inghilterra

please, urla sottovoce

aprile 1975

Nel 1971 un piccolo gruppo di donne si raduna a Chiswick (un sobborgo di Londra) per organizzare una dimostrazione contro l’aumento dei prezzi. Durante la dimostrazione molte donne, parlando insieme, scoprono che tutte si lamentano della stessa cosa: l’isolamento. Ms. Erin Pizzey, insieme con altre donne del quartiere, decide di metter su una casa che serva come rifugio per le donne del quartiere: il centro «battered wives» (mogli picchiate). Rifugio inteso in senso momentaneo; un posto dove ogni donna possa andare a prendere una tazza di tè portandosi dietro i bambini, sicura di trovare qualcuno che si prenda cura dei figli e un’altra donna con cui chiacchierare. Una piccola casa composta di due stanze, una cucina, una grande stanza-area di gioco per i bambini, e un gabinetto all’aperto.

In brevissimo tempo il centro si trova ad avere una fisionomia molto diversa da quella prevista: le donne che lo frequentano, non vengono più per prendere una tazza di tè e fare quattro chiacchiere, vengono per trovare un posto dove possono parlare dei loro problemi ed essere capite, dove possono chiedere anche un aiuto pratico per la loro soluzione. Il problema tipico, il più grave, il più diffuso è sempre lo stesso: la maggior parte di queste donne viene picchiata dal marito. Cosa vuol dire picchiata dal marito? Ci vengono in mente barzellette stantie, scene sadomasochiste ma sul ridicolo, ma più di tutto la solita reazione: quante storie per due schiaffi! Ebbene no. Dalle testimonianze, raccolte durante il lavoro di tre anni, di centinaia di donne, la realtà che emerge è molto diversa. Queste donne finiscono all’ospedale, non una, ma due, cinque, dieci volte. Muoiono. Si suicidano. Muoiono a volte, o restano comunque irrimediabilmente traumatizzati i figli. Ma perché — viene subito in mente — perché queste donne accettano? Perché non si ribellano, o più semplicemente non se ne vanno di casa con i figli lasciando solo il marito?

Il motivo c’è. Non se ne vanno perché non se ne possono andare: non hanno nessun altro posto dove andare. C’è qualcosa di importante da sottolineare: mogli picchiate se ne trovano in tutte le classi. Picchia la moglie l’operaio disoccupato ma la picchia anche il magistrato. Però. Però, la moglie del magistrato è generalmente ricca. Al limite se ne può andare di casa, affittarsi un altro appartamento, andarci a vivere e di là iniziare una causa per separazione legale (e poi divorzio) pagando un buon avvocato che le farà avere la custodia dei figli anche perché non avrà bisogno di andare a lavorare e si potrà occupare di loro. Eccetera.

Ma il destino della moglie dell’operaio è diverso. Non ha studiato, non è informata. Non sa cosa sono gli anticoncezionali. E anche se lo sa, è facile che il marito non glieli lasci usare. Quindi ha tanti figli.

Chiaramente, avendo tanti figli, non può andare a lavorare. Anche perché si sa, di lavoro non ce n’è tanto in giro, e si preferisce darlo agli uomini. Così, in conclusione, la moglie dell’operaio ha tanti figli e non ha una lira. E non ha nemmeno la possibilità di trovare un lavoro che le permetta di mantenere decentemente se stessa e i figli, perché non ha titoli di studio e poi in fondo è una donna e si sa alle donne vengono dati salari più bassi perché non devono mantenere la famiglia. Per liberarsi dal marito che la picchia e ottenere i figli deve riuscire a separarsi, farsi dare la custodia dei figli, e chiedere il mantenimento al marito. Ma anche ammettendo questo come di non difficile attuazione, ricordiamo che spesso la causa (anche perché la moglie non ha il denaro per andare altrove) si svolge mentre marito e moglie sono ancora conviventi. E cosa pensate che succeda alle mogli picchiate se iniziano una causa di separazione mentre vivono ancora in casa con il marito? E’ semplice: vengono picchiate il doppio! Non basta: in Inghilterra gli operatori sociali sono sempre dalla parte del marito.

Ecco alcune testimonianze:

«Mio marito mi ha picchiata sempre. Ha cominciato diciannove anni fa, quando io ero incinta del primo bambino e lui usciva con un’altra donna… L’ultima volta che mi ha picchiata mi ha presa per le spalle e mi ha sbattuta contro il muro finché sono svenuta, poi mi ha messo con la testa sotto l’acqua fredda per farmi rinvenire, e ha ricominciato a sbattermi la testa contro il muro».

«… Brenda era stata picchiata dal marito ed era ricoperta di lividi. Aveva gli occhi neri. La figlia, che aveva quattro anni, aveva un enorme livido sulla guancia. Li portammo in ospedale. Il dottore notò i lividi della madre e della figlia e scrisse sulla cartella medica della bambina” La madre dice che la figlia è stata picchiata dal padre”».

«… Mio marito non mi ha mai picchiata prima del quarto compleanno del nostro bambino… (in quell’occasione) mi diede un pugno dietro l’orecchio destro e afferrò il coltello del pane e minacciò di tagliarmi la gola… io afferrai il cappotto e me ne andai. Andai a dormire in un convento… Stetti via per tre settimane durante le quali mio marito venne a trovarmi spesso giurandomi che non l’avrebbe fatto più e che per favore tornassi a casa… Passarono sette mesi prima che mi picchiasse di nuovo… La seconda volta mi colpì sulla bocca. Il mio labbro superiore si ruppe… andammo a letto e poiché io mi rifiutai di avere un rapporto sessuale quella sera, mio marito mi diede un pugno in testa, causandomi un’abbondante emorragia dal naso e cercò di soffocarmi col cuscino… Tre giorni dopo tornai dal-l’aver fatto la spesa e trovai tutti i miei vestiti rotti o. strappati, e le mie scarpe rotte… Dopo quest’episodio mi ha picchiata regolarmente ogni quattro mesi, sempre dopo aver bevuto.»

