eppur si muove

un contributo al dibattito congressuale del 6 maggio ’77, del coordinamento nazionale delle delegate dell’F.L.M.

giugno 1977

il movimento delle donne è cresciuto in questi ultimi anni e ha prodotto una sensibilità nuova anche all’interno del sindacato dove le lavoratrici vogliono contare di più non solo nella lotta e negli scioperi, ma anche nei momenti di elaborazione, di decisioni, di gestione del sindacato a tutti i livelli.
Due segni importanti di questo risveglio sono stati dati da:
1) – Le piattaforme aziendali e di gruppo, che per la prima volta in modo esplicito prevedono nei punti rivendicativi indirizzati al superamento delle discriminazioni (e non giuridiche) tra uomo e donna nel lavoro;
2) – Il recente dibattito congressuale, che ha visto una partecipazione quantitativa e qualitativa nuova delle delegate e ha permesso loro una maggiore presenza negli organi dirigenti dai quali erano tradizionalmente escluse.
La nostra volontà di contare di più, come donne, sul lavoro e nel sindacato, nasce dalla coscienza che le disuguaglianze, la precarietà che subiamo sul lavoro, dipendono dal ruolo specifico di mogli, madri e casalinghe che noi svolgiamo a livello sociale. L’attuale organizzazione del lavoro, proprio perché inquadra i lavoratori come singoli tutti uguali e non tiene conto delle loro esigenze come persone, prevede che alle spalle dei lavoratori ci siano delle casalinghe che organizzano tutto il resto della vita, dal mangiare e dal vestire, al crescere dei figli.
Lo sviluppo industriale e l’espansione dei consumi anziché facilitare l’adempimento di questi compiti, ha reso più complesso e più rigido il ruolo delle casalinghe, cosicché qualunque donna sposata e con figli, che lo voglia o meno, deve svolgere una serie di compiti fìssi e sempre più impegnativi, che vengono prima del lavoro, questo perché:
Lo sviluppo industriale ha aumentato i prodotti a consumo familiare, che richiedono dunque sempre la mediazione della donna prima di essere usufruiti (es. abbiamo elettrodomestici che costano molto meno delle lavanderie pubbliche, ma che richiedono ancora il nostro lavoro);
Lo sviluppo urbano ha complicato moltissimo la vita della famiglia senza offrire in cambio nessuna soluzione collettiva (es. ci sono le scuole ma il loro orario non coincide con quello del lavoro; spesso in famiglia c’è diversità di orario tra i vari figli; volendo organizzarli per giocare insieme si incontra subito il problema dei trasporti, degli spazi che mancano e così via);
Lo sviluppo industriale ha così consolidato la divisione sessuale del lavoro; il lavoro produttivo (in particolare la fabbrica) è affidato agli uomini sui quali grava il mantenimento economico della famiglia, mentre l’organizzazione della vita fuori della fabbrica è tutta sulle spalle della donna. La donna che lavora al di fuori della famiglia, non solo deve sopportare un doppio carico di fatica e di tensione, ma si trova anche emarginata in lavori dequalificati e precari.
La crisi economica tende ad approfondire la spaccatura tra lavoratori stabili e lavoratori precari e disoccupati; questa divisione corrisponde anche ai ruoli diversi che uomini e donne assumono nell’organizzazione sociale: il capofamiglia è portato ad accettare l’aumento dei ritmi , gli straordinari, la monetizzazione della salute; a loro volta le donne, nel lavoro domestico, cercando di lottare contro i costi crescenti, intensificando con il proprio lavoro la produzione di beni e servizi per i familiari, accettando il lavoro a domicilio e il lavoro precario pur di avere elasticità di orario che consente di conciliare il doppio ruolo. Tutto ciò peggiora in modo sensibile le condizioni degli uomini, delle donne, dei bambini; l’elasticità che il padronato ricupera nell’uso della forza lavoro non dà alcuna garanzia che la ristrutturazione ci porti ad un meccanismo economico più giusto e più umano, ma tende piuttosto ad approfondire le disuguaglianze.
Il ritorno a casa delle donne, come conseguenza della crisi economica, va inoltre combattuto perché esso viene utilizzato dal padronato e forze politiche in funzione di conservazione anche politico-culturale del sistema dominante. La ristrutturazione secondo schemi tradizionali della famiglia, che ne carica tutto il peso sulle spalle della donna, punta contemporaneamente a far svolgere a questa istituzione il ruolo di supporto e di conservazione dell’attuale sistema economico.
