infanzia

i diritti che spettano ai bambini

Qual è la situazione reale dei bambini in una società che li considera oggetti di diritti e mai soggetti?

giugno 1979

molte sono le ambiguità e le contraddizioni, le ipocrisie, le speculazioni, le imposture che sul bambino hanno inventato, alimentano e nascondono la cultura e il costume borghese. A partire dal binomio madre-bambino, mai nel senso di un incontestabile diritto della madre a vivere serenamente e senza difficoltà la sua maternità, e invece sempre nel senso della funzione riproduttiva, del peso e della responsabilità ohe la società fa gravare quasi esclusivamente sulla donna, di allevare ed educare il futuro produttore per conto di chi avrà poi il potere di disporne: il padre, la società, il capitalista. Per finire con l’elastica ed arbitraria estensione dell’entità “bambino” per cui ci troviamo di fronte al Movimento per la Vita che pretende di considerare bambino l’embrione, la legislazione sui diritti della lavoratrice madre che sembra ritenere tale il neonato fino ai tre anni; la legge penale che considera non più bambino il quattordicenne; le leggi sul lavoro che fanno riferimento ai 15 e ai 16 anni. Nell’attuale società il bambino non è mai soggetto ma oggetto di diritti. Se poi nasce da genitori in precarie condizioni economiche o sociali non ha diritto a vivere vicino a sua madre e ancora una volta è “oggetto” di varie forme speculative, che vanno dall’assistenzialismo interessato delle “benefattrici” al ricovero in Istituti — quasi sempre privati e religiosi, qualche volta arrivati “all’onore della cronaca” per le disumane condizioni di esistenza dei bambini — che lucrano considerevoli guadagni sulle somme che lo Stato paga per i piccoli ospiti-prigionieri. Da questi Istituti, spesso molto lontani dal luogo dove risiede la madre, molti bambini escono perché “adottati” all’insaputa o contro la volontà di genitori e parenti: ancora una volta “oggetto” di disposizione altrui, in questo caso, della Autorità Giudiziaria che “nell’interesse del minore”, lo ha tolto per sempre alla madre e/o al padre naturale e lo ha trapiantato in una famiglia “benestante e benpensante”. Come un oggetto, il bambino-pastore era —. e in qualche caso — è ancora oggi “ceduto” dal padre ad un altro padrone. Come merce-lavoro, numerosi bambini vanno ad ingrossare le file di quel piccolo esercito di “lavoratori neri”, su cui ora sta svolgendo un’indagine l’UNESCO, ma di cui finora si è parlato per lo più in cronaca, in occasione di tragici episodi in cui essi hanno perso la vita. Il diritto alla vita e alla salute nei loro confronti, non sono che parole a trenta anni dalla Costituzione (Ci sono molti “difensori del diritto alla vita”, i quali però curiosamente, non si occupano dei bambini ohe muoiono a causa di virus più o meno misteriosi e in realtà per la denutrizione: il loro impegno è tutto nella direzione di impedire alle donne la libera disponibilità del proprio corpo e delle proprie scelte per continuare a imporre loro di fabbricare la merce-bambino). Così pure a trenta annidalla Costituzione, non è garantito né il diritto allo studio, né tanto meno quello “alla libera espressione della personalità”. Per tutti i bambini infatti, anche quelli che nascono in nuclei con problemi economici e sociali meno gravi o addirittura senza tali problemi, a causa della carenza di nidi, scuole, l’unica forma di socializzazione è la famiglia, carica di nevrosi e di tensioni spesso proprio per i problemi che la cura dei minori crea fra le mura di un appartamento senza spazio né servizi collettivi, dove la stanchezza e la disperazione comportano a carico dei bambini punizioni anche immeritate, sberle e ceffoni su cui si innestano liti fra i coniugi e conseguente pendolarismo affettivo del piccolo che impara presto a diventare opportunista e a procurarsi di volta in volta l’appoggio che gli occorre. Mentre dunque si “deforma”, invece di “formarsi” la personalità del bambino si accrescono il senso di frustrazione e il complesso di colpa della madre che poi è ingigantito nel caso che essa svolga un lavoro extra domestico (del resto sebbene la donna presti gratuitamente una serie di mansioni che non sono solo quelle di curare e nutrire i propri figli, ma si sostituisce ai trasporti pubblici, ai dopo-scuola, all’assistenza medica che non esistono o quasi, la società continua ad accusarla di ogni comportamento deviante dei giovani: dalla delinquenza alla droga).

