noi e le elezioni

giugno 1976

sappiamo che le elezioni di giugno sono una tappa fondamentale per il paese: l’occasione per voltare pagina, per dare il via a un processo di rinnovamento. Non ci sfugge l’importanza del voto del 20 giugno, ma non vogliamo che la questione elezioni monopolizzi il dibattito nel movimento, dibattito che è e deve rimanere molto più vasto e più articolato.

Sul voto la nostra posizione è chiara: voteremo (perché scheda bianca in questo momento significa avallo dello status quo) e voteremo a sinistra (perché il femminismo non è una rivendicazione di categoria, ma punta al cambiamento radicale di tutta la società). Tuttavia non possiamo, come femministe, riconoscerci completamente in nessun partito per la loro struttura di potere gerarchica e maschile, per il loro modo di fare politica scisso dal privato, per la loro tendenza, nonostante le dichiarazioni dì principio, a vedere il problema donna come un settore a parte (vedi il fatto che esistono ancora le commissioni femminili, che le rivendicazioni come i consultori, gli asili nido, che dovrebbero appartenere a tutta la società, sono invece ancora considerate «cose da donne ). L’accusa di settorialismo viene spesso fatta al femminismo: in realtà chi ci lancia quest’accusa non capisce o non vuole capire che l’analisi femminista è omnicomprensiva, che non rinnega nulla della lotta di classe, ma fa un passo avanti, riscoprendo la contraddizione uomo-donna presente in tutte !e classi. Proprio perché abbiamo questa visione globale rivoluzionaria, il nostro discorso non si esaurisce nella battaglia per i diritti civili: u questo ci differenziamo profondamente dai radicali, che tentano di curare gli effetti, non le cause, dei mali della società.

Fermarsi ai diritti civili significa limitarsi a rivendicare spazio alle minoranze; dato che le donne sono il 50% della popolazione, i radicali presentano liste al 50% femminili, dato che gli omosessuali sono, poniamo, il 2% fanno una lista al 2% omosessuale e così via. In questo modo, secondo noi, sì confonde la forma con la sostanza, risolvendo in rapporti numerici una carenza di analisi politica di fondo. Per questo contestiamo ai radicali la loro affermazione di essere LA lista femminista: perché il femminismo non è lotta per i diritti civili ma lotta rivoluzionaria.

Quel che ci importa veramente, quindi, quello che secondo noi è il nodo della questione, è il rapporto donna politica, donna-potere: analisi che il movimento femminista sta affrontando e che la scadenza elettorale ha riproposto. Le testimonianze che pubblichiamo mettono quasi tutte l’accento su questo punto: la necessità di trovare un modo diverso di fare politica, che parta dal privato e coinvolga l’individuo, donna e uomo, totalmente, superando i ruoli e la scissione pubblico privato che assegna al primo un significato politico negandolo al secondo. Un modo di fare politica che spezzi le strutture verticistiche, basate sulla delega, che caratterizzano il potere nella società attuale. Questo «nuovo modo» per noi non è solo teoria: lo stiamo sperimentando, sia pure con grossi limiti e tra contraddizioni quotidiane, nelle nostre lotte per l’aborto, per ì consultori, per la contraccezione per diversi rapporti tra noi, con i nostri uomini, i nostri figli.

Per continuare in questo «esperimento» e non esaurire la nostra presenza nella società con il voto e le candidature (adottando cioè solo modi maschili e tradizionali di militare) è indispensabile in questo momento conservare l’autonomia del movimento. Il che non significa isolamento, né assenteismo né tantomeno ignorare le esigenze «delle masse» per rinchiuderci in un ghetto elitario: i problemi del carovita, della disoccupazione, della sempre più scadente «qualità della vita» angosciano soprattutto noi, coinvolgono soprattutto noi, che ne paghiamo due volte il prezzo. II mantenere la nostra autonomia ci garantisce la possibilità di analizzare anche questi problemi «tradizionali» con un’ottica diversa.

Ad esempio non ci basta lottare per la difesa del posto di lavoro, ci interessa riesaminare le premesse dell’attuale organizzazione del lavoro: le sinistre ne analizzano la componente classista, noi vi aggiungiamo quella sessista. Le sinistre vogliono costruire l’alternativa al capitalismo, noi al capitalismo e al patriarcato.