Il sindacato in Italia in questi anni ha individuato con chiarezza il nodo tra fabbrica e società, tra come si produce e cosa si produce; tuttavia le lotte sociali non hanno avuto quella carica dirompente che è necessaria a modificare i rapporti di forza, a stabilire nuove alleanze, a inventare valori collettivi per la vita di ogni giorno, anche perché finora è mancato l’apporto dominante delle donne che vivono in prima persona le contraddizioni tra fabbrica e vita sociale, tra produzione e maternità.
Pensiamo che un salto di coscienza e di lotta il sindacato italiano può farlo se le donne si organizzano al suo interno sulla base della condizione materiale e specifica che è propria della «lavoratrice-casalinga», come abbiamo cercato fin qui di individuarla. Il fatto che negli ultimi mesi sia cresciuta l’esigenza e la pratica da parte delle lavoratrici di incontrarsi tra di loro deve essere visto in modo positivo da quanti si battono per far crescere la democrazia di base nel sindacato; all’inizio abbiamo spiegato il nostro bisogno di incontrarci tra sole donne con la timidezza e la difficoltà di parlare in assemblee miste, ma oggi sappiamo che questo bisogno si fonda anche sulla condizione materiale comune che vogliamo analizzare, per riportarla poi al dibattito più ampio che si svolge nel sindacato e offrire così a tutto il movimento un terreno nuovo di lotta e di cambiamento. Ciò significa che la nostra elaborazione e la lotta a partire dalla specifica condizione della donna, intende contrapporsi all’attuale situazione di, separazione tra manodopera forte e debole, tra uomini e donne, creata dalla politica padronale e aggravata dalla crisi. In questo senso il nostro lavoro intende dare un contributo concreto alla realizzazione di una sempre maggiore unità di classe.
L’obiettivo della piena occupazione, guardato dal punto di vista anche delle donne e non solo degli uomini, por-
ta necessariamente a colpire tre nodi di fondo:
1) L’orario di lavoro;
2) Il contenuto del lavoro;
3) L’organizzazione dei rapporti sociali.
Le piattaforme sociali e di gruppo che sono in discussione in questi mesi contengono già alcuni punti importanti; rivendicano nuovi posti di lavoro per le donne e la rottura di alcuni limiti del tutto arbitrari nella qualificazione delle donne collocate di fatto nelle categorie più basse; impegnando le aziende ad anticipare alle lavoratrici gli oneri che spettano all’Inps e a contribuire alla creazione di servizi sociali, non dimenticando di spostare sul terreno legislativo e politico queste lotte approfondendo il dibattito sulla ipotesi di fiscalizzazione di questi oneri sociali e il riconoscimento del ruolo sociale della maternità.
Va sottolineata questa spinta in alcune vertenze all’estensione delle contribuzioni aziendali (vedi Alfa Romeo e Aeritalia) perché in un momento di pesante riduzione della spesa pubblica, questa può diventare una via da percorrere fino in fondo per vedere realizzata qualche struttura concreta, asili, consultori, ecc. soprattutto al Sud e per dare alle lavoratrici l’occasione di discutere insieme i criteri di gestione dei servizi sociali. Il rilancio della contrattazione aziendale può dunque stimolare la partecipazione e la mobilitazione delle lavoratrici a sostegno dei punti rivendicativi che le riguardano più da vicino e soprattutto per gestire le conquiste che si otterranno.
Questo è il primo passo per impedire che in questa fase le lavoratrici accettino – soluzioni individuali, a tutto vantaggio del padrone, come i contratti a termine, un orario di lavoro individuale parziale o il contributo che alcune aziende stanno offrendo in cambio dell’autolicenziamento. Pensiamo però che le spinte individuali non saranno contenibili nel lungo periodo se il sindacato nel suo insieme non riuscirà a prospettare la modifica sostanziale dell’attuale organizzazione del lavoro e aprire il dibattito sulla riduzione dell’orario di lavoro per tutte.
Oggi la proposta del part-time non va in alcun modo in questa direzione; non è il male rispetto al lavoro nero e a domicilio; al contrario il part-time, in questa precisa fase di ristrutturazione e restringimento dell’occupazione stabile, è la soluzione per l’occupazione femminile funzionale soltanto alla strategia del padrone. Vediamo che il part-time in molti casi è proposto come alleggerimento della manodopera femminile e come anticamera del licenziamento.
