kate millett: “l’uomo ci è nemico”

maggio 1976

Daniela – Nel tuo libro «Prostituzione» dici: «Mi piacerebbe che il nuovo movimento desse alle donne artiste la fiducia nel valore della loro cultura… e il rispetto per la sua esperienza, insieme alla libertà, anzi alla spontaneità di esprimerla in modi nuovi, in forme nuove». Tu credi di essere riuscita a rinnovare il tuo linguaggio, a scrivere in modo nuovo? E come hai fatto?

Kate – Il mio primo libro «La politica del sesso» era, in sostanza, la tesi che avevo preparato per il dottorato di ricerca. Il linguaggio era quindi tipicamente accademico, un inglese distinto, civile,., artificiale. Oggi sono lontana mille miglia da quel tipo di linguaggio. Il punto di rottura è stato quando ho incominciato ad ascoltare come veramente parlano le donne, quando ho raccolto le testimonianze per il libro sulla prostituzione.

Daniela – Come hai potuto trovare un terreno comune di discussione con le prostitute?

Kate – Non è stato facile. Avevano mille difese, mille riserve contro il femminismo, contro tutto quello che secondo lóro io rappresentavo… ma dopo molte tazze di caffè bevute insieme, si è cominciato a sviluppare un rapporto diverso, un vero dialogo. E stata una esperienza drammatica e struggente; era la prima volta che ascoltavo narrare la vita di una prostituta, ed uno dei primi risultati è stato un netto cambiamento nel mio modo di scrivere. In verità, confrontando ciò che ho scritto in quell’occasione con quello che loro avevano detto, ho trovato che mentre queste donne erano autentiche, spontanee, affascinanti, eloquenti, il mio modo di scrivere era ancora troppo studiato, sciocco. Da allora è cominciato il mio sforzo per scrivere allo stesso modo in cui parlo. «Flying» è stata la mia prima esperienza in questo senso: ho cercato di scriverlo come si parla ai propri amici, come si parla a se stesse..,

Daniela – E nell’arte? Hai trovato un nuovo linguaggio? Noi non sappiamo quasi niente del tuo lavoro di scultrice.

Kate – Otto anni fa ho cominciato a fare un nuovo tipo di sculture: ho cominciato a costruire gabbie, grandi gabbie… e all’interno di queste delle figure. Non so perché, non lo capisco nemmeno io… Prima avevo fatto delle sculture surrealiste, sedie con gambe umane, sedie con gli occhi… in una specie di gara con gli altri scultori. Si faceva, praticamente, a chi pensava per primo qualcosa di molto strano. Mi piacevano, era divertente, ma non ne ero emozionalmente coinvolta, era un puro esercizio, astratto. E poi ho iniziato a fare le gabbie… Non posso dire che siano state il risultato di una presa di coscienza femminista, ma sono uscite da un’altra esperienza (su cui tra l’altro ho appena iniziato a scrivere un libro, dieci anni dopo…). Avevo letto sulla rivista Time di un terribile crimine avvenuto a Indianapolis, di una ragazza di sedici anni torturata a morte, e ne sono rimasta così sconvolta che avrei voluto recarmi sul posto, scrivere qualcosa, fare qualcosa… Ma non ero una scrittrice, pensavo di non saper scrivere, Studiavo all’università e l’unica cosa che potevo fare era continuare a studiare per il mio esame di tedesco, così da essere libera di scolpire per il resto dell’estate. E così è nata la mia prima gabbia, che è derivata dal fatto di essere profondamente commossa e terrificata, quasi ossessionata da quel crimine, da quella giovane donna così barbaramente massacrata. Dieci anni dopo ho incominciato a scrivere su questo episodio e lo considero il lavoro più importante della mia vita. Ci ho pensato molto prima di farlo. Volevo essere sicura, e c’erano molti problemi da risolvere; problemi di narrazione in prima o terza persona e altri problemi tecnici che ho appena cominciato a risolvere, Sono stata a Indianapolis poche settimane prima di venire in Italia e tornando a casa in macchina ho incominciato a sentire le frasi…

Così le gabbie sono uscite dalla mia reazione psicologica, profonda, strana di fronte a questo crimine. E forse in parte sono il risultato della mia claustrofobia. Soffro terribilmente di claustrofobia. Alle situazioni in cui la mia libertà è in qualche modo minacciata reagisco col panico ed anche con la violenza. Se la metropolitana si fermasse in un tunnel credo che lotterei per uscire, ho pensato che questa claustrofobia sia un castello vagamente politico alla mia patologia. Ma non considero le mie sculture politiche, almeno non in senso femminista. Quello che cerco di esprimere è un’angoscia generale, di tutti gli esseri umani.

