lettera aperta a tina anselmi

dalla conferenza per l’occupazione femminile avremo solo chiacchiere o soluzioni concrete?

novembre 1976

Signora Ministro,

la prossima conferenza Nazionale, indetta dal governo, sull’occupazione femminile (conferenza che doveva tenersi nel 1975, Anno Internazionale della donna) spinge le donne italiane e le lavoratrici in particolare, a chiederLe, in quanto donna, alcune spiegazioni. Lei appartiene al partito che da 30 anni governa l’Italia. In questi 30 anni le occupate cioè le donne che hanno la fortuna di avere un lavoro stabile, tutelato dalle leggi, e dai contratti collettivi di lavoro, sono diminuite. Questo è incontestabilmente provato dalle rilevazioni dell’ISTAT; e lo si rileva anche dallo Schema di discussione n. 1 preparato dal Comitato nazionale per l’anno internazionale della donna, Comitato da Lei presieduto.

Ciò che invece risulta meno chiaramente ma che da tempo economisti e studiosi sottolineano (ricordo anche l’ultima pubblicazione che tratta di questo argomento: il libro di Giorgio Fuà «Occupazione e capacità produttive: la realtà italiana» edizione II Mulino) è la massiccia presenza di donne nei settori della sottoccupazione. Se al puro dato (il 18% delle donne italiane in età lavorativa sono occupate) aggiungiamo le lavoratrici a domicilio, (circa 1 milione e mezzo); le coadiuvanti agricole, (mogli e figlie di contadini e mezzadri); le addette, — che nessuna statistica ha mai rilevato — al piccolo commercio; le stagionali agricole; le occupate • con contratti a termine o a tempo parziale; vediamo che la cifra delle donne che lavorano in Italia tocca e forse supera i livelli delle percentuali di altri paesi europei (il 30-35%). Ciò che denunciamo è che al di là di quello che dicono le statistiche ufficiali la maggior parte delle donne italiane lavora ma in condizioni difficili e precarie. Non hanno un contratto di lavoro, non hanno diritti assistenziali o previdenziali, non sono quindi riconosciute come partecipi dell’economia del nostro Paese. Signora Ministro, anni fa Lei ha lavorato nel Veneto come sindacalista nel settore tessile, dove come lei ben sa, la maggior parte della manodopera occupata è femminile.

Sempre nello Schema n. 1 di discussione per la Conferenza, vedo a pagina 14 che tra «i possibili interventi» si parla di «programmazione dello sviluppo industriale con particolare cura del settore tessile». Ma come si concilia questa frase con tutte le prese di

posizioni di politici ed economisti del suo partito che da mesi sostengono che il settore tessile nel futuro sviluppo industriale italiano dovrà subire un ridimensionamento?

Come pensa di concretare quanto è scritto nello schema se finora nessuna misura è stata presa per arginare l’attacco pesante all’occupazione (ripeto in maggioranza femminile!) del settore?

Le cito alcune cifre per cercare di capire con Lei perché alcuni settori del suo partito danno per scontato il «ridimensionamento» del settore tessile mentre assistiamo soltanto ad un «ridimensionamento» del numero delle occupate in quel settore. Nei primi 8 mesi del 1976, la produzione tessile-abbigliamento è cresciuta del 17,8% rispetto al precedente semestre, mentre l’occupazione è diminuita dell’1,6%. E’ infatti cresciuta e la domanda interna e la richiesta estera.

Signora Ministro, nella trasmissione televisiva «Ring» andata in onda sul 2° canale il 20 ottobre alle ore 21,55 lei ha parlato di «residuati culturali» a proposito dei condizionamenti ideologici e di costume che ancora oggi impediscono alle donne italiane di utilizzare quel diritto al lavoro che la nostra Costituzione riconosce ad ogni cittadino. Quanta parte, lei pensa, abbia anche il suo partito — e l’ideologia a cui si ispira — nel condizionamento che le donne subiscono se vogliono intraprendere «nuove» professioni?

In nessuno dei quattro schemi che il Comitato presenta alla Conferenza per la discussione si approfondiscono le ragioni dell’emarginazione della donna dal mondo del lavoro, ragioni che spesso trovano il loro fondamento anche in un falso moralismo, in tabù tradizionali, in una educazione sessuale repressiva e punitiva. Che tutto questo abbia a che fare con l’occupazione glielo dimostro con due soli esempi tra i tanti che potrei citarLe. Le donne italiane hanno maturato in questi ultimi anni una presa di coscienza che le ha portate a chiedere di essere inserite in tutti i settori lavorativi. Donne hanno vinto concorsi per lavorare in ferrovia e per lavorare nel corpo dei vigili urbani. Le difficoltà che hanno incontrato proprio sul piano della mancanza di rispetto da parte di uomini ha indotto, in varie città e province (Roma per esempio), a chiedere, prima, di essere sempre «in coppia» con un collega uomo, e poi, di poter svolgere un lavoro di ufficio. Le intemperanze, le offese di passeggeri ed automobilisti le ha costrette a rinunciare ad un lavoro che avevano scelto per il quale . si erano preparate con studi ed esami. Signora Ministro, possiamo parlare ancora di «residuati culturali»?

Da trent’anni la democrazia cristiana governa in Italia, in trent’anni si sono formati almeno due generazioni di uomini. Con quali risultati, visto che il suo partito spesso si riferisce ad istanze morali di cui sarebbe portatore?

Signora Ministro, il padronato italiano, negli ultimi mesi, per avere «la libertà» di licenziare ha preso in mano la bandiera della «lotta all’assenteismo». Per le lavoratrici le direzioni aziendali computano nell’assenteismo anche i periodi di assenza per maternità (periodi imposti e tutelati da una legge!) e le giornate di permesso per malattia dei figli minori di 3 anni (anche questo un diritto. riconosciuto dalla legge!). Abbiamo avuto proprio nelle ultime settimane decine di lavoratrici licenziate per un «assenteismo» che comprendeva anche giorni di permesso previsto dalla legge che dovrebbe tutelare la lavoratrice-madre. Non crede, On. Anselmi, che anche il potere politico, ed in particolare il partito che lo detiene da tanto tempo, siano colpevoli di questa «inefficacia» delle Leggi?

A questo proposito voglio ricordare che una legge stabiliva che in cinque anni (dal ’70 al 75) si sarebbero dovuti costruire ben 3.800 asili-nido e se ne sono invece costruiti solo 90. Di chi è quindi la colpa per l’assenteismo delle lavoratrici?

Che senso ha avere una «bella» legge che tutela la lavoratrice-madre quando si permette poi che l’organizzazione del lavoro procuri centinaia di aborti bianchi? Per l’appunto, in quest’ultima settimana, due lavoratrici, per paura di perdere il loro posto di lavoro, sono tornate in fabbrica, — perché il medico non aveva loro rinnovato il permesso — ed hanno perso il figlio che attendevano.

Per preparare questa Conferenza Nazionale sull’occupazione femminile, il Ministero che lei presiede ha indubbiamente preparato tanta documentazione. Purtroppo ciò che le lavoratrici sanno; ciò su cui sono «documentate», è quello che vivono e vedono in questi giorni: scuole insufficienti, servizi sociali o inesistenti (asili-nido, scuole-materne) o carenti (ospedali, trasporti), costo della vita in vertiginoso aumento e un’inquietante incertezza ‘ di mantenere il proprio posto di lavoro. La Conferenza Nazionale vorrà trovare delle soluzioni concrete ed a breve termine, alla condizione delle donne (lavoratrici reali, occulte, marginali, e potenziali) o si limiterà ad enunciazioni di principio?