tempo di more

maggio 1975

 

Una delle prove più evidenti che la donna è un oggetto di studio «disumano» la possiamo trovare nel fatto che, fino ad oggi, è stata studiata soltanto nell’ambito di scienze non storiche. Quando si parla della donna si fa di solito un discorso di carattere generale cui manca lo spessore e la concretezza della storia, la dimensione e la profondità del passato, tanto che sembra possibile collocare la conoscenza della donna in un presente atemporale, simile a quello in cui sono stati collocati i cosiddetti «primitivi». Solo in un discorso che riguarda la donna può succedere che l’apertura di uno spiraglio — ben subordinato — di carattere storico-culturale, in un quadro conoscitivo psicologico-clinico, venga avvertito con un sapore di ardita novità…

Di fatto una storia della donna non esiste, e fino ad oggi è sembrato sufficiente, volendo saperne qualcosa, rifarsi all’antropologia fisica, alla sessuologia, alla psicologia, o al massimo alla letteratura. E, del resto, una storia della donna non si può neanche fare, nei termini metodologici nei quali siamo abituati a far storia: la vita della donna, infatti, non emerge se non molto raramente in accadimenti significativi, in eventi databili nel tempo, in biografie eccezionali. Essa scorre nel fitto tessuto culturale del «quotidiano» che gli storici non hanno mai assunto a valore di storia. Il quotidiano, tuttavia, ha una sua storia, che l’antropologia culturale va mettendo in luce, e sempre più appare evidente ormai che anche la comprensione strettamente psicologica non è possibile ai di fuori del contesto storico e culturale.

Per quanto riguarda la donna poi, la sua storia è talmente connessa ai significati culturali che hanno via via assunto la sua fisiologia e la sua sessualità che non è possibile comprenderla, in profondo, se non ripercorrendo l’itinerario di questi stessi significati.

La cosa che appare subito evidente è la presenza, in tutte le culture, di particolari comportamenti che riguardano la mestruazione, la gravidanza e il puerperio, comportamenti che appaiono molto simili fra loro, malgrado la variabilità delle forme, perché legati alla radice da un significato univoco: la fisiologia della donna è percepita come «potenza», e scatena pertanto la necessità di particolari tabuizzazioni.

Naturalmente non è possibile qui, data la brevità del tempo a disposizione, fare un quadro, sia pure sommario, dell’estesissima rete di comportamenti tabuizzanti che circondano i fenomeni fisiologici della sessualità femminile in tutte le culture, ma riportando alcuni pochi dati sulla presenza, anche recente, di tali comportamenti in Italia, vorremmo che se ne potesse dedurre quanto ha pesato sulla storia della donna, sulla sua struttura psicologica, e sulla sua immagine culturale, il particolare significato di cui è stata caricata la sua fisiologia. Il primo rilievo da fare è che la «potenza» è connessa, in forma primaria, alle mestruazioni; tutte,.o quasi tutte le credenze e le tabuizzazioni che circondano la gravidanza e il puerperio sono da ricollegarsi alla presenza delle mestruazioni ; da ciò discende, come è chiaro, una implicazione assillante ed ossessiva per la donna, la quale non sfugge al ritmo mensile che la condiziona in tempi ben più ristretti che non la procreazione. Il secondo rilievo da fare è che la «potenza» della donna, come sempre avviene per tutto ciò che è potente, è altro, diverso, si qualifica in senso sia positivo che negativo; ma storicamente ciò che prevale è la qualificazione negativa, dato che il «timore» finisce per determinare sempre una forma di evitazione, di emarginazione, di allontanamento dal contesto sociale.

La raccolta di credenze e di dati comportamentali cui qui si fa riferimento, è stata fatta attraverso lo spoglio di testi recenti di cosiddette «tradizioni popolari» e inchieste condotte durante l’anno 1974 in alcune zone della Toscana, dell’Umbria e alcuni quartieri popolari di Roma. I comportamenti e le credenze si riferiscono soprattutto al rapporto della donna mestruante, incinta o puerpera con l’acqua, con le piante, con alimenti particolari e al «potere» del mestruo.

Per prima cosa bisogna notare che il mestruo è indicato sempre con una circonlocuzione particolare o con un termine diverso da quello tecnico ; con una persistenza di tali vocaboli notevolissima dato che per alcuni di essi si può risalire al 1 700. Cito qui soltanto i più frequenti e che si ritrovano in regioni d’Italia. Il «marchese» (o anche la marchesa) che si trova nel Lazio, in Toscana, e corrisponde a «lu marchisi» in Sicilia, e a «marches» nel Friuli o «marchees» nei Veneto; «le sue cose» o «quell’affare» nel Lazio che corrisponde a «li sos robis» nel Friuli o al diffuso «le sue robe» ; «la visita» (in Sicilia), «fioritura di lamponi» (a Roma) corrispondente alla immagine siciliana «tempo di more», con evidente allusione al rosso del frutto; oppure ancora «ha veduto

qualcosa», «corre il fosso», «i suoi benefizi» i «suoi soccorsi», si sono «risentite le vene»; infine «misurazioni», miscelazioni, amministrazioni, ecc.