«Una donna ci telefonava solo quando suo marito era fuori casa, e piangeva e sospirava. Era paralitica. Suo marito, giocatore di professione e alcoolizzato, metteva i freni alle rotelle della sua sedia quando usciva. A volte stava fuori per alcuni giorni e la lasciava sul pavimento. Non ebbe mai il coraggio di dirci il suo indirizzo né il suo numero di telefono.» «lo sono sempre sola, la mia unica compagnia è il mio bambino di un anno. Mio marito ha un pessimo carattere e le mie braccia sono state spesso blu per i lividi. Due settimane fa tentò di strangolarmi e si fermò solo quando svenni. Per parecchi giorni non sono riuscita a inghiottire.»

«… Poco dopo Natale mi diede un colpo così forte sulla testa che mi dovettero dare quattro punti… Un mese fa gettò acqua bollente su di me, lasciando una cicatrice sul mio braccio destro… quando cercai di andare dal dottore per farmi curare mi colpì finché non potei più muovermi… Due settimane fa mi diede un pugno in faccia e il mio labbro si spaccò e tutta la parte destra del mio viso era così mal ridotta che non ebbi il coraggio di uscire per una settimana. Uno dei miei denti è caduto e l’osso della guancia è rotto.» Tralasciamo di riportare altre testimonianze: sono tutte sullo stesso stile, la descrizione dei maltrattamenti subiti ricorda le descrizioni delle torture subite in carcere dai prigionieri politici. Ma vengono raccontate con rassegnazione. E’ normale. E’ così ed è sempre stato così. E, soprattutto, la società non vuol dare troppa pubblicità a questo genere di problemi, facendo ricadere la colpa sulle spalle della donna vittima, rifiutando di difenderla — molto spesso di crederle. Per cui le vittime smettono di lamentarsi o di ribellarsi. Queste le impressioni che abbiamo avuto da una visita al centro per donne picchiate di Londra e dalla lettura di un libro sulla vita del centro scritto da Ms. Pizzey, «Scream Quietly or the Neighbours will Hear» (Urlate piano se no i vicini sentono):

1) il fenomeno delle mogli picchiate è notevolmente diffuso in Inghilterra e in altri paesi (il gruppo inglese ha ispirato la nascita di gruppi negli USA, in Olanda, Canada, Australla, Nuova Zelanda);

2) però non se ne parla. Non se ne parla perché ogni donna si vergogna di dire: io sono l’unica alla quale è successa questa disgrazia. Ed evitando ognuna di dire io sono l’unica, non si arriva mai a scoprire che di mogli picchiate ce ne sono tante;

3) la maggior parte di queste donne non ha la possibilità economica e pratica di uscire dalla situazione in cui si trova; 

4) e nemmeno ha la forza psicologica di farlo, perché… la cultura predominante esalta il matrimonio, la santità della famiglia etc, e poche donne se la sentono di affrontare la vita, emarginate socialmente, come madri nubili. Le soluzioni alternative ‘ ancora non esistono;

5) la violenza si riproduce, il figlio del picchiatore tende a diventare un picchiatore. La figlia tende a diventare una vittima delle botte.

A questo punto ci si può domandare perché, e che fare.

Un giornale femminile Italiano aveva pubblicato lo scorso dicembre un articolo sulla violenza maschile nei confronti delle donne e particolarmente nei confronti delle mogli. L’autrice dell’articolo aveva anche intervistato uno psicologo circa le ragioni di questa aggressività, secondo lei oggi in aumento. Lo psicologo aveva risposto che «l’uomo picchia la donna quando essa comincia a ribellarsi» o «per riaffermarne la proprietà» e che la recrudescenza delle botte «è una testimonianza dell’assoluto smarrimento degli uomini di fronte all’emancipazione femminile». Perché l’uomo ha tanto bisogno di avere questo schiavo in casa? Perché l’uomo si sente frustrato e deve sfogarsi in casa? Questo è un problema che non è sfiorato e che è molto più importante.

E’ facile dire «gli uomini oggi picchiano di più. Questo però resta da dimostrare; non esistono dati che ci dicano quanto picchiassero prima che le donne fossero meno sottomesse.» Il che, in fondo, significa «siete voi che ve lo volete. Siate più carine e meno indipendenti e non vi picchieranno più.» Ma perché gli uomini vogliono il possesso di una donna sottomessa per essere felici? Perché per sentirsi «uomini» hanno bisogno di menar le mani? o di essere obbediti? Per quanto riguarda la seconda domanda, Ms Pizzey propone riforme dei servizi sociali, degli ospedali, della legge. Ma anche le riforme appaiono soltanto rattoppi. Il problema delle mogli picchiate non può arrivare che a due conclusioni. Uno: la famiglia così com’è strutturata oggi, è un assurdo. E’ assurdo che esista una persona, il pater familias, che ha il diritto di disporre della vita fisica e psicologica della sua «famiglia «'(cioè dei suoi schiavi, moglie e figli).

Due: esiste una precisa e specifica oppressione della donna, ed è un fatto, e non una teoria, che le donne, che non vogliono più vivere soggette al marito, che vogliono vivere una vita indipendente, non possono farlo, perché tutta la società è contro di loro e dalla parte del marito.