E’ dunque finalmente necessario prendere coscienza ed evidenziare il fatto che in uno Stato moderno — che come tutti sanno significa ‘Stato sociale – la collettività deve farsi carico del benessere di tutti i cittadini. Non è accettabile che i bambini muoiano in’ fabbrica o vivano in situazioni simili a quelle descritte nelle cronache e nei racconti dì cento e più anni fa. Le madri devono innanzitutto essere sollevate almeno in parte del peso della cura del bambino e contemporaneamente devono ricevere per questo lavoro e sotto varie forme il contributo della collettività. E’ necessario scindere il binomio madre-bambino, fissare l’età e l’insieme dei diritti che al bambino spettano e vanno garantiti. In molti Paesi stranieri è già in atto uno studio molto serio del problema e molte leggi di cui è controllata severamente l’applicazione — garantiscono al bambino i diritti inalienabili della persona umana.

In Germania e in Svezia sono state di recente approvate leggi che vietano le percosse ai bambini: anche una semplice sculacciata viene considerata “violenza fisica”. Proibite sono anche le minacce e cioè ogni forma di “violenza psichica”, a difesa della integrità fisica e psichica del minore. In Italia invece un articolo del Codice Penale vieta “l’abuso dei mezzi di correzione” e dunque implicitamente ne ammette l’uso, e punisce con una pena assai lieve — fino a sei mesi — solo chi “abusando” ha arrecato il pericolo di una malattia nel corpo e nella mente, mentre se ha ‘prodotto una lesione non è colpito dalla stessa pena prevista per chiunque produca una lesione, ma da una molto minore. Così pure se produce la morte. Proposte di modifica di questo articolo sono contenute nel progetto contro la violenza del M.L.D. e da quello delle Donne socialiste. Per quanto attiene all’età, le più recenti leggi di altri Paesi fissano a cinque anni l’età entrò la quale la madre o il padre hanno la facoltà di assentarsi dal lavoro o lavorare un orario ridotto, per occuparsi dei figli. In Italia finora l’età è quella di 3 anni e non è ancora prevista la riduzione dell’orario di lavoro. Viceversa, mentre in Svezia e in Norvegia ancora si parla di introdurre nel diritto di famiglia la possibilità per i giovani di “divorziare” dai genitori, la nostra legge conosce varie ipotesi in cui il parere dei figli è rilevante e il giudice ne deve tener conto. Per quanto riguarda l’obbligo che entrambi i genitori hanno di mantenere, educare, istruire la prole, il Codice Civile, dopo la riforma del diritto di famiglia, ‘precisa che essi devono tenere conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli e per quanto riguarda l’indirizzo e la residenza della famiglia, il giudice interpellato quando i coniugi sono in disaccordo, deve tenere conto “per quanto opportuno” delle opinioni dei figli conviventi. Solo che in questo caso fissa un limite minimo di età troppo alto e cioè di 16 anni. Quanto all’età minima per il lavoro, le nostre leggi, sono perfettamente coerenti con la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia, dell’ONU del 1959, e con la Convenzione n. 59 dell’O.I.L., e le età fissate sono fra le più alte del mondo, se si pensa che in molti Paesi europei e americani, per non parlare di Asia e Africa, l’età minima è quella di 14 anni e in Florida addirittura di 12. Solo che sono disapplicate!

