suor juana ines

luglio 1974

 

Città del Messico, 1691. In una lettera diretta al vescovo di Puebla (e che diventerà famosa come la « Risposta a Suor Filotea ») c’è l’autobiografia di una delle donne più interessante di quel secolo.

E’ Suor Juana Inés de la Cruz. In piena Controriforma, alcuni mesi prima, questa suora ebbe l’audacia di contestare il sermone di un importantissimo prelato: Antonio Vieira, gesuita portoghese, predicatore celebre in Europa e America, confessore di Cristina di Svezia e consigliere di molti uomini di stato.

Nella società coloniale messicana di quel tempo gli intellettuali laici scrivevano in versi, e quelli clericali in sermoni. Non esistevano carriere militari, diplomatiche o politiche. Unico sbocco, la carriera ecclesiastica. Alla Chiesa è affidata tutta l’istruzione, da quella elementare a quella universitaria, interdetta — ovviamente — alle donne.

La predica dal palpito sostituisce i giornali. Il « sermone » è il Telegiornale della situazione. In quel periodo infatti in Messico circa l’ottanta per cento della produzione letteraria è appunto costituita da « sermoni ».

E adesso una semplice suora ha osato competere con un grandissimo gesuita su un tema per l’epoca importantissimo: perché Gesù si è fatto crocefiggere? Gli argomenti di Antonio Vieira e di Sor Juana Inés sono ai nostri occhi d’oggi ugualmente risibili. Ma per l’epoca è come se una commessa di Standa contestasse oggi a Guido Carli il suo piano di risanamento dell’economia italiana. Scavalcato Padre Vieira, salta su, indignatissimo, il Vescovo di Puebla suo superiore, il quale (firmandosi Suor Filotea come allora usava) invita l’incauta Sor Juana a non rompere più le scatole: basta con queste sue manie di teatro, poesie, scienze, filosofia: queste cose sono indecenti da parte sua, sia come suora che come donna. Nella « Risposta a Suor Filotea » c’è non solo la difesa di questa grande donna attraverso la sua biografia, ma soprattutto l’affermazione dei diritti della donna allo studio, alla cultura, alla libertà intellettuale.

Sor Juana nasce nel 1648, figlia illegittima di una creola e di un navigatore basco. Non è quindi una famiglia nobile che l’alleva anche se avrà a disposizione la vasta biblioteca del nonno.

A tre anni accompagna una sua sorella maggiore che va a scuola. Spacciandosi per sua coetanea dice alla maestra che la mamma vuol fare imparare a leggere anche a lei. La maestra, colpita finge di credere. Risultato: Juana ha imparato a leggere prima che la madre venga a conoscenza del suo trucco. E’ un Alfieri in gonnella che poi si legherà al tavolo di studio con mezzi del tutto femminili. Quando infatti vuole imparare qualcosa, si taglia i capelli, così, non potendo uscire, dovrà studiare, e basta. In tal modo, impara il latino in venti lezioni. A otto anni scrive la prima elegia. A dodici, alla corte del viceré, stupisce tutti coi suoi versi. Il viceré, marchese di Man- cera, la fa esaminare dai professori dell’università coloniale. A tutti questi esaminatori che in fondo la studiano

pensandola un po’ matta lei risponde difendendosi (dirà lo stesso viceré) « come un galeone di Spagna in mezzo a un drappello di scialuppe ».

Juan è molto bella e corteggiata. Ma il matrimonio non la interessa, anzi la spaventa: « …l’occupazione obbligatoria di moglie impedirebbe la libertà del mio studio ». Così a vent’anni si fa suora. Niente misticismo, niente delusione d’amore, semplicemente per quei tempi la vita in convento rappresenta per una donna forse l’unica possibilità di sopravvivenza intellettuale. Solo in convento infatti Juana Inés de la Cruz, che nel mondo letterario di lingua spagnola verrà chiamata « la decima musa » (una specie del nostro Leopardi) potrà scrivere commedie, versi, poesie, musica, dedicarsi alla filosofia, alla teologia, alla matematica, alla fisica e aH’astronomia. Solo perché monaca può avere rapporti con la corte coloniale messicana, corrispondere con gli intellettuali europei e ispano-americani che, proprio perché monaca, l’ammirano. Fosse una moglie sarebbe indecente.

Che scriva, ad esempio:

Uomini sciocchi che accusate la donna senza ragione, senza capire che siete causa della stessa imputazione:

perché volete che faccia il bene se la portate al male?

Con il favore e lo sdegno ottenete le stesse condizioni lamentandovi se vi trattano male, burlandole se vi vogliono bene.

O chi è più da accusare nonostante chiunque faccia male: colei che pecca per la paga o colui che paga per peccare?

Questo che è in fondo il manifesto femminista del suo tempo, Sor Juana non avrebbe mai potuto scriverlo se non avesse goduto (oggi sembra paradossale) della libertà di essere monaca.

Ma il mondo in cui vive: l’ambiente sociale che la circonda, il padre, le altre monache, i superiori e il suo conTessore finiscono per distruggere Juana. Negli ultimi due anni della sua vita vende i libri, gli strumenti di musica e di astronomia e col ricavato benefica i poveri. L’ambiente non poteva tollerare troppo a lungo lo scandalo di una donna genio è, seppure nell’ultimo round, ha vinto. Sor Juana Inés de la Cruz ha avuto una grande fama nel nuovo e vecchio continente ma in Italia non ne è mai stato tradotto neppure una riga. E forse non a caso.