1975: anno della donna?
un alibi programmato
Il fatto che un organismo come l’ONU abbia proclamato il 75 l’Anno Internazionale della Donna è il segno della larghezza e della risonanza che ha assunto in tutti i paesi del mondo la problematica dei movimenti femministi, e costituisce una smentita evidente a tutti coloro che continuano ad osservare che il femminismo interessa solo una minoranza delle donne privilegiate per origine nazionale o sociale. Come è ben noto l’ONU è un organismo in cui, per quanto riguarda le questioni di guerra e di pace, prevalgono le grandi potenze; in tutti gli altri campi il voto degli Stati Uniti, della Cina o dell’URSS vale quanto quello del Botswana, del Lesoto o di Abu Dhabi, vale a dire dei cento e più staterelli, a volte semi feudali, che ne costituiscono la maggioranza. Se perfino l’ONU dunque, ha ritenuto di doversi occupare, nel 1975, della questione femminile, affermando addirittura che «la discriminazione esercitata nei confronti della donna è incompatibile con la dignità umana e con il benessere della famiglia e della società», il significato può essere uno solo: che anche nei paesi più arretrati del mondo i governi e i gruppi maschili dominanti avvertono la pressione della protesta femminile, o almeno si rendono conto della scarsa credibilità e forza delle loro rivendicazioni di eguaglianza in tutti i campi fino a quando una enorme parte della loro stessa popolazione viene tenuta in condizioni di semi-servaggio o addirittura non considerata a livello veramente umano. La risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU si propone come obiettivo dell’Anno Internazionale della Donna:
a) promuovere l’eguaglianza tra uomini e donne;
b) assicurare la piena integrazione della donna in tutti gli aspetti degli sforzi tesi allo sviluppo, con particolare riguardo al ruolo che la donna deve assumere nello sviluppo economico, sociale e culturale, con responsabilità a livello nazionale, regionale ed internazionale, particolarmente durante il Secondo Decennio di sviluppo delle Nazioni Unite;
c) riconoscere l’importanza del crescente contributo della donna allo sviluppo delle amichevoli relazioni e della cooperazione tra gli Stati in funzione del rafforzamento della pace mondiale. Battere la grancassa propagandistica dell’ONU non significherà — contrariamente a quanto potrebbero far credere questi tre altisonanti obiettivi — nessun concreto progresso per la parte più svantaggiata della popolazione femminile. Anzi è probabile che la maggioranza dei governi si sia trovata d’accordo nel proclamare il 75 Anno della Donna solo perché la maggior parte di essi era consapevole del fatto che l’ONU è ormai diventata una eccellente cassa di risonanza che serve a procurarsi alibi per i problemi che non si sa, non si può o più spesso non si vuole affrontare. Non a caso non si è trovata all’interno dell’ONU una maggioranza per far passare la dichiarazione che il 75 era l’Anno della Liberazione della Donna. La maggior parte dei governi ha preferito non compromettersi. E c’è da scommettere che più di un paese interpreterà la formula anodina ed equivoca dell’ONU come l’occasione per celebrare il 75 come l’anno della donna vergine e madre, come l’anno della donna schiava e regina. In molti paesi africani — e pensiamo al Kenia, il cui presidente Kenyatta è anche autore di un libro in cui si esalta con orgoglio la cerimonia tradizionale del taglio della clitoride per togliere alla donna la possibilità del piacere sessuale — l’Anno della Donna avrà, temiamo, un significato molto diverso da quello che avrebbe potuto avere la celebrazione dei-Anno per la Liberazione della Donna. Segno della forza e della audienza del movimento femminista internazionale, strumento, come abbiamo detto, di nessuna o quasi utilità pratica, l’AIdD potrà anche essere in qualche caso una occasione da sfruttare. Non va infatti dimenticato che esistono alcuni paesi in cui l’élite dominante compie uno sforzo accentuato di occidentalizzazione, e che proprio per questo motivo è spesso profondamente separata dalle grandi masse del proprio paese, attaccate a visioni della società arcaiche o addirittura primitive. In questi paesi, in passato, iniziative dell’ONU altrettanto anodine e confusionarie come questa hanno finito poi, quasi casualmente, per produrre risultati di qualche utilità. Pensiamo per esempio alla Conferenza sull’ambiente umano organizzata dal-l’ONU a Stoccolma tre anni fa. All’inizio la grande maggioranza dei paesi arretrati vide nelle preoccupazioni per la difesa dell’ambiente niente altro che un trucco degli occidentali per rendere ancora più lento e difficile il loro già lentissimo e difficilissimo sviluppo. Poi, nel giro di un paio d’anni si è scoperto” che la difesa dell’ambiente non doveva significare per forza la lotta alle ciminiere industriali, ma poteva ad esempio significare un piano per il risanamento delle fogne di Calcutta, e che l’apparato dell’ONU per la difesa dell’ambiente poteva essere utilizzato in questo senso.
