l’oppio per le donne è nero, a strisce

Fotoromanzo sinonimo di sottocultura, ma quanta cultura c’è in altri giornali che usano il nudo femminile in copertina per aumentare le vendite?
L’analisi di un media rivolto alle donne che non ha nemmeno l’onore di essere considerato un “femminile”.
Emarginato perché rivolto a un pubblico emarginato: le donne

marzo 1981

Sicuramente è l’unico settore dell’editoria non in crisi: si vendono 5 milioni di copie e calcolando ohe ogni copia viene letta da 4/5 persone si raggiunge l’incredibile cifra di 22 milioni di lettori, o meglio lettrici.
Dall’inchiesta svolta per la «Lancio», una delle più importanti case editrici di fotoromanzi, da Antonella Marciarli, Elisabetta Gentile e Marta Lepore risulta infatti che le donne sono le principali acquirenti, il 98.8 per cento, anche se non solo le uniche lettrici, infatti solo il 4,2 per cento di uomini acquista fotoromanzi, mentre è sicuramente maggiore la percentuale di chi li legge trovandoli a casa.
Il fotoromanzo è quindi un prodotto per le donne, anche se non viene considerato un “femminile”, e le donne alimentano una delle più fiorenti industrie italiane con una interessante esportazione all’estero di alcune testate ohe vengono tradotte in quattro lingue. Un giro d’affari di centinaia e centinaia di milioni l’anno.
Il 39 per cento dei lettori compra dai 7 ai 14 fotoromanzi al mese, il 10,5 ne acquista 5, circa l’8 per cento ne compra addirittura 16 e oltre, mentre il 6,4 ne compra ben 15.
Prevalentemente non acquistano altre pubblicazioni.

Si acquista il prodotto o l’«immagine»?
Le donne sono le “consumatrici” per eccellenza, proprio perché attraverso l’acquisto scaricano tensioni ottenendo gratificazioni e rassicurazioni temporanee che altrimenti le sono negate.
Quasi sempre acquistare per la donna non è determinato dal reale bisogno dell’oggetto o della cosa in sé ma da motivazioni psichiche molto più profonde e spesso inconsce. Non a caso si costruisce una “personalità” al prodotto, non solo per differenziarlo sul mercato, ma soprattutto per dargli un’immagine che risponda alle profonde motivazioni di acquisto ohe raramente salgono a livello di coscienza.
Se ci chiedessero perché abbiamo comprato un determinato profumo risponderemo perché ci piace la sua essenza, senza analizzare minimamente il significato connotativo della nostra scelta che potrebbe rispondere al voler apparire “fresca, emancipata, dinamica” oppure “ammaliante, misteriosa e perversa” o ancora “vaporosa, romantica, sognante”.
Questo avviene per quasi tutti i tipi di acquisto. E’ invece interessante vedere come per i Fotoromanzi le reali motivazioni siano dichiarate e ammesse dalle stesse lettrici, proprio perché in questo caso non abbiamo nessuna ambiguità tra “l’immagine” del prodotto e il prodotto reale. Il Fotoromanzo è quello che è, e non vuole apparire in nessun altro modo: lettura di evasione, fuga dalla realtà. Insomma una manciata di sogni.
«Leggo per passare il tempo». «Leggo per distrarmi». «Leggo per conoscere cose nuove». «Se una storia mi piace mi immedesimo, amo soprattutto le storie movimentate, quelle col fiato sospeso». «Leggo per imparare qualcosa dalla vita, per sapere come ci si comporta». «Trovo nel fotoromanzo una realtà desiderata, qualcosa che non ho». «Mi servono per sentirmi più libera». «Li trovo molto distensivi». «Servono per uscire dai problemi di tutti i giorni: la casa, i bambini».
Le donne continuano a fuggire da una realtà che le opprime, che non le valorizza, che le costringe a ruoli e atteggiamenti passivi.
«Mi servono per farmi uscire dalla realtà, è qualcosa che sarebbe bello potesse succedere anche a me». «Mi identifico con la protagonista, quando la storia mi piace e penso che potrebbe succedere anche a me». «Io leggo ed è come se tutto succedesse a me». «Mi immedesimo con qualsiasi tipo di storie, purché siano vere e quelle della “Lancio” lo sono».

