aborto

tre giorni a londra

marzo 1975

Sono tornata da Londra poco fa. Mi sono decisa a scrivere questa testimonianza in seguito al racconto della compagna di Roma apparso sul numero di novembre di Effe, ampiamente commentato e ripreso da altri articoli su questo tema sempre più scottante. Questa mia cronaca dei tre giorni trascorsi a Londra non vuole certo camuffare una realtà che è sempre comunque traumatizzante, ma soltanto cercare di spiegare i metodi e il tipo di organizzazione esistenti in paesi dove, come in Inghilterra, l’aborto è già da tempo legalizzato.

Ci eravamo incontrate tre giorni prima della partenza — dieci donne — tutte di età e condizioni diversissime, tutte altrettanto convinte della necessità di abortire fuori dall’Italia, fuori dall’odiosa clandestinità. Durante questo incontro ci era stato spiegato a fondo tutto quanto concerneva la partenza ,il tipo di intervento (mediante aspirazione, con il metodo Karman) e la spesa: circa 180.000 compreso il viaggio charter andata e ritorno; e infine ci erano state fornite indicazioni pratiche su quei tre giorni e l’indirizzo della clinica che si avrebbe ospitato. La partenza è avvenuta in una alba livida: riconosciamo appena i nostri volti reduci da una notte insonne, pallidi e tirati. Ormai ci siamo, cadono le ultime incertezze, l’importante è di esserci tutte e arrivare al più presto fino in fondo. In aereo i primi timidi approcci, difficili data la stanchezza, la tensione: per molte di noi è il primo volo, aleggia una certa preoccupazione. All’arrivo ci precipitiamo in clinica dove ci accoglie una simpaticissima interprete Italiana. Riempiamo un formulario completo sul nostro stato di salute presente e passato, poi veniamo accompagnate ad un’accurata visita medica (che comprende il prelievo del sangue e delle urine) ed infine alla visita ginecologica.

La mattina dopo alle 8, puntualissimo, ci viene a prendere il pulmino della clinica. Veniamo accompagnate in camere singole e lì ci fanno indossare un camicione idi carta, cuffia e pantofole. Ci viene praticata l’iniezione di pre-anestesia per rilassarci prima dell’anestesia vera e propria. Dopo, un’attesa lunghissima. Si sentono ogni tanto squillare dei campanelli (?). Con un certo sollievo scopro che vicino a me c’è proprio Anna e riusciamo a scambiare qualche parola: siamo tutte e due le «anziane» del gruppo, e col fatto che siamo le uniche a conoscere l’Inglese siamo state un pò le responsabili. Squilla un ennesimo campanello: è fatta! Ecco che mi portano via, un ago nel braccio, poi sono già seduta su di una sedia a rotelle in un ascensore che sale, sale. Poi nel mio letto, le serrande abbassate, sonnecchio, penso, mi -meraviglio di non sentire alcun male. E le altre? Chissà… Ogni mezza ora entra un’infermiera a controllare le eventuali perdite e segna qualcosa sulla cartella clinica. Ecco di nuovo 1 crampi della grande fame, ma questa volta arriva un vassoio carico di toasts, biscotti, burro, panini, marmellata e l’immancabile tè. Poi, il permesso di alzarmi. Sono passate circa due ore dall’intervento. Barcollo appena. Non perdo sangue e mi sento piuttosto bene. Man mano che passa il tempo ci scambiamo le prime visite, i primi racconti, molte telefonano a casa. Stiamo tutte bene. La mattina dopo, molto presto, ci svegliano per un controllo medico e visto che nessuna presenta particolari problemi veniamo gentilmente invitate a… lasciare la clinica. Già si preparano nuovi interventi. Son appena le 8 di Domenica, non fa freddo anche se c’è un pò di nebbia e le strade sono deserte. Ci hanno raccomandato di non affaticarci troppo quel primo giorno, ma abbiamo fino alla sera per aspettare il nostro aereo e una voglia matta di andare in giro, magari senza meta, e di ridere. A questo punto vorrei sottolineare due cose. La prima, quella che può essere definito l’elemento «negativo» e cioè quell’idea —che abbiamo riportato tutte — di «catena di ‘montaggio». E’ vero e nessuno in Inghilterra tenta di nasconderlo: le cliniche specializzate sono delle vere e proprie catene di montaggio con tutte le conseguenze che ne derivano: frettolosità, una certa bruschezza nei rapporti sia con i medici che con il. personale, assoluta anonimità (nessuno ti chiede nulla, nessuno vuole sapere perché sei lì) una evidente mancanza di tempo per rispondere alle singole domande di ciascuna. Ma cerchiamo di vedere anche il rovescio della medaglia: tutto questo significa una sola cosa, essenziale: organizzazione; che poi significa anche igiene, sicurezza, medici e personale specializzato, attrezzatura efficiente. La seconda considerazione concerne questo tipo di viaggi, tra donne che hanno Io stesso problema e che per tre giorni dividono ogni attimo di una esperienza che viene così collettivizzata e quindi sdrammatizzata. Il legame che si crea spontaneamente in quei tre giorni è intensissimo e a vari livelli è vissuto inevitabilmente da tutte quante. Molte al ritorno si rivedranno e andranno come noi a raccontare la loro esperienza ad altre che ancora non sono convinte e che brancolano tra chissà quali altre soluzioni — tutte sicuramente più care e più rischiose. Molte infine, che prima non ne avevano coscienza, o che forse erano soltanto diffidenti, inizieranno così, con quella prima scintilla di solidarietà, quella presa di coscienza che prelude a ogni vera maturazione verso il femminismo.

