LUOGHI DI DONNE

il guerriero stanco

giugno 1982

 

Dopo Zanzibar di roma e l’uovo di torino parliamo con le donne del teatro del guerriero di bologna teatro, cantina, ristorante, bar, da cui prendono vita le varie iniziative delle donne che lo gestiscono, con quali risultati?

 

Dallo Zanzibar di Roma all’Uovo di Torino eccoci, questa volta, al Teatro del Guerriero di Bologna, dove abbiamo incontrato Loredana e Fiorella, due delle socie fondatrici di questo gruppo attualmente formato da cinque donne. Impegnate in attività professionali che le garantiscano almeno un minimo dal punto di vista economico realizzandone, al tempo stesso, le individuali aspirazioni, la gestione di questo luogo fisico, ora teatro, ora cantina, ora ristorante, ora bar, ora night, resta per queste donne il cardine di ogni loro sforzo, il cuore dal quale prendono vita le diverse iniziative, sia singole che collettive. Attraverso le risposte di Loredana e Fiorella è possibile seguire le metamorfosi di questo spazio come proiezione sintomatica di sempre nuove e diverse esigenze, di mutamenti e lacerazioni avvenuti nel corso di questi ultimi anni.

Il circolo culturale Teatro del Guerriero nasce, per la precisione, sei anni fa in un seminterrato (sotto la sagrestia della chiesa della Pioggia fra Rivareno e via Galliera) come sede della compagnia teatrale di sperimentazione che porta lo stesso nome. I locali, in condizioni talmente deteriorate da non interessare nessuno, furono completamente rinnovati nel giro di un anno dalle compagne stesse.

Poi, finalmente, il primo gruppo ospite dal Convento occupato di Roma: flauto, pianoforte, danza. Ciclostilati, fotocopie, qualche telefonata e i sessanta posti dello spazio-teatro erano esauriti: un’atmosfera da post ’77, uno spettacolo ’’diverso” diceva il pubblico. Da quella sera nasce oltre al desiderio di organizzare e programmare anche quello di ’’fare teatro”. Si delinea così sempre più negli anni, l’esigenza di portare avanti produzioni artistiche di donne e di promuovere incontri sui problemi e le tematiche specifiche delle donne. Oggi il Teatro del Guerriero è una compagnia formata da sole donne, la programmazione del circolo è centrata su lavori di autore- donna e, una sera la settimana, l’ingresso è riservato alle sole socie.

 

Attualmente come funziona il vostro circolo ?

Alcune attività sono permanenti, come il laboratorio di danza contemporanea tenuto da Gianna Naldini e quello di musica condotto da Fiorella Petro- nici, altre vengono proposte attraverso un calendario mensile: stages di danza, vocalità, teatro, rassegne di cinema, serate di poesia spettacoli musicali e teatrali, performances. Abbiamo organizzato anche alcune mostre di artigianato e di maschere. Nella conduzione del circolo quest’anno siamo in cinque: Angela, Loredana, Fiorella, Gianna, Piera; i locali restano aperti il venerdì, sabato e domenica, dalle ore 20,00 in poi e, prima e dopo il pro

gramma della serata, c’è la possibilità di bere e mangiare nello spazio rinnovato a settembre. Anche quest’anno una sola sera a settimana è riservata alla donne. Questo non perchè ci sia stata da parte nostra una non-scelta, come molte donne ci hanno imputato, ma perchè il nostro locale ha prevalentemente la fisionomia di teatro- cantina: noi pensiamo che gli atti di comunicazione, per altro, non debbano essere fruiti solo da un publico femminile.

 

Qual’è stato e qual’è l’atteggiamento delle donne di fronte a questa vostra scelta?

Ecco, noi abbiamo sempre considerato la serata del sabato, quella appunto riservata alle sole donne, come il momento più importante del nostro circolo, da privilegiarsi rispetto a tutti gli altri. Ci aspettavamo dalle donne che frequentavano il nostro spazio una precisa richiesta di ’’viverlo” in modi vari e diversificati, senza tuttavia la pretesa di strapparlo alla propria prima identità, che è poi quella che ci appartiene. Al contrario, la maggior parte delle donne, chiedevano solo un posto per ballare, assumendo verso di noi atteggiamenti di rifiuto e di ostilità. L’accusa era di uso di potere nella gestione di questo spazio che non volevamo perdesse la propria connotazione culturale. Le scelte cui ci trovavamo di fronte erano ben altro che le comuni mediazioni tra le nostre finalità e le esigenze emergenti dalle loro richieste.

 

Come spiegate l’urgenza di certi bisogni da parte delle donne?