Quanto al problema fondamentale del contributo che la società deve fornire alla madre e al padre per venire incontro alle necessità che nascono con la nascita del bambino. In Francia due proposte di legge, una del P.C.F. e una del P.S., partendo entrambe dal diritto a una maternità e paternità responsabili, propongono una serie di provvedimenti che oltre ai servizi domiciliari, ai centri d’accoglienza, ai nidi familiari ecc., prevedono un assegno unico “destinato a compensare il carico supplementare che pesa sulla famiglia e in particolare .sulla donna da un punto di vista economico e di lavoro, per mantenere e allevare un bambino”. L’art. 9 della Proposta di legge comunista dichiara: che “perché il bambino possa svilupparsi in maniera serena e conoscere dalla nascita le ‘condizioni materiali e affettive indispensabili al suo sviluppo, sua madre deve avere, quale ohe sia la sua attività professionale, i mezzi corrispondenti a queste esigenze”, l’art. 1 della Proposta socialista precisa che “ha diritto all’assegno dal primo bambino, senza condizioni né di risorse economiche, né di attività professionali, la donna dal mese che segue la dichiarazione dello stato di gravidanza”. L’art. 6 della stessa proposta, precisa che “una maggiorazione dell’assegno è attribuita a beneficio degli orfani e dei bambini che sono a carico di una sola persona madre o padre che sia”. In ogni caso, dal 9 luglio del 1976 è in vigore in Francia una legge che prevede per “tutte le persone sole che esercitino o no una attività professionale, le quali abbiano il carico di uno o più bambini, il beneficio di un assegno adeguato”. Sono considerate “persone sole”: vedove/i, divorziate/i, separate/i, abbandonate/i, celibi e nubili, i quali abbiano il peso effettivo della cura del bambino, e le donne in stato di gravidanza che abbiano fatto la dichiarazione di tale stato e effettuato gli esami prenatali previsti dalla legge”. Leggi simili sono in vigore oltre che nei Paesi scandinavi in molti altri Paesi sicché non esiste assolutamente il cosiddetto problema dei “bambini abbandonati” che in Italia ha generato tutte le storture legate “all’adozione”: (1) i bambini i cui genitori si trovino in situazioni di momentanea difficoltà, per cui non sia sufficiente il ricorso ai servizi sociali che le leggi hanno previsto e introdotto, sono affidati à “famiglie nutritrici” (2) (familles nourricères) a cui è trasferito per il tempo necessario, l’assegno e che si occupano della cura del bambino per conto dei genitori naturali che però continuano se possono e vogliono ad avere col bambino contatti e rapporti e non rischiano di perderlo mai (3). Proposte di legge di questo contenuto sono state preannunciate durante le Assise delle Donne socialiste, ma avranno bisogno dell’impegno di tutte le donne per essere approvate a causa dei molti interessi che verrebbero colpiti (basti pensare agli Istituti e brefotrofi privati). E’ necessaria anche una revisione del sistema fiscale, specie delle finanze locali, giacché sia i servizi che l’assegno dovrebbero essere a carico dei Comuni.

Il ritardo nella applicazione dei diritti costituzionali all’integrità. fisica e psichica, al pieno sviluppo della personalità, alla maternità libera e garantita, sono stati finora colmati dalla mistificazione, dalla retorica e soprattutto dal sacrificio delle donne. Ancora una volta ci risponderanno che per risolvere questi problemi non ci sono i soldi. Il problema è di vedere come vengono usati e a chi vengono destinati i soldi della collettività!

 

(1) cfr. articoli di Laura Remiddi nei nn. 2 e 3-4 di “Elle”.

(2) Germania, Inghilterra, Belgio, Turchia, Australia ecc.

(3) «Qualche volta i genitori nutritori, ammettono con difficoltà che il bambino sia lasciato loro solo temporaneamente, e che il loro ruolo sia di completare la famiglia naturale e non di rimpiazzarla. Tuttavia in tutti i Paesi si è generalizzata una “preparazione psicologica” dei genitori naturali e dei genitori nutritori, al fine di ridurre al minimo i problemi posti dalle visite». Pag. 20 delle Ricerche del Consiglio d’Europa: «Misure d’ordine sociale in materia di sistemazione dei bambini nei focolari comunitari o nelle famiglie nutritrici».