donna e arte e/o donna e uomo?
In questi ultimi tempi abbiamo assistito ad un susseguirsi di mostre ed iniziative tutte dedicate a figure artistiche femminili, dimenticate e misconosciute dalla cultura occidentale.
Una di queste in particolare, la mostra milanese “L’altra metà dell’avanguardia”, ha suscitato discussioni e critiche.
Ci siamo chieste perché e se era operazione corretta tutta questa riscoperta “al femminile”.
Donna-arte è un rapporto complesso, un problema latente nel movimento che emerge ogni qual volta un’ occasione ripropone l’attualità dell’argomento. Ultima in ordine di tempo è stata “L’altra metà dell’avanguardia” mostra storica organizzata a Milano da Lea Vergini che si è guadagnata anche apprezzamenti di femminismo e di antifemminismo. Mi domando perché si è avvertita la necessità di un pronunciamento femminista in merito a questa iniziativa e non, per esempio, nei confronti della mostra di Sculture Minimal recentemente presentate a Roma alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Per quest’ultima gli esperti si sono espressi sull’operazione complessiva o relativamente alle opere dei singoli artisti, ma di femminismo o di antifemminismo non si è proprio parlato. La risposta può sembrare facile: la mostra di Milano riguarda direttamente le donne perché tratta di donne artiste, perché è un’operazione di rivalutazione della presenza femminile nell’arte, perché è un’intervento correttivo nell’analisi storica, perché tutto questo è un risultato del femminismo. Sembra quindi legittimo intervenire lasciando, per il resto, campo libero. Occuparsi di certi argomenti solo quando coinvolgono direttamente le donne significa aver superato la dipendenza dalla cultura maschile? Non è che in questo modo si accetta la discriminante principale che delega ai maschi alcune questioni e alle femmine altre? Ho capito male o interessarci prevalentemente di noi, porre noi stesse al centro del nostro interesse doveva permetterci di guardare e interpretare la realtà con i nostri occhi, con il nostro cervello, con il nostro corpo? Ricondurre tutta la realtà alla nostra misura? Il pericolo di interpretazioni riduttive è di svilire la nostra analisi politica e culturale al livello di “questione femminile”, alla semplice rivendicazione di “parità” e, quando la presenza femminile c’è, alla verifica di una più o meno stretta osservanza di un’ipotetica ideologia femminista. Perciò che le donne si occupino delle donne è importante se prendiamo la parola anche in tutte le altre occasioni, che per altro ci coinvolgono ugualmente, specialmente dove non è richiesta né prevista, perché abbiamo superato la dipendenza dalla cultura maschile o non l’abbiamo superata. Non è più possibile scantonare per vie traverse rispolverando le analisi femministe per esercitarle solamente addosso alle donne e per il resto far finta di niente o allinearsi alle mode culturali. In questo senso, quando penso ad un intervento a proposito della mostra delle Sculture Minimal (o per qualsiasi altra mostra) non immagino la solita protesta perché i tre espositori sono tutti e tre maschi e invece sarebbe stato giusto che fossero uno e mezzo maschio e uno e mezzo femmina, ma un’intervento per capire, chiarire e se necessario smascherare (al di là delle critiche degli addetti ai lavori) con un nostro metodo — se è vero che lo possediamo — il perché di quei lavori, quale logica di vita e quale ideologia esprimono, con chi si identificano e chi rappresentano, quanto noi come donne ci possiamo ritrovare, quale è la loro qualità “oggettiva”, perché sono stati proposti oggi in Italia… La apparente specificità di un campo espressivo non ci esclude dal confronto e non è detto, non lo abbiamo mai detto, che debba realizzarsi in termini esclusivamente tecnici ma possiamo intervenire usando come strumento di verifica la nostra esperienza di vita e le nostre analisi politiche senza delegare solamente ad esperte il monopolio della comprensione e dell’interpretazione. Per esempio la lunga lotta per l’aborto non è stata delegata alle esperte e non è stata nemmeno ridotta negli stretti ambiti della sua specificità, ma emergeva da una approfondita ed estesa analisi sulla sessualità e sulla salute; quando poi la gestione del problema è stata delegata solo ai gruppi che ne facevano il loro interesse principale, la nostra azione complessiva ha perso di incisività,
-Per questa ragione penso che se è importante imporre un nostro punto di vista anche per quel che riguarda l’arte, è dispersivo intervenire sporadicamente solo quando nei fatti d’arte sono coinvolte espressamente le donne. Oltretutto con interventi così rarefatti e settoriali, e che indulgono spesso e volentieri a interpretazioni psicoanalitiche tendenti a dimostrare che se le donne hanno poco spazio anche nell’arte la colpa è tutta loro, non è possibile costruire .una visione complessiva dell’argomento né stabilire un minimo confronto tra le donne. E arriviamo al nodo centrale: il femminismo è solamente un movimento sindacal-rivendicativo oppure è anche, e specialmente, un modo diverso, di intendere la vita, la cultura, la politica? E se è il secondo caso quello che ci riguarda e non ci basta la politica del 50 per cento, il riconoscimento della bravura delle nostre antenate, il conio di monete commemorative, è per caso trincerandosi dietro lo slogan “non mi interesso di cultura maschile” che concretizziamo una nostra autentica rivalutazione?
E siamo proprio sicure che il vero problema è nel rapporto donna-arte e non nel binomio maschio-arte che diventa poi politica-arte, economia-arte, potere-arte?
Non sarà meglio tentare di intervenire su questo invece di colpevolizzare noi stesse per una nostra presunta assenza o un nostro scarso adeguamento?