BIENNALE ARTE

un femminile culturale

“Solo le cose sono sopra di me”

novembre 1980

Con la presenza di oltre una cinquantina di artiste donne, l’edizione internazionale della Biennale Arti Visive 1980 registra la massima partecipazione femminile finora intervenuta ad una Biennale. Austria e Polonia si fanno rappresentare solo da donne. Per l’Austria, Valle Export-azioni, film, videotapes in cui fa del suo corpo il metro delle sue esperienze, esperimenti su se stessa che sono un modo di prendere le misure, misure con cui si saggia l’intercambiabilità del contatto tra l’offensore e la vittima — e Maria Lessing — autoritratti pittorici che subiscono metamorfosi animali e ibridazioni maschile/femminile — proseguono il discorso azionista sul corpo, tradizione austriaca, afferma il critico.

Magdalena Abakanowìcz, polacca, espone, lei sola, per il suo Paese, presentando oggetti solidi di diversa grandezza, ricuciti con tela di sacco, in composizione casuale, grosse funi che si assottigliano facendo prevedere una rottura imminente- (Danzica?), e figure-vuote- a grandezza umana sedute a celebrare un loro rito, volgendo le spalle al visitatore.

Come spiega questa rappresentatività femminile, ed al tempo stesso questa crescita di presenze?

Non si tratta di una scelta galante, né di retorica femminista (SIC). Sono uscite alla ribalta presenze interessanti. Assistiamo ad una rivalutazione dei valori della sensibilità, dell’ immaginazione.

Una specie di femminilizzazione dell’arte. Potremmo parlare, con cautela, di un’arte viscerale, al femminile. Un femminile culturale, quindi, non naturale, va precisato, se non si vuole incorrere in errori di valutazione critica.

Sfera del privato? Ma certo. Ma: è 1′ attenzione a questa sfera, al corpo, o non piuttosto la precarietà dei materiali, 1′ ironica e distruttibile monumentali, l’interdisciplinarietà demitizzante, e in definitiva la sua incommerciabilità a rendere “femminile” questa tendenza?

Anne Qppermann (Amburgo) in “Essere diversi…” espone nella sezione “Arte degli anni settanta” installazioni in tecniche varie, tele, fotografie polaroid, disegni, testi, con disordine privatissimo e invendibile. La minor difficoltà ad entrare nel mercato dell’arte va commisurata con un altro dato: la crisi che questo mercato sta attraversando. E questo rimanda ad altre crisi, ad altre svalutazioni, ad esempio quella della “femminilizzazione” della scuola come campo abbandonato.

Negazioni universali: Hanne Darbo-ven, Amburgo, centinaia di fogli inchiostrati mimando una calligrafia (“Sabbia”). Il discorso femminista resta in più casi sottinteso, intuibile come parte della storia personale delle artiste, in altri manifesto, come nella Export. Certo è che molte opere perdono la carica originale di denuncia “oomportamentalìzzandosi”, il contesto della mostra le formalizza, inevitabilmente, pur valorizzandole. Nessuno scandalo. Si tratta di una partecipazione democratica, e di valore, non di rivoluzione, tutto qui. L’arte E’ per l’arte (pro, non ut).

Avvicinarsi al suo mercato ha il senso delle fotografie esposte nel padiglione “Anni ’80” da Ingeborg Lùscher (Svizzera , il cui titolo è: “Come comincio a vedere il mondo, o: conosco il senso e le parole, solo le cose sono sopra di me”.

Uno sforzo non indifferente che tende a comporre in un linguaggio universale le nostre verità: anche se il rischio è la mediazione e l’ammorbidimento, si tratta di una ricerca che va continuata.