Giustizia

del processo per stupro

“Un avvocato di sinistra, così come non difenderebbe mai un fascista, non può difendere uno stupratore”.

luglio 1979

ma qualcuno deve pur difenderli, altrimenti sarebbe violato il diritto costituzionale alla difesa!”. “Sì, ma non in quel modo, non offendendo la vittima, la donna violentata, usandole violenza un’altra volta!”. “E come allora?”. “Comunque non come gli avvocati di Latina”. “Certo, ma a, parte lo stile che è personalissimo, esiste una linea difensiva che non passi attraverso il discredito (letteralmente: togliere credito e credibilità) della donna, parte lesa e generalmente unica testimone del fatto?”. Terminata la proiezione del film “Un processo per stupro” si accendono le discussioni. Altre discussioni e dibattiti anche sui giornali ci furono durante il processo Miccadei — il padre incestuoso e stupratore — poiché, e giustamente, molti trovarono scandaloso che uno dei difensori fosse un celebre avvocato di sinistra, il quale peraltro alla stampa dichiarò: “Non avrei mai difeso dei fascisti, ma un processo per stupro non è un processo politico”. Infatti è prassi costante (salvo clamorose eccezioni) per un avvocato di sinistra quella di rifiutare di difendere fascisti, mafiosi, speculatori, etc, e nessuno sostiene per questo che sia violato il diritto alla difesa, che del resto non significa affatto obbligo ma significa diritto per l’imputato a un processo regolare.

Ma il fatto è che ancora molti e molte non individuano in un processo per stupro quello che invece lo hanno reso le lotte delle donne e cioè un processo politico. La politicizzazione del processo di stupro, la “sprivatizzazione” cioè di questo infame congiungimento carnale contro la volontà della donna che degrada la vittima agli occhi della società (dopo la II guerra mondiali i mariti ebrei chiesero ai rabbini se era lecito riprendersi’ la moglie stuprata dai nazisti!) si radica nella presa di coscienza delle donne e nella lucida volontà di condurre una rivoluzione culturale tendente a sconfiggere per sempre certi schemi che per pigrizia, ignoranza, e anche per motivazioni inconscie meno confessatoli la società tende a perpetuare. La politicizzazione mira alla eliminazione definitiva di una immagine dalla donna inventata dall’uomo, ed è indirizzata alla messa sotto accusa del comportamento degli organi giudicanti (carabinieri, polizia, Pubblico Ministero, Giudice Istruttore, Presidente del Tribunale), espressione di una “oppressione” preesistente al giudizio. Infatti la sanzione prevista per questo reato è severa, ma trova nell’applicazione un atteggiamento da parte dei giudici che tende a ripetere la sopraffazione e la violenza: interrogatori sadici a porte chiuse nei confronti della donna e d’ altra parte una benevolenza ed una comprensione da parte dei magistrati nei confronti del seduttore che porta a condanne miti per una sorta di inconscia solidarietà che riflette pregiudizi di cui sono portatori generalmente tutti i maschi e dovuti ad una cultura sessuofobica.

Questi pregiudizi vanno da “una presunzione di non credibilità” nei confronti della donna (c’è tutta una letteratura aulica e popolare sulla donna bugiarda e mentitrice), alla convinzione che la donna accusi per vendetta (perché abbandonata dal fidanzato a cui si era data consenziente) o per interesse (scopo matrimoniale e anche qui tutta una letteratura sulle donne che “accalappiano l’uomo”), è infine la turbata necessità di convincersi che se congiungimento ci fu, certo non fu violento e contro la volontà della donna, che altrimenti sarebbe stato impossibile (e qui tutta l’aneddotica più vieta e… Napoleone che con la sciabola in mano escludeva la responsabilità dei suoi ufficiali stupratori dimostrando che gli era impossibile infilarla nella guaina se questa veniva opportunamente agitata).

Di qui la trasformazione del processo contro lo ‘stupratore in processo contro la donna (con una sorte di “inversione dell’onere della prova”) la quale deve provare di aver fatto di tutto per impedire che il reato contro di lei fosse commesso, fino a rischiare la vita (e qui perizie e visite mediche per accertare se sul corpo della donna ci sono ecchimosi o lesioni che dimostrino che si difese) cosa che certo non è richiesta a chi subisce scippi e rapine. La politicizzazione del delitto di violenza carnale è indirizzata anche contro la società essa stessa “incredula” che con il suo senso comune influenza (“Sì, poteva stare a casa!” “Perché c’è andata in macchina?”, ecc.) il pregiudizio dei giudicanti. Questa politicizzazione è in funzione della lotta politica per spostare la coscienza del giudice e della società e tende nel momento del giudizio a eliminare ed a ribaltare il pre-giudizio. Le donne sono le portatrici di queste istanze volte alla eliminazione di una sopraffazione che non è di classe, ma di sesso. Ma chiunque, uomo o donna, sia un militante di sinistra, un avvocato di sinistra, così come “non difenderebbe mai un fascista”, non può difendere uno stupratore. Nessuno chiede di trasformare una professione che dopotutto è anche la fonte del reddito destinato dal professionista al mantenimento proprio e della propria famiglia, in una missione. Ma quando sono in gioco i valori per i quali ci si batte, la scelta non può essere che quella di non macchiarsi di nessuna complicità con il portatore di idee e comportamenti contrari.

Quanto agli altri avvocati: è certo che quando hanno accettato di essere difensori di fiducia, devono battersi a favore dei loro clienti con impegno e lealtà perché altrimenti veramente ci sarebbe una violazione del mandato e quindi del diritto ad una difesa tecnicamente efficace. Perciò tutti tenderanno con maggior o minore grossolanità a mettere in dubbio le parole della donna. E’ proprio da questo che nasce l’esigenza di una riforma legislativa a proposito del reato di stupro. Una di queste riforme riguarda la unificazione dei reati di violenza carnale e degli atti di libidine violenta, ed ha lo scopo, tra l’altro, di rendere inutili? quindi di spazzare via certe offensive domande rivolte alla donna in istruttoria e in udienza. Così pure per legge si può arrivare a vietare — come è già avvenuto nello Stato di New York — qualsiasi domanda su fatti personali e sulla vita privata della vittima dello stupro.

Non a caso del resto in tutti i Paesi in cui è in atto l’offensiva femminista contro lo stupro gli obiettivi sono: a) far cambiare l’atteggiamento della società verso questo reato (negli USA, con la collaborazione delle femministe del NOW è stato redatto un programma di azione che fra l’altro prevede di organizzare specifici training per la polizia e per il personale medico e paramedico); b) cambiare le leggi che affondano le loro radici in una cultura e in un costume ormai superati.