aborto: una analisi della legge

«mentre al Parlamento si discute ancora della legge sull’aborto il Movimento delle donne prende posizione sul progetto approvato dalla Camera. Queste sono tre posizioni a confronto»

marzo 1977

in questi giorni il Senato si appresta a discutere il progetto di legge sull’aborto già approvato alla Camera. Noi riteniamo che la legge non risponda alla dimensione vera del dramma degli aborti clandestini e che non sia in grado di soddisfare le esigenze reali di noi donne. Anzitutto questa è una legge che nega la nostra autodeterminazione: formalmente la concede alla donna maggiorenne e fino al 3° mese (perché sta a lei l’ultima decisione); sostanzialmente frappone mille ostacoli di natura materiale e psicologica, sottopone la donna a colloqui umilianti e a ogni sorta di pressioni, affidando ad un estraneo, il medico, la valutazione del caso. La legge nega esplicitamente che l’aborto sia un problema sociale, ne fa una questione soprattutto morale e medica, e non riconoscendoci il diritto di poter abortire senza dover trovare motivazioni che siano valide secondo una casistica selettiva determinata, nega alla donna la sua dimensione di essere pensante e autonomo capace di decidere della propria vita. In questo senso la settimana di riflessione oltre che espediente ridicolo e ipocrita è anche offensivo ed umiliante per chi, drammaticamente, ha già fatto la sua scelta.
Ma soprattutto questa è una legge che non eliminerà l’aborto clandestino. Non lo eliminerà per le giovanissime sottoposte al di sotto dei 16 anni alla decisione familiare. Non lo eliminerà per chi avrà superato il terzo mese; e saranno in molte vista la possibilità di allungare i tempi di intervento con analisi e ricerche, con le probabili difficoltà di ricovero {visto il caos del nostro sistema sanitario), con la difesa dell’obiezione di coscienza spinta oltre misura (gli istituti e le cliniche retti da religiosi possono avere l’esonero). Del resto già lo vediamo in questi giorni quale sarà la realtà dell’«aborto libero» con il calvario che ha vissuto la ragazza quindicenne di Prato costretta a vagare da un ospedale all’altro — quando già tutto era pronto per l’intervento — per gli scrupoli di coscienza del personale medico. Ovviamente non si può negare il diritto alla obiezione ma va denunciato il fatto che esso potrà facilmente essere usato come strumento limitativo del diritto di aborto.
È una legge questa che ignora completamente la realtà degli aborti bianchi e che tra la lista dei punibili ha dimenticato di inserirci i responsabili degli aborti «spontanei» in fabbrica, sui luoghi di lavoro, frutto di nocività
e fatica, come se le lavoratrici avesse-so meno diritto alla loro maternità. Ma questa brutta legge risponde ad una realtà di fatto, che è quella che ha visto le donne, il nostro movimento, assente dalla battaglia svoltasi in Parlamento. Con questa realtà oggi dobbiamo fare i conti. Questa legge esprime la nostra debolezza, come movimento femminista. Non siamo riuscite a pesare nel dibattito, non ci siamo mobilitate a fondo, non ci siamo battute nelle piazze e con le altre perché si facesse una legge a nostra misura.
Ma esprime anche la debolezza e l’opportunismo parlamentare dell’area di sinistra raccolta in Democrazia Proletaria. Quella che sta per essere approvata è la legge voluta dal PCI frutto della sua mediazione tra le nostre esigenze reali e le pressioni della DC e del mondo cattolico. A questa legge DP non ha contrapposto nessuna alternativa complessiva ed unitaria; si è spaccata all’inizio del dibattito e solo alcuni dei suoi parlamentari hanno presentato il progetto espressione della elaborazione di una parte dei collettivi femministi, che però non ha avuto poi un ruolo reale in sede di discussione. Complessivamente DP è stata incapace di elaborare una linea di attacco unitaria e che avesse come epicentro la difesa intransigente delle esigenze delle donne. Non può che costituire un’alibi la posizione secondo la quale non sarebbe stata possibile una legge più avanzata. Perché il peso che tra le donne avrebbe avuto una battaglia in parlamento dura — anche se perdente (ma questo lo sappiamo perché si tratta di un’istituzione borghese) avrebbe potuto essere notevole e contribuire a rilanciare il nostro movimento. In assenza di un’alternativa complessiva e di classe sull’aborto, passa la vittoria del PCI e la sua campagna mistificante sulla liberalità della legge.
Oggi si tratta di continuare la lotta. Dobbiamo mobilitarci ancora perché questa legge — pur riduttiva e parziale — venga applicata, dobbiamo strappare altre concessioni alle istituzioni: perché i consultori siano nostri e siano anche centri abortivi, perché l’aborto sia veramente libero, gratuito e assistito per tutte, perché lo Stato ci dia una contraccezione gratuita e sicura. Organizziamoci a livello di base per costruire un movimento delle donne forte, unitario e in lotta contro questo sistema di oppressione e di sfruttamento.