Fiabe visive per evadere
Il fotoromanzo è stato emarginato dai mezzi di comunicazione di massa e dichiarato un prodotto di sottocultura in quanto media prevalentemente femminile di evasione. Quanta cultura c’è nell’ultima copertina dell'”‘Espresso” che utilizza ancora un nudo femminile? a sproposito delle donne ohe vivono sole? Contro la cosiddetta cultura spezziamo una lancia a favore del quanto più onesto Fotoromanzo, vilipeso e emarginato perfino misconosciuto nel suo fondamentale ruolo di riproporre modelli comportamentali femminili estremamente funzionali proprio a certa cultura.
Il fotoromanzo è un vero e proprio mezzo di controllo sulle masse femminili, oppiaceo e rassicurante, risponde esattamente alle profonde insicurezze, alle frustrazioni quotidiane, ai bisogni di realizzazione della donna che si traducono in fughe e evasioni dalla realtà.
La situazione impossibile, il successo, l’amore, la bellezza, l’affermazione, l’avventura. Tutto in un concentrato di “Nero a strisce” (1) che ci suggerisce come la trama del fotoromanzo abbia la stessa struttura morfologica delle fiabe.
Fiabe più attendibili naturalmente e legate alla realtà ma ancora fiabe anche se il Fotoromanzo in questi anni si è rinnovato nella struttura narrativa e nel linguaggio. Le trame sono più articolate e riflettono i cambiamenti di costume avvenuti nella società. Il linguaggio delle immagini in alcuni casi è diventato più sofisticato e complesso, meno legato all’iconicità realistica della fotografia, si è aperto a una ricerca espressiva autonoma, arricchendosi di significati non solo legati esclusivamente al testo. Il nero non è più solo a striscie ma si articola, si spezzetta, si sovrappone. Le inquadrature tendono da una parte a diventare scarne e essenziali, dall’altra si ripetono e attraverso la grafica dell’impaginazione, l’immagine segue i ritmi dell’azione, scandisce diversi tempi comunicativi.
La potenzialità del Fotoromanzo è data dalla Fotografia. La storia è visualizzata attraverso una sequenza di immagini ad alta definizione espressiva permettendo al lettore di immedesimarsi totalmente nell’azione, esattamente così come gli viene proposta. Secondo la classificazione di Mac Luhan il Fotoromanzo è quindi un media caldo, dove la partecipazione del lettore è totale in quanto non ci sono possibilità aggiuntive o interpretative come ad esempio nella lettura di un libro dove esiste, parallelamente alla lettura, un’attività connotativa che ci permette di costruire situazioni visive mentali, immagini, colori, suoni, legati alla nostra esperienza.
Non a caso un film tratto da un libro che abbiamo letto ci deluderà immancabilmente, proprio perché le nostre immagini mentali di quel libro non potranno mai corrispondere a quelle che vedremo sullo schermo. Il Fotoromanzo è un media chiuso, fortemente denotativo dove ogni storia è finita in sé, a noi è concesso solo di entrarci e viverla insieme ai protagonisti.
«Quanto più, quindi, manca questa possibilità di vivere in prima persona la propria vita come si vorrebbe, tanto più si delega questa possibilità ai protagonisti dei fotoromanzi che vengono così a rappresentare quello che si vorrebbe essere se si potesse scegliere».