Daniela – Il tuo ultimo libro «Flying» ha suscitato reazioni negative e lunghe polemiche negli Stati Uniti. In italiano non è stato tradotto. Ce ne vuoi parlare?

Kate – Mi piacerebbe che voi poteste leggere «Flying». È un diario della mia vita durante l’estate del ’71 e c’è dentro di tutto: politica, amore, arte. È un tentativo di raccontare una esistenza in senso globale. Negli Stati Uniti sono stati pubblicati molti libri scritti da femministe, ma per lo più si tratta di analisi, di saggi, di storie del passato… pochi scritti riguardano la nostra nuova esistenza, che cosa vuol dire essere come siamo. Si è gridato allo scandalo quando è uscito «Flying», i critici sono stati irritati da una cosa: le scene erotiche, di amore lesbico che secondo loro erano disgustose. E tanto hanno discusso che quando il libro è uscito ha avuto un grosso successo di pubblico. Una delle cose che i critici hanno maggiormente criticato è stato il linguaggio, hanno detto che era scritto senza cura, ma io non ho mai lavorato tanto a un libro, perché sapevo che sarebbe stato attaccato per motivi sociali, ideologici, emotivi, e volevo che almeno la parte artistica fosse quanto più perfetta possibile. Ma è troppo spontaneo, greggio e naturale per i critici.

Daniela Hai scritto qualche cos’altro sulla prostituzione? Noi abbiamo sempre avuto difficoltà ad affrontare questo tema e ci interessa sapere se hai approfondito ulteriormente l’argomento.

Kate – No, ho scritto solo quel libricino. Il mio sogno, come ho detto, è di vedere la prostituzione organizzarsi. C’è un inizio a San Francisco, e anche a New York c’è un gruppo che incomincia a lavorate bene e ad ottenere alcuni risultati legislativi. L’obiettivo è che la prostituzione non sia più considerata un crimine, affinché le prostitute non siano più terrorizzate dalla legge, dalle multe, dai lenoni, ecc. Ho dato una parte dei proventi del libro «Prostituzione» a Margaret St. James, una delle leaders delle prostitute di San Francisco. Li ha utilizzati per comprare una tipografia, e sta facendo un magnifico lavoro.

L’unica cosa che ho scritto sull’argomento è stata una introduzione per la nuova edizione americana in cui ho descritto i progressi fatti dalle prostitute francesi e l’occupazione delle chiese; ma non scriverò più niente perché sono convinta che ogni vera autentica testimonianza verrà direttamente dalle prostitute stesse.

Daniela. A che punto è il femminismo negli Stati Uniti? Si parla spesso di una crisi.

