«la donna rovesciata»

giugno 1976

scrivere qualcosa su di me, sul libro che ho fatto, per spiegare come sono e perché ho voluto raccontare delle cose in un libro. È buffo, perché tutte le volte che dico la parola Libro, mi sento male, poiché sembra una cosa importante. E invece i disegni di «La fata rovesciata» sono semplicemente un modo di comunicare, il mio modo di comunicare.

Ho bisogno di esprimermi, di confrontarmi con le altre ma a parlare in pubblico la paura mi blocca: lapsus, accavallamenti di parole, balbettamenti, cuore che sembra scoppiare… insomma non ce la faccio; comunicare mi riesce spontaneo e facile solo in rapporti intimi e ristretti.

Perfino nei gruppi di autocoscienza a cui ho partecipato mi trovavo spesso in difficoltà: di fronte alle persone che riuscivano a verbalizzare facilmente la propria storia, io mi vivevo male, mi sentivo imbranata, incolpata di passività e frustrata. Questo deriva certo dalla mia storia personale. Sono cresciuta isolata dagli altri, anche fisicamente, senza amici/amiche con cui parlare, tra gli «stai zitta» e «non disturbare» e «ma taci, che non sai niente» di due genitori autoritari ed esasperati dalla vita che facevano. Mutismo mio per anni. Più tardi, quando le mie difficoltà a parlare erano diventate insopportabili, continue richieste da parte dei miei: «bisognerebbe prenderti a schiaffi per farti aprire la bocca». A schiaffi… Ma quando tentavo di parlare e dire quello che pensavo, mi dicevano che volevo piantar grane, che ero un’ingrata e cose di questo genere, e che stessi zitta che era meglio. E altri schiaffi… Così tra i rimproveri di dire le cose che sentivo e i rimproveri di non dire le cose che gli altri volevano che io dicessi (le cose belle, buone e carine che deve dire una ragazza per bene), tra uno schiaffo e l’altro una si abitua al silenzio. La parola ha sempre significato per me paura, incertezza. Ci sono voluti anni per uscire da questa situazione, ma ancora adesso mi sento goffa quando parlo. Mi sento meglio quando scrivo o disegno; l’anno scorso è stato bello con altre donne comunicare le nostre storie con i fumetti in «Perché non i fiori». Anche tutte le altre avevano i miei stessi problemi, anche se i motivi erano diversi. È stato bello perché con i disegni sono riuscita a farmi capire e capirle; mi ha fatto acquistare fiducia in me stessa. E ora ci ho riprovato; da sola, questa volta, ho cercato di esprimere la mia incazzatura, le mie delusioni, le fantasie che mi porto dentro, i condizionamenti che ho avuto, disegnandole, immaginandole, per farvele vedere, perché voi mi parliate. E scusate se per parlare di un libro ho cominciato da Adamo ed Eva, ma non so… è difficile fare una presentazione, anzi, non la so proprio fare. Ciao