Vediamo che il part-time aumenta la dequalificazione ed i ritmi di lavoro; che facilita il lavoro a domicilio; che propone un orario aberrante (es. 17-21 oppure 24 ore in due giorni e mezzo) che certo non aiuta la donna nella gestione dei suoi compiti familiari. Dal punto di vista del padronato, il part-time introduce in modo stabile il doppio mercato del lavoro, aumenta l’elasticità dell’orario, riduce gli spazi contrattuali del sindacato sull’insieme dell’organizzazione del lavoro. Di contro, dal punto di vista della donna, vediamo nel part-time una soluzione che la conferma nel suo ruolo fondamentale di casalinga, sottraendola alla vita sociale e alla partecipazione nel sindacato; codifica insomma questa organizzazione del lavoro completamente alla gestione privata dei consumi, della maternità, della vita. La possibilità per le donne di lavorare si difende invece:
– attraverso un controllo sempre più esteso e decisivo del lavoro nero e del lavoro a domicilio;
– sviluppando a livello di massa esperienze di vita collettiva per i bambini e di gestione pubblica dei servizi domestici.
Il movimento delle donne ha proposto in questi anni alcuni valori intorno alla famiglia, alla sessualità e alla maternità che hanno toccato nel vivo le masse femminili e che stanno modificando gradualmente anche il modo di vivere. Pensiamo che il dibattito sull’organizzazione del lavoro deve anche confrontarsi con questi nuovi livelli di coscienza e proponiamo che il sindacato sviluppi un confronto diretto con il movimento delle donne nelle sue diverse e più varie articolazioni. In particolare vogliamo associare il movimento delle donne alla lotta per l’occupazione femminile, allargando la mobilitazione e il dibattito tra le casalinghe a livello locale.
Non vogliamo a questo punto parlare dei consigli di zona perché sarebbe ancora una volta un richiamo a ciò che deve venire; è evidente che la mobilitazione tra le lavoratrici, che l’alleanza con le casalinghe, che il controllo sindacale del lavoro decentrato, tutto questo richiederebbe l’esistenza di tanti consigli di zona. Ma poiché in molte realtà dobbiamo ancora costruirli, preferiamo rovesciare i termini temporali e proporci di far crescere queste iniziative nel territorio per stimolare la nascita dei consigli di zona, in particolare ci sembra importante collegare le vertenze dei grandi gruppi con il tessuto produttivo nel territorio, poiché il decentramento del lavoro interessa particolarmente le lavoratrici, Un’iniziativa sindacale sul lavoro a domicilio non ci sembra possibile se riusciamo a proporre alle donne una proposta nel territorio dei servizi collettivi per i figli e il lavoro domestico. A tale fine intendiamo utilizzare queste forme organizzative:
– commissioni di lavoro a livello di fabbrica sui temi specifici della condizione femminile alle quali possono partecipare, con i permessi sindacali, anche le lavoratrici non delegate;
– coordinamento di zone intersettoriali;
– coordinamenti provinciali delle delegate, aperti alle lavoratrici, in stretto collegamento con le altre categorie e con i movimenti femminili della zona;
– leghe zonali delle lavoratrici a domicilio;
– seminari 150 ore sulla questione femminile (salute, occupazione, ecc.), aperti a tutte le donne interessate ma gestiti in particolare da alcune fabbriche a prevalente manodopera femminile;
– coordinamento nazionale delle delegate composto da rappresentanti dei coordinamenti provinciali, dove già esistono, e da tutte le delegate interessate a costruirlo nella propria provincia, dove ancora non esistono. Questa struttura per «coordinamento» intende mantenere rapporti costanti con gli uffici lavoratrici che le confederazioni stanno potenziando a livello nazionale e provinciale; vediamo però nella nostra proposta organizzativa il vantaggio di una partecipazione più diretta delle lavoratrici alla vita del sindacato e un contributo concreto alla unità sindacale. Chiediamo alla federazione Cgil-Cisl-Uil di organizzare l’assemblea nazionale delle delegate che già era stata approvata all’Eur nel gennaio scorso: chiediamo che la data sia fissata al più presto, prima dei tre congressi confederali, e che l’assemblea possa svolgersi per due-tre giorni consentendo un reale confronto di massa tra le lavoratrici per l’avvio di una politica sindacale che possa incidere profondamente sulle attuali contraddizioni che caratterizzano la condizione della donna.