il voto non è delega ma lotta

non dimenticheremo la lezione dell’aborto

maggio 1976

è stato un mese intenso: l’aborto libero affossato dal «voto nero» in Parlamento, la dura risposta delle donne, il 3 aprile, a Roma, la mobilitazione continua, non solo per l’aborto, i consultori, ma per «riprenderci da vita». E adesso le elezioni alle porte.

Al problema del voto e del rapporto femminismo-politica dedicheremo gran parte del prossimo numero di EFFE. Ma cominciamo a parlarne ora, partendo dall’aborto, la pietra in cui è inciampata questa legislatura, riproponendoci così il problema-elezioni. Il tentativo di strumentalizzazione delle istanze delle donne è stato pesante da parte di tutti i partiti: lasciamo perdere la funerea coppia MSI-DC che ha avuto la risposta delle donne il 3 aprile (risposta a cui non c’è nulla da aggiungere) e prendiamo invece i cosidetti partiti libertari e di sinistra, che cavalcano la tigre dei diritti civili e si affannano a rispolverare le proprie più o meno improbabili «vocazioni» femministe ogni qualvolta la cosa faccia, politicamente parlando, gioco. Abbiamo visto un PCI testardamente assestato sulle sue note posizioni, che si è smosso soltanto quando la tenace lotta delle donne l’ha costretto a farlo tirando fuori in extremis, il provvido Bufalini e che nel dibattito parlamentare si è preoccupato soprattutto di ricucire il dialogo con la DC; abbiamo visto un PSI che dell’aborto libero e delle rivendicazioni delle donne ha fatto il suo fiore all’occhiello più vistoso, il trampolino di lancio per la campagna elettorale dietro l’angolo; il cosidetto fronte dei partiti laici annaspare penosamente in questa bagarre parlamentare, dedicandosi a una politica di rattoppo che il voto nero ha lacerato d’un sol colpo. E i radicali fuor dall’uscio, Pannella in testa, a digiunare per noi, paladini del nostro utero. E questi, compagne, sono i partiti che noi voteremo, di cui molte di noi fanno parte. Perché, come femministe (questo è l’unico punto fermo che esiste per il momento all’interno del movimento in materia di elezioni) non possiamo che votare a sinistra per il motivo, mai abbastanza ripetuto, che la liberazione della donna può aver luogo solo in una società profondamente rinnovata. Voteremo anche, all’interno degli schieramenti di sinistra, le donne: non in base al sesso, ma al discorso che fanno, alla garanzia che danno di voler portare avanti le nostre lotte. Ma in nessuno di questi partiti, anche se gli daremo il nostro voto, possiamo riconoscerci completamente. Meno che mai dopo quest’amara esperienza del dibattito parlamentare sull’aborto. Meno che mai perché nei modi di fare politica dei partiti, anche di quelli più vicini a noi ideologicamente, ci riconosciamo a stento e spesso per nulla. Diamo quindi questo voto alle sinistre «con riserva» e con la volontà di essere un continuo stimolo per le forze politiche che dicono di farsi carico della lotta delle donne ma si limitano a ficcarle di gran fretta nelle liste elettorali, magari evitando poi di eleggerle, e a dedicare qualche paragrafo in più alla questione femminile nei comizi. Attenti, compagni, il gioco non riesce più: questo nostro voto non è una delega, è un modo per garantirci, all’interno di quella società che, tutte lo speriamo, le forze democratiche potranno costruire, spazi autonomi, non più regalati e concessi, ma conquistati.