educazione

femminismo e figli maschi

La difficoltà di allevare un figlio maschio quando gli si prospetta un’impostazione di vita diversa

giugno 1979

il libro Emanuelle, ovvero l’infanzia al femminile di Danielle Flammant Paparatti descrive il rapporto dell’autrice con la figlia, l’educazione nuova impartitale, le contraddizioni vissute in un ambiente familiare e sociale quale è la Sicilia. Elena Gianini Belotti, nella premessa al libro, pone l’interrogativo dell’incognita rappresentata dai piccoli maschi che, al contrario, «…continuano ad essere educati allo stesso modo, con lievi varianti che non intaccano la sostanza di niente…». La odierna consapevolezza delle donne circa le frustrazioni subite nell’infanzia, il desiderio d’incidere in una realtà ancora ostile alle donne, stanno creando un rapporto diverso madre-figlia. Il cambiamento rilevante si riscontra nelle piccole donne che tendono a manifestare quelle qualità prima indicate come maschili. Timidezza, riservatezza, bamboleggiamenti, espressioni di quella mascherata della femminilità che la società richiedeva e tuttora richiede al soggetto donna, sono scomparse perché in primo luogo le madri l’hanno rifiutata. Le crisi di identificazione nei valori tradizionali, il lavoro interiore di cambiamento, la lotta politica, sono elementi che caratterizzano parte della generazione di donne in questi ultimi dieci anni. Ma dietro il senso di conquista che accompagna il cambiamento positivo del modo d’intendere l’educazione femminile infantile, c’è comunque la spinta delle bambine ad assimilare il modello d’educazione impartita da sempre al bambino. Quei valori, prima esclusivo patrimonio maschile, oggi vengono estesi anche alle bambine. I valori femminili che riguardano l’essenza della persona, la ricettività, la capacità affettiva, la fiducia verso gli altri, l’intuizione e non i lavori materiali femminili, le marmellate, i merletti e le bambole, restano fuori dal processo di crescita delle nuove generazioni. Le tematiche del neofemminismo hanno rivalutato queste qualità nella ricerca di una affermazione autonoma della femminilità non più asservita al modello ed alla maschera imposta dalla cultura dominante. Ma quest’affermazione non si è ancora tradotta in termini reali per cui l’educazione infantile femminile corrisponde a quanto noi donne adulte, oggi, riusciamo a strappare al sistema sociale: l’emancipazione dall’oppressione passata (e neppure estesa alla maggioranza delle donne) e la parità dei diritti di cui già godono gli uomini. Se avremo la capacità d’imporre, nel contesto generale della società, una cultura femminile collettiva, ne discenderà l’accettazione di una dimensione della femminilità reale e vera. Il primo femminismo aveva già individuato nell’educazione delle nuove generazioni femminili, l’obbiettivo da perseguire e la prima istanza sentita fu quella del diritto allo studio per le bambine come possibilità di accesso al godimento dei diritti civili maschili. Oggi sappiamo che la spinta emancipatrice alla parità con l’uomo non è sufficiente a garantire il superamento della contraddizione sessuale uomo-donna che si evidenzia fin dalla più tenera età.

E’ importante per le bambine che esista un referente politico rappresentato dal neofemminismo anche se fino ad ora ha significato solo un’opposizione al sistema senza assumere una sua rappresentatività rivoluzionaria. E’ quindi troppo presto per definire come conquiste i cambiamenti avvenuti nella educazione infantile, perché, come afferma Elena Gianini Belotti (vedi Effe n. 3-4 ’79) nella maggioranza dei casi, corrispondono all’educazione che i maschietti ricevono da sempre senza innovazioni di rilievo da parte di quest’ultimi.

Il problema si presenta difficile per il piccolo maschio nuovo che tenta di uscire dallo schematico e riduttivo ruolo tradizionale: in primo luogo perché molti suoi coetanei continuano ad essere educati alla prepotenza ed arroganza usuali e perciò non ha quel referente collettivo rappresentato dal sistema di valori delle tematiche femministe che le bambine hanno. In secondo luogo perché solo una minoranza dei padri è cambiata. Per le bambine è comunque una conquista uscire dall’oppressione di un’educazione castrante e la solidarietà, l’appoggio, l’esempio della madre nuova è un elemento positivo rispetto all’impegno che verrà loro richiesto da grandi nella vita. Ciò può risolversi in un riconoscimento per la madre finora mancato alle donne della generazione precedente. Nel rapporto con il figlio maschio, alla madre non basta essere donna in maniera consapevole rispetto al passato, non basta avere fiducia in sé stessa in quanto portatrice di valori culturali diversi dalla cultura dominante perché la contraddizione uomo-donna, cioè madre-padre, ancora non risolta, pesa enormemente a svantaggio del rapporto.

La “figura paterna” viene da ogni parte riproposta come essenziale, importante, carica di potere sociale e corrispondente a quei valori culturali, economici e giuridici che il mondo circostante propone al bambino come validi, già predisposti per lui e che lo rendono beneficiario di un potere dal momento della nascita. Ho sempre ritenuto ingenuo il tentativo che vedevo portare avanti da alcune madri, di far giocare i bambini con le bambole o spiattellare in cucina, e le bambine con le costruzioni per spingerli a superare lo schematismo dei giochi infantili e favorire così l’eliminazione dei ruoli sessuali. I ruoli sono dentro le persone, dentro gli adulti che sono in rapporto con i bambini e se i ruoli aderiscono ai genitori, non è sufficiente un solo comportamento alternativo a cambiare una impostazione culturale. Un’autonomia ed indipendenza da modelli aprioristicamente imposti e limitativi delle capacità espressive dei bambini, al di là del sesso, può avvenire al di fuori di quel processo d’identificazione sia con la figura materna ruolizzata, sia con quella paterna. L’essere per identificazione fino ad ora ha rappresentato un destino immutabile attraverso cui crescere, basato sui rapporti sadomasochistici e che ha creato le persone ruolizzate che vivono i rapporti in termini di amore ed odio. La verifica di tutto ciò mi viene dall’esperienza con mio figlio di nove anni. La sua realtà è fatta di inevitabili motivi di crisi di fronte all’aggressività e violenza dei suoi coetanei. Crisi dovute all’incertezza che dimostra di avere nell’accettare quel modello di comportamento maschile. La diversa impostazione di vita che gli prospetto conduce ad un’ipotesi di esistenza più ricca, non limitata in schemi culturali ed in comportamenti conformi all’ideologia patriarcale basata sul sadomasochismo. E’ un progetto di vita apparentemente meno facile di quello corrente che però riconosce le persone per la loro essenza, capacità, potenzialità e non per l’immagine falsa di sé stessi. La nostra esistenza risulta senz’altro più problematica, ma anche positiva perché proiettata verso un mondo migliore fatto di persone vere e non di fantocci che strutturano ed adeguano le umane capacità interiori sulla base di un elemento biologico e materiale rappresentato dagli organi sessuali.