due progetti a confronto

Alla recrudescenza degli stupri in Italia le donne rispondono con due progetti di legge.

settembre 1979

il fatto nuovo di questa estate nell’ ambito del movimento delle donne è il raggiunto accordo fra MLD, UDÌ e alcuni collettivi femministi per un progetto di legge sulla violenza sessuale a iniziativa popolare; anziché rimettersi alla presentazione da parte di una o più parlamentari, le donne hanno voluto la mobilitazione, diretta per la raccolta delle firme necessarie (50.000) quale fatto politico e unificante che impegnerà il movimento nei prossimi mesi.

Contemporaneamente Angela Bottari, deputato del PCI, ha presentato alla Camera un progetto firmato anche da altri 35 suoi colleghe e colleghi (ma perché nella prassi parlamentare le donne deputato vengono indicate con nome e cognome mentre gli uomini solo con il cognome? il motivo mi sfugge, ma certo è sessista) intitolato ^Nuove norme a tutela della libertà sessuale”, N. 201.

 

Ma che cosa è lo stupro?

Il Collettivo romano di Pompeo Magno, pur appoggiando l’iniziativa MLD, ha approfondito l’analisi di che cosa è per la donna lo stupro sul piano umano che giuridico: l’abuso sessuale non va considerato in relazione alla “parte” del corpo che viene colpita, ma alla intera persona della vittima, e come tale rappresenta una costrizione e una limitazione della sua libertà globalmente intesa. Di conseguenza va riconsiderata anche la gravità del reato, che deve essere ritenuto analogo al sequestro di persona a scopo di estorsione: il ridurre una persona a oggetto è l’atto più grave che si possa compiere, e il profitto “di libidine” non vale certo meno di quello economico. La previsione della pena deve essere quindi rapportata a tale gravità e analoga a quella prevista per il sequestro: da 25 a 30 anni, Del resto in molti paesi del mondo la pena per lo stupro è la più grave.

Fra i due progetti articolati (MLD e Bottari) vi sono alcune disposizioni analoghe, altre divergenti. Senza poter fare un’indagine troppo dettagliata, vediamo di coglierne gli aspetti principali.

 

Violenza sessuale: un unico reato

Entrambi i progetti prevedono che sia abolita la attuale distinzione fra i due reati di violenza carnale (che consiste nella penetrazione anche se parziale o anomala) e atti di libidine violenti (altri atti sessuali che vengono puniti con la pena ridotta di un terzo) e sia previsto un unico reato di “violenza sessuale”. La pena prevista è della reclusione da 2 a 10 anni nel progetto MLD e da 3 a 8 nel progetto Bottari; attualmente la violenza carnale è punita con la reclusione da 3 a 10 anni. Nel commento al progetto MLD la scelta di unificazione del reato è così motivata: “In entrambi questi atti (violenza e atti di libidine) leggiamo il desiderio di umiliarci, degradarci; il desiderio maschile di dominio…. Oggi la donna sta cercando una sua identità sessuale come totale espressione di se stessa, dei suoi bisogni sensuali, sessuali ed emozionali… qualsiasi atto compiuto sul nostro corpo senza la nostra volontà è un atto criminale di stupro”. Nella relazione Bottari, dopo l’osservazione che nell’attuale normativa “centrale è la concezione del sesso visto come male e dell’istinto sessuale visto come peccato”, si legge che “la casistica che distingue fra violenza carnale e atti di libidine non tanto fa riferimento al danno e all’umiliazione subiti dal soggetto passivo del reato, quanto alle modalità esteriori dell’azione; di qui lo stesso concetto di libidine (quindi di una qualità soggettiva del colpevole) come quello intorno a cui ruota l’esigenza della punizione, anziché intorno alla salvaguardia della libertà e dignità della persona offesa”. Infatti, una volta spostato l’angolo di osservazione dal violentatore alla vittima, l’abuso sessuale va considerato come tale indipendentemente dal dettaglio degli atti materialmente compiuti: non è nella penetrazione o meno e quindi nella maggiore o minore “soddisfazione” (!) dello stupratore che si qualifica la gravità del reato, ma nel compimento di atti sessuali contro la volontà di chi li subisce. Diviene così centrale, ed acquista essenzialità, il consenso di chiunque partecipa ad atti sessuali, per cui il non tenerne conto rappresenta di per sé violazione di tale libertà.