E’ importante sottolineare l’usanza, nel Trentino, di chiamare il mestruo con un nome proprio maschile, che ogni ragazza sceglie a suo piacere al momento della prima mestruazione e col quale continuerà a chiamarlo fino alla menopausa; usanza che rende esplicito il particolare rapporto dialettico che la donna instaura col proprio corpo, dal quale si sente agita come da un ente estraneo.

Rapporto con l’acqua: è in genere vietato immergersi completamente, oppure parzialmente; è bene rinviare le pulizie domestiche o il bucato; non si può lavarsi i capelli. Questo è un comportamento comune e che è stato rilevato a tutt’oggi nelle inchieste. La spiegazione che le donne danno di questo divieto è che l’acqua può provocare l’arresto del flusso o l’aborto. I capelli invece non prenderebbero la piega. In Toscana la puerpera non deve toccare l’acqua fredda perché può far male alle ossa.

Rapporto con le piante: la donna, durante il ciclo, come pure quando;è incinta, non deve innaffiare le piante né toccare i fiori perché seccherebbero. Questa usanza, a tutt’oggi diffusissima, ha un lungo passato e si ricollega al potere malefico del mestruo nei confronti di tutto ciò che «cresce». Lo stesso significato infatti ha il divieto di tagliarsi o di tagliare le unghie o i capelli; anch’essi non ricrescerebbero.

In Romagna, come pure in Toscana, la donna mestruata, o puerpera, non deve neanche toccare i capelli di un’altra persona (ma a volte neanche i propri) perché potrebbe causarne la caduta. Non bisogna meravigliarsi del fatto che le stesse credenze che riguardano la doi na mestruata siano estese alla donna incinta e puerpera dato che il mestruo non viene mai pensato come assente ma, durante la gravidanza, si ritiene che vada a formare il corpo del bambino e, durante il puerperio, ad alimentare il latte. E’ questa una convinzione comune alla maggior parte delle donne intervistate, ma che ha, come del resto quasi tutte le credenze tradizionali, la sua origine nella scienza ufficiale del passato. Una storia delle varie teorie mediche sulle mestruazioni sarebbe in questo senso illuminante.

Rapporto con alimenti. E’ vietato soprattutto il rapporto con cibi che debbono fermentare o lievitare (che debbono quindi «crescere» o «trasformarsi»). Perciò (dalla rilevazione odierna in Toscana), sappiamo che la donna mestruata non deve toccare il vino perché diventerebbe aceto, non deve preparare dolci perché non cuocerebbero bene, così pure non deve preparare il formaggio, divieto rilevabile in varie forme in altre zone: in Calabria, per esempio, il pastore non caglia il latte davanti alla donna mestruata perché il caglio non avverrebbe, in Puglia la carne fresca, i dolci, la pasta del pane vanno a male se toccati da lei e non può neanche accostarsi ai torchi dell’uva e delle olive perché il vino e l’olio andrebbero perduti. Appare evidente la connessione pericolosa della donna con tutto ciò che è soggetto a un «divenire» positivo, ad una crescita; e si spiega così come la donna mestruata sia pericolosa anche per la donna che ha appena partorito in quanto fermerebbe il flusso del latte (credenza veneta).

Una forma particolare del legame della donna con gli alimenti è rintracciabile nella credenza, presente a tutt’oggi in forma estesissima, nelle cosiddette «voglie». Di questa credenza si ha un’ampia documentazione anche nelle recenti inchieste in Toscana, in Umbria e a Roma. Si tratta, come è noto, della credenza in base alla quale la donna incinta deve mangiare tutto quello che desidera altrimenti il bambino potrebbe nascere con qualche macchia sulla pelle dello stesso colore e della stessa forma della cosa desiderata e nella stessa parte del corpo in cui si è toccata nell’attimo in cui desiderava quel determinato cibo. Tutte le donne intervistate si attengono al sistema di toccarsi le natiche, come una parte nascosta che porterà eventualmente poco danno estetico al bambino. E’ importante rilevare il posto fatto al vino, perché, al di là della facile analogia con il colore della voglia, abbiamo qui il superamento, da parte della donna incinta e con una motivazione che non dipende da lei, del divieto di toccare il vino. La storia del rapporto della donna col vino sarebbe estremamente interessante; qui posso solo accennare di sfuggita al divieto cui erano sottoposte le donne nell’antica Roma.