seveso: veleno nell’utero

settembre 1976

Visite ginecologiche nei primi giorni di apertura dei consultorio:

163 operaie

140 impiegate

16 insegnanti

2 artigiane

230 casalinghe (di cui 161 mogli di operai ed artigiani)

660 visite ginecologiche tra le quali sono state accertate:

192 gravidanze tra la V e la XV settimana

222 gravidanze oltre la XV settimana

ABORTI TERAPEUTICI 22

 

SEVESO: il fallimento dell’aborto terapeutico

si sentiva, tra le giovani donne presenti alla prima assemblea unitaria alla scuola De Gasperis di Seveso, la rabbia impotente, di fronte all’irresponsabilità delle autorità, alla strumentalizzazione della situazione da parte delle forze politiche, alla completa spersonalizzazione di se stesse e la rabbia di capire che poche tra di loro erano in grado di lottare anche se inutilmente, mentre la massa delle donne di Seveso era lì spaventata, attaccata alla propria ignoranza, unica difesa di fronte agli interrogativi sollevati dalle compagne più informate del consultorio.

Ma per darvi meglio l’idea dell’atmosfera che ho trovato, pensatemi mentre , percorro chilometri di strade fiancheggiate da case buie, illuminate improvvisamente da qualche mostra di mobili e lampadari. Testimonianze di quella che è stata fino a ieri l’attività prevalente della zona, a parte le fabbriche chimiche. Adesso sono prodotti invendibili, ci sono una zona A ed una zona B dove il tasso di diossina è tale da rendere impossibile la vita, si tratta di un veleno mortale. Ma per le oltre 400 donne incinte al momento della fuoriuscita della nube tossica, non è stato emanato un decreto legge, si è preferito ricorrere alla sentenza della corte costituzionale sull’aborto terapeutico, basandosi sull’interpretazione data da Andreotti con l’invenzione della commissione di tre medici, che stabiliscano l’idoneità della donna ad abortire. Idoneità basata in questo caso, non sulla difesa della donna come persona e della gravidanza, ma punitiva nella sua autorizzazione ad abortire solo se è riscontrata l’anormalità psichica della paziente. Un evento tragico che ha buttato la gente fuori di casa propria, che ha tolto il lavoro a migliaia di persone, ma solo la donna incinta che teme le anomalie prospettate a carico del nascituro (fisiche o psichiche, a breve o a lunga scadenza, le autorità sanitarie non le precisano affatto) solo lei è una povera nevrotica se non se la sente di continuare la gravidanza.

A questo punto si precisano delle responsabilità e sono a carico di due istituzioni: le assistenti sociali e sanitarie di Comunione e Liberazione e lo psichiatra, membro della commissione operante alla clinica Mangiagalli: Frattola, fanfaniano di ferro. A proposito delle prime si tratta di 500 persone circa inviate da C.L., l’unica forza che è entrata subito in campo intuendo la portata psicologica, per il problema legislativo aborto, della scelta delle donne colpite dalla diossina.

Come è stato semplice per le assistenti sociali di C.L. contattare le donne in attesa, una per una, nei centri di raccolta degli sfollati e traumatizzarle con le foto dei feti a un mese, a due mesi e con la brutale domanda: se la sentirebbe di uccidere un esserino così?

Le poche donne che sono riuscite a superare psicologicamente questa fase sono andate alla clinica Mangiagalli per ottenere l’autorizzazione ad abortire dalla commissione medica.

Commissione non omogenea e dove la presenza dello psichiatra Frattola è stata determinante. Questo medico ormai si è dimesso dal suo incarico, ma porterà il peso morale di aver dato ai suoi incontri l’unico significato di alternativa da «maternità o anormalità psichica». Questa impostazione del problema non è certamente estranea al dettato di Colombo arcivescovo di Milano, partito con C.L. per una crociata a favore dell’adozione dei figli menomati, rifiutati eventualmente dalle famiglie.

Frattola con un’ambiguità di chiaro contenuto politico, ha avuto il coraggio di tranquillizzare le coppie, di rimettere nel vago le conseguenze della diossina, giocando così sulla presenza del compagno per rimandare o negare l’autorizzazione. Infatti ritengo che non a caso le visite al consultorio sono state fatte in coppia. Quella coppia che non abbiamo mai vista coinvolta responsabilmente nelle gravidanze normali, quei compagni che nella maggior parte dei casi di aborto sanno solo sparire, adesso davanti alla diossina si sono presentati per la prima volta in molti al fianco della propria donna. Andavano con l’intenzione di appoggiare la compagna che voleva interrompere la gravidanza, ma si riparavano pronti dietro le rassicuranti indicazioni dello psichiatra. Perché? Forse il problema deve essere letto diversamente: se si abortisce significa che non c’è più niente da fare, nemmeno per la casa, per il lavoro, che bisogna andarsene, ricostruire tutto da capo.

E allora si gioca, una volta di più, per salvare il sistema, sulla pelle, sui sentimenti e sull’equilibrio delle donne.

Andando alla riunione ripensavo ai commenti di D’Ambrosio, il ginecologo della clinica Mangiagalli, che ha sostenuto ed attuato con il consenso del direttore Candiani gli unici sei aborti terapeutici. Pensavo alle difficoltà incontrate per realizzare gli interventi, sia per la chiusura cattolica dell’ambiente di Seveso, sia per quella parte di personale dissenziente all’interno della clinica, ma soprattutto per l’azione gesuitica dello psichiatra e aspettavo di conoscere l’ambiente.

Ed ecco la scuola sovraffollata dove potevo riconoscere con una certa facilità il gruppo di Seveso e gli intervenuti dei vari gruppi della sinistra, le femministe e le assistenti sanitarie del consultorio, precise ed aperte. Queste hanno chiesto fermamente una maggiore informazione e la possibilità di abortire liberamente, data la mancata delimitazione delle aree di dispersione della diossina.

Tutte le persone presenti che vivono questa realtà senza falsi pregiudizi hanno aderito pienamente. Poi però la parola è passata ad un certo Cesana, rappresentante di C.L., e siamo precipitati nel medio evo, nell’ottica del «porgi l’altra guancia», il quale agitando lo spauracchio della cattiva coscienza, ha detto che ‘qualunque siano i rischi e le conseguenze legate alla diossina, un cattolico non sarà mai per l’aborto, e non bisogna prescindere dal contesto culturale e sociale quando si propongono degli interventi di questo genere… In realtà invitare gli operatori a tener conto del contesto storico e culturale, significa lasciare le donne di Seveso nel loro mondo di ignoranza cattolica, nel più gretto oscurantismo.

So che sono cominciate delle conferenze, presso i centri di raccolta degli sfollati, per l’informazione sessuale. Fratto-la è stato sostituito da Spiazzi. Di questo nuovo psichiatra sappiamo solo che è assistente di Cazzullo il cattedratico milanese di psichiatria, noto per le sue camaleontiche capacità politiche, comunque un DC di formazione gesuitica.

Il CISA per protestare contro l’immobilismo legislativo in merito all’aborto, ha fermato i suoi interventi e c’è da pensare che molte donne di Seveso devono essersi rivolte alle strutture non ufficiali per evitare i «coinvolgimenti».

Le notizie contenute nell’articolo si riferiscono al 15 di settembre.