogni gesto. Cerco quello che non è detto, ma è presupposto come indiscutibile verità eterna. Lo trovo il gioco più divertente del mondo.

Allora, si prendono alcune delle frasi dell’articolo e si esaminano:

1) «La minoranza deviante, che segue altre strade, fuori e contro la legge…». Presupposto indiscutibile: il mondo nel quale viviamo è il migliore possibile e immaginabile — chi si pone fuori di esso fa parte della brutta cattiva minoranza deviante. Non è prevista la possibilità che il fare parte della minoranza deviante (cioè il mettersi fuori legge) possa avere un valore positivo, inquantoché non è previsto che la legge, espressione del volere di chi

detiene il potere, possa essere vista come qualcosa di negativo. Compagne, ricordatevi: noi femministe siamo una minoranza deviante, e se non siamo ancora perseguitate, come i brigatisti rossi, i drogati e le prostitute, è solo perché finora abbiamo dato poco fastidio ai detentori del potere.

2) «… (la maggior parte delle carcerate Italiane) sono prostitute o drogate che avrebbero bisogno di tutt’altro trattamento per essere recuperate». Presupposto indiscutibile: lo stesso del paragrafo precedente. Sono lieta che le «prostitute» e le «drogate» abbiamo bisogno d’essere recuperate. Recuperate a cosa? A una società che permette favorisce e presuppone la prostituzione come base della propria morale? Recuperate da chi? Da quegli stessi uomini spesso onesti borghesi benpensanti detentori del potere, giudici, poliziotti legislatori), che le comprano? Recuperate da una società che ha inventato il mito del drogato come simbolo del male da una parte (capro espiatorio da uccidere) e dall’altro permette e spinge al consumo di droga e dall’altro ancora ti manda in prigione se consumi droga che lei stessa vende? Recuperate? Recuperate a che cosa e a chi? A una bella società dove la «recuperata» ha la scelta tra lavorare in fabbrica otto ore al giorno per 120.000 lire al mese o fare la serva a un marito che la picchia, non la soddisfa sessualmente e la mette incinta ogni anno? Recuperate? (E sorvoliamo per pietà sulla mancanza di informazione della Parca sulla lotta portata avanti negli ultimi mesi dalle compagne prostitute francesi…)

3) «… e in Russia, nel 1917, ci fu un intero battaglione femminile che si batté contro i rivoluzionari rossi» (qui l’autrice strizza l’occhio a sinistra, non si sa mai, coi tempi che corrono, meglio mettersi dalla parte del futuro partito dirigente). Presupposto indiscutibile: tutte le donne combattenti sono fasciste. E ci si dimentica, per quell’unico battaglione di zariste, delle migliaia di. donne che hanno combattuto dall’altra parte, per il socialismo, in Russia e in Viet-Nam e in Cina e a Cuba e in Italia e in tutto il mondo.

4)«Ma non è certo sparando che ci si può illudere di avere raggiunto la parità fra i sessi» (questa è la frase che conclude l’articolo). Questa è la frase più bella, cioè la meglio riuscita, perché meglio di tutte rivela il presupposto indiscutibile cioè che femminismo significa solo ed esclusivamente lotta per raggiungere la parità fra i sessi, e quindi lotta per partecipare alla spartizione della torta del potere coi maschi, bloccando immediatamente qualunque timido tentativo da parte delle lettrici (e dei lettori) di immaginarsi il femminismo come qualcosa di diverso, come per esempio l’invenzione di un mondo senza potere.