 

Violenza di gruppo

Il progetto Bottari ha definito un nuovo reato, autonomo e a sé stante: la violenza sessuale di gruppo commessa da due o più persone riunite, con la pena da 6 a 14 anni. Anche l’MLD ha previsto l’azione di gruppo ed ha elevato il minimo della pena a 5 anni lasciando inalterato il massimo (10 anni): “proprio perché non siamo ispirate da princìpi di vendetta” è stato il commento (ma la maggiore o minore entità della pena non deve corrispondere alla maggiore o minore entità del danno individuale, bensì del danno sociale… e allora, perché considerarla una vendetta?).

Queste disposizioni sono quanto mai opportune e necessarie; infatti, mentre si può ancora discutere se la violenza sessuale abbia subito in tempi recenti un incremento o se invece siano solo aumentate le querele per il maggior grado di sensibilizzazione delle donne, certo è che lo stupro collettivo è un fatto dei nuovi tempi e va affrontato quale fenomeno a sé. Anche se la maggior gravità della pena non sempre costituisce una misura preventiva dei reati, non incidendo sulle cause, può rappresentare talvolta un fattore deterrente e comunque interpreta la valutazione che la società fa di tali fatti antisociali, certamente più gravi rispetto alla violenza compiuta da una sola persona.

 

Violenza coniugale

Si è discusso, anche recentemente in occasione di un processo di violenza intentato da una moglie contro il marito negli U.S.A., se costringere il coniuge ad atti sessuali costituisce o meno reato, poiché al momento del matrimonio vi è stato uno scambio di consenso anche per tali rapporti. In Italia poche sono state le occasioni in cui i giudici hanno dovuto risolvere questo problema (e non certo perché si verifichi raramente, che anzi la violenza coniugale è la più diffusa); e in questi casi hanno quasi sempre affermato che anche fra coniugi la violenza è reato e il consenso prestato al momento delle nozze è generico e globale e deve essere riconfermato per ogni atto sessuale. Altre volte la violenza carnale, anche in mancanza di querela, è stata ritenuta fra gli atti che integrano gli estremi del reato di maltrattamenti (che è perseguibile d’ufficio).

Pur di fronte alla correttezza dell’impostazione giuridica, che però può essere sempre modificata, poche sono state le mogli che hanno “sentito” di essere violentate, ancor meno quelle che hanno deciso di reagire con una querela (al più hanno chiesto la separazione); o magari sono state scoraggiate, poiché nel mondo del diritto — e della polizia giudiziaria — non manca chi sostiene che il marito ha un diritto incontestabile sul corpo della moglie. Così la violenza ha continuato ad essere sistematicamente esercitata fra le mura domestiche, coperta anche dal manto o dalla pretesa della legalità. Mentre il progetto Bottari non prevede nulla riguardo alla violenza coniugale, lasciando tosi la soluzione dei singoli casi al magistrato (e certo non stimolando la presa di coscienza delle donne né la responsabilizzazione dei mariti), il progetto MLD prevede espressamente che commette reato anche il coniuge che costringe o induce l’altro a subire o ad assistere ad atti di natura sessuale. E questo è indubbiamente un dato qualificante del progetto, soprattutto perché scaturito da anni di esperienza nei centri anti-violenza gestiti dalle donne.

 

Querela o denuncia?

Il punto di maggiore divergenza fra i due progetti riguarda la scelta se il reato di violenza sessuale debba essere perseguito soltanto su querela della parte offesa oppure si debba procedere d’ufficio ogni volta che sì venga comunque a conoscenza di questo delitto. Il progetto Bottari ha mantenuto la situazione attuale che è per la proseguibilità a

