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maschio per obbligo?

marzo 1974

Questa non vuole essere una recensione: per me, recensire un libro significa riscriverlo. Per «Maschio per obbligo» di Carla Ravaioli, poi una recensione non avrebbe alcun senso poiché questo libro porta avanti un discorso-inchiesta a cui si può solo contrapporre una posizione politica femminista. E veniamo al dunque. La struttura gerarchizzata dei rapporti sociali che caratterizzano questa società è ovviamente determinante per il comportamento dei suoi membri ed è la gerarchia delle strutture che concrea la gerarchia dei valori e cioè dei comportamenti sociali. Ma proprio attraverso la gerarchia dei valori è possibile rintracciare la gerarchia dei bisogni degli individui che svolgono un ruolo specifico e che hanno uno status altrettanto specifico nella società. Questo significa che oggi il capitalismo nella più alta espansione delle sue forze produttive «praticamente» non solo ha prodotto una concezione teorica quale quella del «socialismo», ma ha anche evidenziato nella sua gerarchia di bisogni quello di una cultura alternativa, che investe sì lo stesso maschio, ma viene soprattutto e in certa misura esclusivamente ricercata e indicata nei suoi contenuti più concreti dal nuovo femminismo. E uno dei contenuti più rivoluzionari, il solo che può costruire la base per una cultura alternativa è quello che, con la lotta, propone la distruzione del rapporto politico di potere dell’uomo sulla donna. Oggi nessun uomo e maschio per obbligo, ma per privilegio. Non possiamo certo metterci qui ad analizzare come questo sia avvenuto nel corso di secoli, come cioè un «potere di ‘unzioni» che ogni individuo maschio e femmina ha in tutte le società, in molte di queste si sia gradualmente trasformate in «potere di sfruttamento». Ma la realtà di oggi o in modo particolare della società capitalistica occidentale è questa: al maschio è concesso un potere di sfruttamento dell’uomo sull’uomo nella dinamica delle classi, e di oppressione (comprensiva di sfruttamento) sulla donna in una dinamica solo di sesso. Cosicché la nostra è oggi una società omosessuale dove il rapporto sociale è tra maschio e maschio ed esclude od emargina la donna. Di qui è facile rintracciare quella gerarchia di valori e cioè di comportamenti sociali che condizionano sia la donna che l’uomo e cioè quella concezione della realtà che gli individui assumono in quanto membri di una società storicamente determinatasi e determinantesi e che noi chiamiamo cultura. Ma di questa cultura noi donne non siamo il soggetto, ma una «nozione», il valore «donna» assunto dalla concezione maschile della realtà, siamo cioè un prodotto culturale della coscienza maschile. E questa nozione o valore «donna» in funzione del maschio, con il travestimento dell’ideologia della maternità, ha la sua «base materiale di sfruttamento» nella famiglia. E’ nella famiglia infatti in quanto struttura sociale di potere che si instaura la prima divisione in classi e cioè la divisione primaria in classi sessuali. E questa divisione in classi sessuali è così profonda, così radicata, così interiorizzata che la cultura occidentale ha ormai un nome solo: sessismo. Che non si parli quindi del mito della virilità, poiché nella cultura occidentale la virilità non è un mito ma significa potere, potere che la classe dominante concede di esercitare sulla donna e sui figli anche al proletario. Anzi gli impone di esercitarlo per la conservazione della struttura gerarchizzata dei rapporti sociali che caratterizzano appunto questa società. Per questo l’atto sessuale oggi è una convenzione e non è più una relazione umana e l’eros si è trasformato in ethos e cioè in una morale o meglio nella consuetudine maschile ad un esercizio del potere per la mercificazione e la reificazione sessuale della donna. Questa psicologia distorta del potere in cui il maschio giorno per giorno si esercita in una palestra (sociale) dove gli attrezzi sessuali siamo noi donne, pesa certo anche su di lui, ma siamo noi oggi a volerla sradicare e distruggere. E non con l’omicidio. Ma se si parla tanto di «suicidio di classe», beh allora quello che noi all’uomo possiamo chiedergli è il suicidio del suo ruolo sessuale di potere. Tutto sta a vedere se poi è così disposto a suicidarsi. Questo per rispondere a Carla Ravaioli che ci invita al dialogo con l’uomo. Ma ecco come un certo signor Elia (che la Ravaioli cita nella parte antologica) ci spiega, con estrema gentilezza, come in genere avviene questo dialogo all’insegna del rispetto che il marito deve alla moglie, per salvare il «Matrimonio in crisi» (titolo del libro del signor Elia). Il signor Elia dunque così si esprime: dare prima di tutto alla moglie «la sensazione che è lei il centro delle nostre [e cioè del signor Elia e dei suoi simili] aspirazioni erotiche, anche se ciò non è più vero; le discussioni con una risata al momento giusto, o un motto di spirito, ma fingendo di prenderla sul serio perché sotto la sua frivolezza apparente, la donna nasconde seri problemi, ossia problemi che le sembrano seri; fingere di assecondarla, passar sopra alle sue civetterie, e farle molti complimenti, sia nell’intimità che in pubblico, ricordando che il mezzo di correzione più efficace di una donna è il complimento», Una testimonianza del genere (maschile) è addirittura agghiacciante. Ora purtroppo anche quel poco che sono riuscita a dire, prendendo lo spunto dal discorso-inchiesta della Ravaioli, manca del tutto in «Maschio per obbligo», manca cioè quel «politico» che dovrebbe almeno liberarci dal pietismo per l’uomo, il quale se è «maschio per obbligo» non è certo perché a questo obbligo siamo noi ad obbligarlo. Tanti anni fa Simone de Beauvoir diceva della donna : «Le costrizioni di cui è circondata e tutta la tradizione che pesa su di lei, le impediscono di sentirsi responsabile dell’universo: ecco la profonda ragione della sua mediocrità». Oggi noi femministe ci siamo accorte che questo possiamo volgerlo al maschile e dirlo dell’uomo, poiché «il politico» che abbiamo scoperto con la nostra coscienza di donna è che siamo responsabili non solo di noi stesse ma dell’universo intero.