la giarrettiera

 

Il declino della giarrettiera si può far risalire grossomodo all’inizio degli anni cinquanta. A quell’epoca, infatti, vuoi perché fuorviata dalle nuove correnti di pensiero, vuoi perché suggestionata dai dettami della moda, vuoi perché abbagliata dal lancio sul mercato di nuovi prodotti commerciali, la stragrande maggioranza degli uomini abbandonò ‘il vezzo della giarrettiera in favore del molto meno eccitante calzino con il bordo elasticizzato.

Forse non ce ne accorgemmo subito, ma fu la fine di una epoca. In pochi anni era tramontata la familiare, maschia figura, cara alle nostre mamme, dell’uomo militarizzato, marzialmente infagottato in lunghi pastrani e con i polpacci virilmente fasciati da bende grigioverdi. Anche il cappello borsalino aveva fatto il suo tempo, insieme alla martingala portata alta e alla riga in mezzo con basetta inesistente e sfumatura sulla nuca. Gli uomini sembravano impazziti: non passavano più la domenica mattina, con la retina in testa, a prepararsi per andare allo stadio. Del piegabaffi si era persa la memoria e non si faceva quasi più uso di brillantina.

Solo, in alcune sacche di attarda-mento culturale (Spagna, Italia, Grecia, Portogallo) si potevano trovare ancora, all’epoca, degli esemplari di «homo virilis» dalle inconfondibili caratteristiche somatiche già denunciate dal Lombroso: labbro tumido, narice fremente, occhio pesante, mano morta.

Solamente nell’area mediterranea sopravviveva ancora, nonostante la aberrante rivoluzione dei costumi in atto, lo sporadico, quasi clandestino uso della giarrettiera. D’estate, con il pretesto delle vacanze, si accentuava il movimento turistico, prevalentemente (ma per la verità non solo) femminile, verso i paesi dell’area in questione. Non era improbabile, allora, carpire dall’uscio maliziosamente socchiuso di una cabina, l’immagine conturbante di una abbronzata gamba maschile sulla quale si stagliava come una ipsilon metafisica, una vecchia giarrettiera.

A volte, la sera al caffè, si poteva scorgere, balenante nel vivo di una animata discussione sportiva, un bianco polpaccio cinto voluttuosamente di elastico nero. Ma per una visione carica di tanto eccitante erotismo, quanti calzini a mezz’asta, quanti calzerotti bucati, quanti pedalini dai colori contrastanti con il resto dell’abbigliamento!

Secondo Bataille e Reich la giarrettiera avrebbe dovuto essere come il calzino, sempre e solo nera. Soltanto in casi eccezionali, si poteva ammettere un cardinalizio bordò. Nell’intimità, la mutanda liberty a gambaletto, che arrivava fin quasi al ginocchio, si avvantaggiava di questo contrasto cromatico. La giarrettiera, cingendo lo stinco proprio sotto il polpaccio, con il suo ‘maschio, sensuale annodarsi, circoscriveva nel breve arco di trenta centimetri una tematica che andava al di là della semplice affermazione di voler dominare senza curarsi di piacere. Nulla ‘lasciava prevedere il suo improvviso tramonto. C’era un momento, nella vita della coppia, che da quel giorno, non si sarebbe più ripetuto. Quando lui, prima dell’amore, si era già sfilato i calzoni e, slacciate le scarpe, si aggirava per la stanza alla ricerca di qualcosa: una sigaretta, il giornale, che so, il pacchetto degli Hatù. In quel momento era indifeso, con quelle brevi parentesi scure che sottolineavano crudelmente la sua atavica dipendenza dalla donna per tutto quello che concerneva l’operazione di riattacco dei bottoni, la preparazione del pasto quotidiano, il ricordare date e feste di famiglia, il fare la valigia, eccetera, eccetera, eccetera.

Ora non più. Il calzino con il bordo elasticizzato, con la possibilità di essere prontamente sfilato e gettato in un canto, ci ha privato di quel qualcosa di ambiguamente perverso e deliziosamente canaille che la visione del maschio nella sua scabra essenza ci aveva per tanto tempo offerto. Il tramonto della giarrettiera, honni soit qui mal y pense, ci ha defraudato tutte di qualcosa.