querela di parte, motivandola con “V esigenza di conservare e affermare il diritto di autodeterminazione della parte lesa (quasi sempre la donna)”. Anche nell’ambito del movimento all’inizio era prevalsa questa tesi; “Costringere la donna a subire un processo che non vuole e non è pronta ad affrontare, per tutte le paure, vergogne, angosce e umiliazioni che questo oggi comporta, ci era sembrato un’ulteriore violenza e non un momento di crescita”. Ma poi sono intervenute altre riflessioni che hanno portato alla scelta della perseguibilità d’ufficio. A mio avviso questa è la soluzione più corretta e adeguata sia dal punto di vista giuridico che sociale e individuale. Innanzitutto va considerato che la querela è generalmente prevista per reati lievi che offendono più la sfera individuale della vittima che non l’ordine sociale (esempio tipico è l’ingiuria e la diffamazione), per cui la perseguibilità del colpevole è subordinata alla Volontà della parte lesa. La violenza sessuale è invece un reato grave, gravissimo, e l’offesa oltre che individuale è sociale: perché dunque garantire l’impunità al colpevole se la vittima, per mille motivi che attengono, questi sì, alla sua sfera personale, non presenta la querela? E perché delegare proprio alla persona più colpita la decisione di perseguire o no l’autore della violenza rendendola così nuovamente esposta a pressioni, minacce, ricatti, oltre che a complessi di colpa e conflitti con se stessa?

Il perseguimento dei reati è compito dello Stato nella amministrazione della Giustizia, non certo un fatto privato. Se resto vittima di un furto o di una rapina anche di 100 lire non è in mio potere decidere se voglio o no la punizione del colpevole; anzi, anche se non la voglio il processo va avanti Io stesso. Perché la proprietà privata è “sacra e inviolabile” e va protetta quale “bene sociale”.

Ma il diritto di una donna alla inviolabilità del proprio corpo non è un fatto personale che in fondo è meglio tenere riservato, secondo il principio di dover salvaguardare il suo “pudore” poiché ogni rapporto sessuale non istituzionalizzato, anche se imposto con la violenza, costituisce vergogna. E* ora che anche le leggi dello Stato prendano atto che in delitti del genere gli unici a doversi vergognare sono coloro che li commettono, ed è ora di eliminare questa garanzia di impunità rappresentata dalla querela.

 

Qualche norma sul processo

Proprio per l’esatta redistribuzione della vergogna, il progetto MLD prevede il processo a porte aperte, salvo che la parte lesa chieda che si svolga a porte chiuse. Il progetto Bottari prevede che il giudice, prima di decidere se il processo debba avvenire a porte chiuse, interpella la persona offesa e “tiene conto della sua volontà”. Per quanto riguarda l’istruttoria, 1′ MLD prevede che “non sono ammesse indagini inerenti alla tecnica fisiologica degli atti di violenza sessuale subiti dalla vittima. Le indagini devono bensì avere come scopo l’accertamento-della mancanza di consenso che non può fondarsi sulla passata vita sessuale della vittima”; e il progetto Bottari prevede che si “devono evitare domande che possano violare la privatezza della vita o delle relazioni sessuali della persona stessa, salvo quelle strettamente necessarie per l’accertamento del reato”.

L’MLD propone anche una norma che consente la costituzione di parte civile ad “associazioni aventi per scopo sociale la liberazione dalla repressione sessuale e la difesa dei diritti delle donne”; finora l’ammissione o meno quale parte civile di associazioni è rimasta affidata alla discrezionalità del giudice. Il progetto Bottari non entra in argomento in quanto si è ritenuto — come detto in premessa — che tale problema dovrà trovare “adeguata sistemazione legislativa a livello processuale e di impostazione generale, evitando di risolverlo con riferimento a settori particolari”.

 

Alcune abrogazioni e un suggerimento

Tutti e due i progetti prevedono l’abrogazione di alcune disposizioni anacronistiche, quali il ratto a fine di matrimonio, il ratto di minore a fine di libidine, la seduzione con promessa di matrimonio, il matrimonio riparatore. V MLD cancella anche i delitti di onore e l’incesto.

Infine un suggerimento: perché non proporre, quale pena accessoria della condanna per violenza sessuale, la pubblicazione sulla stampa di un estratto della sentenza (e magari della fotografia del condannato)? Ciò servirebbe non solo a mettere in guardia probabili vittime, ma anche quale remora di fronte ad un’azione finalmente considerata infamante. Del resto la pubblicazione è prevista per i reati contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio (frodi) con il preciso intendimento di tutelare i cittadini.