Analogamente, chissà che lo stesso non possa succedere con l’Anno Internazionale della Donna. Le Agenzie specializzate delle Nazioni Unite potrebbero forse fare qualcosa di più che dedicare un numero speciale delle loro pubblicazioni al problema della donna.
L’UNESCO per esempio, che conduce uno sforzo di organizzazione scolastica nei paesi più poveri, potrebbe forse domani prestare anche attenzione alla proporzione tra uomini e donne nella popolazione scolastica o al contenuto sessista dei libri di testo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, e ancor più il Fondo per l’Assistenza all’Infanzia, potrebbero forse occuparsi di problemi della maternità nei paesi in cui è legale e diffusa la poligamia (che sono circa un quarto dei membri dell’ONU).
Tutti i paesi del terzo mondo che sono i tre quarti dei paesi con i quattro quinti della popolazione mondiale, si pongono come obiettivo primario l’industrializzazione e lo sviluppo. Non sarebbe male se il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo o la Banca Mondiale o tutte le altre decine di organizzazioni che si occupano di sviluppo badassero ad evitare che il ruolo spesso di grande rilievo e dignità che la donna svolge in certe società tradizionali non venga diminuito o addirittura schiacciato, così come è oggi diminuito dal rapido diffondersi della religione islamica in molti paesi dell’Africa.
Tutto ciò è naturalmente solo una possibilità teorica, e il fatto che l’Assemblea dell’ONU abbia dedicato questo anno alla donna non significa affatto che ciò si verificherà. Solo l’impegno e la denuncia del Movimento femminista internazionale potranno tramutare questa blanda iniziativa in un momento di confronto e impedire che il tutto si risolva in celebrazioni ufficiali che mettano a posto la coscienza o forniscano alibi a chi è fermamente ancorato alla decisione di «quaeta non movere et mota quatae».
Caso esemplare il governo Italiano che anche in questa occasione ha pensato bene di organizzare il solito pateracchio.
Basterebbe citare i criteri che hanno portato alla formazione di un comitato in cui accanto all’UDI, ai sindacati e ai partiti sono presenti anche rappresentanti del Soroptimist e dell’ANDE Associazione Nazionale Donne Elettrici), due associazioni che si distinguono per la loro totale mancanza di impegno sociale e che tutt’al più possono organizzare un giro delle ville venete o una mostra di quadri.
Se poi consideriamo le manifestazioni indette finora dalle varie associazioni femminili abbiamo un quadro desolante, Ci sarà, il 25 aprile, una cerimonia commemorativa della donna nella resistenza e per il momento le uniche due indagini che pare siano in corso di svolgimento a cura del comitato sono un’indagine sulla donna nella vita pubblica (sindacati e partiti) e un’altra sulla donna nella pubblica amministrazione. Dopo di che si andrà alla Conferenza internazionale a Città del Messico con un documento improntato alla solita mancanza di chiarezza che contraddistingue tutti gli interventi ufficiali del nostro governo a livello internazionale e si passerà alla seconda fase, che sarebbe poi quella delle proposte concrete da realizzare nel secondo decennio per lo sviluppo economico. Nel frattempo la riforma del diritto di famiglia incontra nuovi ostacoli al Senato, dopo che finalmente la commissione giustizia dopo due anni di ripensamenti l’aveva approvata. Alcuni senatori democristiani hanno parlato di «eccessiva fretta» mentre i liberali hanno già detto che il testo è stato modificato in commissione e che quindi non si sentono più legati all’impegno di votare a favore. Il governo Italiano spera comunque che venga approvato in tempo per poter portare trionfalmente la nuova legge a Città del Messico per dimostrare con quanta solerzia, ultimo dei governi occidentali, ha adempiuto alle direttive della dichiarazione sull’eliminazione della discriminazione nei confronti deh la donna, approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel lontano 1967.