UN ANTIFEMMINISTA AL MESE

amintore fanfani

marzo 1974

Buon padre (come generatore, instancabile): buon marito (con la vocazione a ripetersi, nel ruolo, se si badi alle voci dei suoi «fidanzamenti»): ottimo figlio: non dimentica mai di nominare la madre, calabrese, nei suoi viaggi elettorali nel sud, ed ha anzi potuto utilizzarla fino al punto di farsi aggiudicare il premio il Villa San Giovanni, assegnabile, per statuto, a calabresi nativi o oriundi. Inoltre: quando la prima figlia, Maria, voleva sposarsi senza ancora essere laureata, le consigliò, padre di vedute moderne, di premettere la laurea alle nozze: affettuosissimo, nondimeno, con la figliolanza carnale e acquisita, tanto che il matrimonio di una altra delle ragazze Fanfani portò alla sistemazione, nell’organico radiotelevisivo, del cognato della sposa. L’atteggiamento dunque di Fanfani, uomo privato, verso le donne che gli sono parenti, non si distacca dai moduli consueti dell’italiano medio, per di più di estrazione paesana e chiesastica: soggezione ad una madre all’antica (dieci figli, poveretta, e guai a chi si permetteva di rifiutare la minestra): scelta oculata di una moglie non sprovvista di beni patrimoniali, con la vernice di studio che poteva servire alle ambizione del marito, limitate allora alla carriera universitaria: laurea comunque destinata alla cornice nel salotto buono, tanto più in quanto una donna, laureata, moglie, si lascia colmare e gratificare dal ruolo permanente di madre: sette figli in casa Fanfani, e non è da escludere che essendo le prime tre femmine il pater familias non esigesse almeno un maschio, meglio due, da cui il totale di sette. Nessun giornalista ha mai pensato di interpellare Amitore Fanfani sul suo pensiero in tema di controllo delle nascite: capacissimo, magari, di dirsi favorevole, purché si tratti di contraccettivi «ispirati al patrimonio ideale della dicci».

Che poi la moglie di un marito che andava sempre più facendosi leader, approfittasse di tutte le occasioni di rivalsa piccolo borghese trionfante che le si offrivano, come stupirsene? Da qui le gaffes della povera Bianca Rosa, dall’abito da cacciatore per un invito snob in brughiera, al pasticcio dell’incontro, patrocinato da lei, tra la giornalista de II Borghese, Gianna Predassi e 1′ ignaro Giorgio La Pira: l’incontro obbligò Fanfani a dimettersi (tra l’altro scaricando sulla moglie anche errori suoi propri), ma sono questi i rischi dell’opportunistica ideologia maschile della donna musa e ispiratrice: finisce che qualcuna ci crede… Fin qui l’atteggiamento fanfaniano verso le parenti. E le altre? Citiamo il biografo: «…resisteva alle tentazioni. Era un ragazzo serio. Per resistere meglio organizzava lunghe marce di venti o trenta chilometri sotto il sole, al convento della Verna o al santuario di Stigliano, e vi trascinava i compagni con una specie di furia purificatrice. Voleva distruggere nella fatica fisica ogni desiderio di peccato: e proteggeva la virtù degli amici, o perché si preoccupava della loro salvezza, o perché non avrebbe resistito alla invidia se gli altri avessero peccato».

(Piero Ottone: «AmintoreFanfani», ed. Longanesi).

In sostanza, nulla di diverso, nell’uomo privato, dal tradizionale bigottismo cattolico romano. Ma è quando sul privato si innesta il pubblico, cioè sul bigottismo si innesta il potere — e nasce la DC — è allora che la libertà di tutti viene pesantemente minacciata. E figurarsi la già così difficile, scarsa, anchi-losata libertà delle donne. Nelle mani di Amintore Fanfani, la carta del referendum pro o contro il divorzio, è una pura e semplice carta di potere. Come già erano state per lui, ai suoi begli anni, carte di potere l’adesione al corporativismo, al fascismo, alla difesa dei valori della razza, sostituita quindi dalla difesa dei ed. valori della DC.

E’ la ragione per cui il no all’abrogazione del divorzio diventa anche un no a Fanfani, un no, si vuole dire, al potere bigotto, un gesto, semmai se ne dubitasse, essenzialmene femminista. …di referendum in referendum…

Intanto, sfidando impavidamente il ridicolo, come è nelle sue abitudini, Amintore Fanfani gestisce le sue public relations nel modo che segue: «Amintore Fanfani — si legge sulla mondadoriana Grazia — che oggi è tra i personaggi coinvolti nelle polemiche sulla consultazione Per il divorzio, ha vinto intanto il referendum della simpatia tra le lettrici di Grazia. Siete finalmente convinte che sono simpatico? Così sembra dire il senatore Fanfani, segretario nazionale della Democrazia Cristiana, mentre posa davanti al nostro obiettivo tenendo in mano la botticella di vino dolce che le lettrici di Grazia gli hanno assegnato quale personaggio simpatico dell’anno. Il premio gli è stato consegnato dall’editore Giorgio Mondadori e dal direttore di Grazia, Pier Boselli (con lui nella foto da sinistra a destra) presso la sede nazionale della DC a Roma. Fanfani ha voluto ricambiare l’omaggio con la riproduzione a colori di un bellissimo disegno che egli ha dedicato alla moglie scomparsa». La lunga, lubrica dicitura si accompagna alla foto di tre maschi imbolsiti incravattati sogghignanti, tre riproduzioni in serie dell’italiano medio investito, a diversi livelli, di potere: e dall’uno all’altro dei tre si perfeziona la strumentalizzazione della donna: l’editore che, stampando rosa, mercifica il bisogno di evasione della donna inchiodata al proprio ruolo, il direttore del giornale che ‘ pensa ‘ (si fa per dire) abiti da sera sulle rovine di Hanoi, infine lui, il leader dicci, che per quel poco o molto che si interessa di donne, trova il modo, goffo e grottesco quanto si voglia di. usarle: le lettrici di Grazia (ma avranno poi votato davvero?), la moglie.

E’ perciò, crediamo, che il rifiuto di essere ancora una volta ‘ usate ‘ passa anche per il referendum: impariamo a dire no, come donne, come persone.