Che ne sarà del gruppo delle SO donne, solo per citare quelle già prenotate per Firenze dal CISA, senza tutte le altre che immagino in attesa di prenotazione?

Io ero fra queste 50 e dovevo essere operata dal dott. Conciani due giorni dopo il suo arresto. Ho trovato, non senza fatica, chi mi ha prestato i soldi per riparare all’estero dove ho abortito con tutte le garanzie igienico-sanitarie e per aspirazione col metodo Karman (esattamente come a Firenze ma con una spesa 5 volte superiore, poiché io ero prenotata per la modestissima cifra di L. 50.000). Non tutte, anzi poche, saranno fortunate come me d’aver avuto a disposizione 4 giorni e 250.000 lire per poter interrompere una maternità non voluta, e delle altre che ne sarà? Perché sia ben chiaro che quando una donna non può o non vuole avere un figlio, qualunque ne sia la ragione, non lo avrà a costo di mutilarsi per sempre. Io, in un’altra esperienza, ho vissuto l’angoscia di vedere i giorni passare e non riuscire a trovare una soluzione, di sentire qualcosa crescere dentro come una condanna, una violenza, e non saper più dove sbattere ila testa per liberarmi.

Io ho provato le mani inesperte di una praticona che mi ha inserito un liquido corrosivo e raschiato senza anestesia, competenza o igiene. Ho rischiato di morire ed ho pagato le conseguenze per quattro anni. A nessuna auguro il male ed il trauma da me provato allora, ma quante di quelle povere donne del CISA di cui qualcuna che conosco all’ottava gravidanza, con il figlio più piccolo di venti mesi, senza mezzi e molto spesso con molta ignoranza, riuscirà a sottrarsi alle mani incompetenti -di delinquenti speculatori? Certamente ci sarà chi risolve tutto con giudizi morali, qualcuno dirà anche che chi sbaglia deve pagare( come se noi donne non avessimo il -diritto alla nostra sessualità), e ci sarà anche chi dirà che ora esistono gli anticoncezionali. A parte il fatto che è proprio chi condanna l’aborto che molto spesso non ha nessuna convenienza a propagandare gli antifecondativi per propri profitti personali, con me, e con molte altre donne che conosco, hanno fallito.

L’aborto esiste da sempre, con la sola differenza, che chi ha i mezzi lo può fare anche in Italia in clinica, con tutte le garanzie, magari, nelle cliniche gestite dagli stessi del partito dell’ONOREVOLE PISANO’ (che ora avremmo raddoppiato i prezzi!). Chi invece non ha possibilità, e guarda caso quasi tutte le donne che si rivolgevano al CISA, abortiranno ugualmente, senza nessuna garanzia, o magari lasciandoci la pelle.

P.S. Data la vigente legge fascista non posso firmarmi come sarebbe mio desiderio, qualcuno potrebbe farmi del male. Mi auguro che presto siano aperte delle sottoscrizioni di autodenuncia e che tutte le donne che hanno abortito abbiano il coraggio e la Coscienza di uscire allo scoperto, per sé stesse e per solidarietà verso le altre che dell’aborto avranno bisogno come estremo rimedio e minore dei mali. Io allora sarò fra le prime a firmarmi per esteso.
Anna, una delle tante