Il fatto è che nella realtà non esistono luoghi dove le donne possano incontrarsi, parlare, stare insieme nei modi più diversi. Ma questo non può signifi- ciare che tutto ciò che non viene realizzato all’esterno può esserlo nel nostro spazio. Pensa che ci hanno chiesto persino di mettere un tavolo da ping-pong e degli attrezzi ginnici…! È chiaro che in una simile situazione, la nostra scelta di continuare a perseguire fini culturali, viene recepita come una imposizione. Cosicché le donne hanno via via frequentato sempre meno il nostro locale, preferendo le discoteche gay: un progetto politico abbandonato per un progetto psichedelico.

 

Questo vale per le donne lesbiche, ma le altre ?

Mai viste, salvo che nei momenti patrocinati dalle istituzioni e strutturati al di fuori del nostro spazio.

 

Forse perchè in una città come Bologna si teme che l’entrare in un locale per sole donne venga identificato con l’essere lesbica?

Forse non ha più senso continuare. Siamo in crisi e stiamo veramente male. Il nostro malessere è, per di più, aggravato dal fatto che noi stesse ’’produciamo” spettacoli e concerti: una produzione che si colloca già di per sè ai margini dell’ufficialità provocando in noi una doppia lacerazione.

Tutta la vostra attività sembra essere segnata da una sorta di marginalità, un cerchio, confine immaginario delle vostre esperienze.

Infatti, i ’’margini” sono poi quelli delle scelte politico-esistenziali che ci hanno spinte a creare lo stesso circolo culturale.

 

Quali sono i vostri rapporti con le istituzioni?

Diciamo che sono sempre stati tormentati e tormentosi: i tempi burocratici e la vastità del programma culturale che le istituzioni propongono a Bologna poco si accordano con i nostri metodi di lavoro, le nostre esperienze e le nostre porposte.

 

Quindi non avete mai ricevuto sostanziali contributi economici?

Aiuti economici pochissimi, patrocini morali si, tanti. Possiamo almeno dire, però, che non abbiamo mai modificato le nostre proposte, nè abbiamo mai accettato interferenze nei nostri programmi: meglio piuttosto un rifiuto. D’altra parte già il solo patrocinio del Comune ti consente di affiggere trecento manifesti un metro per settanta,, invece delle solite cento locandine attaccate durante la notte negli spazi liberi.

Certamente. Il sabato sera trascorre tra tre o quattro donne che silenziosamente ci accusano della tristezza del locale. Allora fai i conti con te stessa, con la tua operazione politica e, perchè no?, anche con la situazione economica. Il locale aperto significa molte cose, e fra tante anche il riscaldamento, l’illuminazione, la pulizia, i cibi comprati e regolarmente buttati via. Una perdita continua che ti costringe a dire ’’non ne vale la pena”, tanto più quanto ogni momento è scandito dall’assenza delle donne stesse. Vedi, Bologna è una città provinciale e ’’mammona”, e le mamme non hanno mai figlie cattive o diverse, e se le ha, allora le tiene ben nascoste, L’essere lesbica è difficile qui.

 

Probabilmente questo è il motivo principale delle tensioni nate tra voi e alcune donne lesbiche.

Sì, è possibile. Certamente le donne lesbiche hanno trovato nel nostro locale un punto di riferimento, ma, purtroppo, hanno finito per scaricare su di noi non solo tutte le loro esigenze ma anche tutte le tensioni del vivere lesbico in una città come Bologna. Le altre donne, come abbiamo già detto, vivono ancora di più in questa sorta di provincialismo e di quieto benessere.

 

Ma allora che senso ha in questi termini continuare a gestire, anche se per una sola sera a settimana, uno spazio solo per le donne?

L’unico senso possibile è quello della contraddizione.

 

Dunque un bilancio negativo?

Rispetto alle nostre aspettative, si: abbiamo avuto molte delusioni.

 

In che modo pensate di uscire fuori da questa situazione? Ritenete, cioè, che la vostra esperienza si sia esaurita o esiste, secondo voi, un modo diverso di sostenere l’impatto con la realtà a voi circostante?

Recentemente proprio da parte delle “istituzioni” mi sembra che ci sia stato un tentativo concreto di favorire almeno alcune attività delle donne, attraverso il sovvenzionamento di spettacoli, rassegne e convegni.

La situazione è ambigua. C’è una tensione-attenzione nei confronti delle donne che fanno spettacolo, quasi una ’’caccia alla donna” nelle occasioni ormai santificate, come ad esempio 1*8 marzo. Per il resto vige la legge del mercato/consumo/offerta: se in una stagione è di moda la donna che fa ridere, allora troverai solo spettacoli comici, e così via. Naturalmente ci riferiamo sempre a circuiti di ’’seconda categoria”, quelli provinciali e comunali per l’appunto, ben lontani dai grossi ’’giri”, da quelli cioè che hanno realmente peso sia a livello economico che culturale. I circuiti regionali sono ormai appannaggio esclusivo dei teatri stabili e delle grosse cooperative: un universo a parte e tutto maschile.