Kate – Non credo si possa parlare di crisi. Penso che anche le difficoltà che ci sono state siano state un bene perché molte donne si sono rese conto di quanto fossero gravi i problemi da affrontare, Nel New Jersey e nello stato di New York è stato indetto un referendum sul problema dell’Equal Rights Amendement. Si è perso in tutti e due gli stati, perché la destra era molto bene organizzata, ma questa esperienza è stata decisiva per moltissime donne, che per la prima volta si sono rese conto che era in ballo la loro stessa dignità. La battaglia per questo emendamento costituzionale ha radicalizzato enormi masse di donne. E il movimento che era cominciato come un fatto borghese, di elite, sta veramente diventando un movimento di massa, più forte, più grande, più vario, più diverso. Personalmente mi interessano altri temi, la prostituzione, come ho già detto, lo strupro, per cui siamo riuscite ad organizzare centri in cui si dà assistenza alle donne violentate e si preparano disegni di legge anche per obbligare la polizia a tenere un atteggiamento diverso nei confronti delle vittime. Un altro dei temi che — secondo me — diventerà sempre più importante è quello delle donne picchiate a casa dai mariti. Questo è il fulcro della violenza fisica contro le donne e i bambini. Sono cresciuta in un ambiente in cui c’era molta violenza fisica e ne sono terrorizzata. Sono una pacifista e per questo mi interessa andare alle radici del problema: l’oppressione delle donne ha le sue origini nella forza fisica, non solo nel costume, non solo nell’ideologia o sulla discriminazione. Ha le sue origini nella forza fisica. C’è voluto del tempo per riconoscerlo, anche se l’avevamo intuito fin dall’inizio. Ciò che tiene unito il sistema è la minaccia della forza, minaccia di stupro, minaccia di botte. Tutte le donne sono dominate dalla paura fisica. Circa due settimane fa, ad Indianapolis, mi stavo avviando a piedi verso il parcheggio dell’università, era circa mezzanotte, quando una macchina ha cominciato a seguirmi; io ho girato dalla parte opposta, ma quello continuava imperterrito; mi sono avviata per una strada a senso unico e me lo sono visto arrivare addosso a tutta velocità dall’altra parte. Non avevo più provato tanta paura da quando ero bambina e — a 13 anni — sono stata assalita da uno sconosciuto che ha tentato di violentarmi. Una volta salita in macchina la paura non è cessata. Quello continuava a seguirmi ed io ero terrorizzata. Un perfetto sconosciuto che io non avevo mai ferito o offeso o insultato, cbe improvvisamente aveva deciso di fare di me l’oggetto di una sua partita di caccia… Anche quando finalmente se ne è andato la paura non è cessata… una pura paranoia per cui ogni macchina che mi superava o che mi affiancava ai semafori aveva a bordo quel bastardo o un altro bastardo. Solo allora mi sono resa conto di quanta verità ci sia nello slogan di alcuni gruppi femministi «l’uomo è il nostro nemico». Fino allora avevo pensato che fosse uno slogan sbagliato e dicevo che non erano gli uomini, ma il sistema… In quel momento invece ho incominciato a realizzare quanta verità c’è in questo slogan per cui in ogni uomo c’è uno stupratore, un nemico potenziale. Siamo veramente alla mercè di chiunque.., Perchè mai dobbiamo avere questa paura fisica, perchè dobbiamo essere così umiliate?

Daniela Ci puoi dire qualcosa sulla condizione delle donne omosessuali negli Stati Uniti è sulle loro lotte?

Kate – Alcune cose sono cambiate negli Stati Uniti negli ultimi cinque anni. Oggi perfino un movimento, diciamo pure riformista, come il NOW ha accettato le lesbiche e si sta battendo per cambiare le leggi sull’omosessualità e per proteggere i diritti civili degli omosessuali. Non è stato facile, perché i pregiudizi sono ancora forti, ma oggi il «Gay movement» ha un certo potere.

Ho preso parte in prima persona alla lotta delle lesbiche, e cinque anni fa ho fatto una testimonianza pubblicata dalla rivista Time. Una testimonianza che ha suscitato reazioni molto vivaci e che è stata seguita da una dichiarazione unitaria di tutto il movimento femminista di New York. Credo sia stata l’unica volta in cui le femministe hanno fatto una dichiarazione unitaria. Quando qualcuna di noi decide di aderire al «gay liberation», la cosa più difficile è liberarsi dal senso di colpa e di vergogna e da tutta quella sovrastruttura psicologica che le società eterosessuali ci hanno imposto. Di tutti i tabù che abbiamo dovuto combattere quello dell’omosessualità è probabilmente il più grande.

Daniela Non credi che uno degli elementi del declino del primo movimento femminista, all’inizio del secolo, sia stato proprio il fatto di aver evitato di prendere posizione sul tema della sessualità?

Kate – Le prime femministe cominciarono a parlare di divorzio, di amore libero di contrasti con la chiesa, ma tutto era cosi difficile e per loro il suffragio era la cosa principale per cui lottare. Nel primo movimento femminista, nel 19° e all’inizio del 20° secolo c’era pure un elemento di lesbismo, ma nell’alta borghesia: Gertrude Stein, Sylvia Beach, la Shakespeare And Company di Parigi, pittrici e poetesse. Ma faceva parte della tradizione aristocra-ticabohemienne.

Daniela – Le lesbiche lottano insieme agli omosessuali uomini o hanno movimenti separati?

Kate – Lavorano sia in gruppi separati che insieme. Ma la maggior parte delle lesbiche oggi aderisce al movimento delle donne di cui rappresentano una grossa frangia.

Gli uomini, anche omosessuali non soffrono di una doppia oppressione. Hanno sempre avuto molta più libertà. A volte provo invidia per l’efficienza degli omosessuali maschi: appartengono alla borghesia bianca e sanno come gestire le cose. Per noi è sempre difficile organizzarci.