In questo senso possiamo trovare affinità comunicative con il Cinema, generalmente prodotto come strumento di evasione. Ma oltre alla profonda differenza tecnica e di percezione dei due mezzi, ancora due sono le sostanziali differenze: il pubblico a cui sono destinati e le diverse modalità di fruizione. Il Cinema si rivolge a un pubblico vasto e differenziato per età, cultura e status sociale. La sua produzione tende quindi generalmente a soddisfare vasti pubblici, articolandosi in generi diversificati di spettacolo: Il Fotoromanzo ha un pubblico definito e uniforme: femminile, e piuttosto omogeneo per età, cultura, status. Dall’inchiesta emerge ad esempio che il 78,8 per cento dei lettori è tra i 14 e i 25 anni, le donne non sposate sono il 79,1 per cento mentre il 54,9 per cento possiede la licenza media inferiore e il 23,5 per cento la laurea o il diploma (quest’ultimo dato, se teniamo conto che su tutta la popolazione italiana adulta è solo il 9,2 per cento, sconvolge un comune stereotipo del Fotoromanzo: quello di essere letto solo da persone incolte e meno abbienti). Inoltre il Fotoromanzo è letto dal 30,6 per cento di studentesse, -dal 22,9 per cento di casalinghe, seguono tra le varie occupazioni le impiegate con il 10 per cento e le operaie con il 10,8 per cento.
L’altra importantissima differenza tra il Cinema e il Fotoromanzo è la modalità di fruizione. Il Cinema è un rito collettivo, quindi la partecipazione e 1’ identificazione sono mediati dalla visione socializzata in uno spazio collettivo, al contrario il Fotoromanzo si legge nell’isolamento di uno spazio privato, in una situazione quindi di minore resistenza che consente di abbassare totalmente le soglie emotive. Le donne si immedesimano con la protagonista e vivono insieme a lei tutta la storia.
Dall’analisi della corrispondenza pervenuta alla «Lancio» ‘(arrivano 1.000 lettere al mese) il dato più rilevante è la profonda autenticità. Sono lettere ohe esprimono problemi strettamente personali, che raccontano stati d’animo, desideri, guai.
La casa editrice non è vista solo come dispensatrice di servizi ma come confidente, l’amica sicura a cui si può raccontare tutto. Così le lettere ai protagonisti. Non sono, come si pensa, solo dichiarazioni d’amore o richieste di foto con dedica, ma esprimono soprattutto il bisogno profondo di comunicare, non con il divo, ma con l’individuo.
Sono lettere che prevalentemente non chiedono risposta, scritte per alleviare uno stato di ansia e di disagio.
Le storie d’amore, sentimentali sono le preferite. In fondo rispondono al bisogno di tutti noi di essere amati, capiti, accettati, ma soprattutto per le donne significa realizzarsi solo attraverso l’amore e il rapporto di coppia, avanzare socialmente ed economicamente. Per molte rappresenta uscire da uno stato di isolamento sociale, di inutilità e fallimento. Amate sono anche le storie avventurose di tipo poliziesco. Dall’indagine emerge la fatica a reinserirsi nella vita normale dopo la lettura, tutto rischia di diventare più opaco, smorzato. Molte hanno bisogno di un periodo di “riassestamento” per affrontare le normali attività quotidiane. Per evitare questo disagio molte leggono i fotoromanzi prima di dormire.
«E’ difficile ritornare a fare le cose di prima, vorrei subito leggerne un’altro». «Leggere mi porta fuori dalla realtà, dopo mi ritrovo come prima e questo mi abbatte». «Faccio molti paragoni con la mia realtà, mi piace di più quella del fotoromanzo». «Mi deprime perché so che a me non succederebbe mai». «A me fa un effetto positivo in quanto dopo che ho letto mi viene voglia di fare cose nuove, diverse dalle solite». «Se la storia è finita bene mi fa tornare più allegra alla mia realtà, se invece è andata male, mi scoccio di rifare le mie cose».
Il malessere femminile diventa prodotto e viene rivenduto alle donne stesse sotto forma dì fuga e evasione, gratificanti e momentanee panacee per dimenticare disagi e problemi reali che forse non trovano ancora gli strumenti adeguati per essere espressi.
Il fotoromanzo è una pillola oppiacea per sognare, fuggire via, un mezzo per non affrontare le proprie ribellioni, per mantenere inalterati i ruoli attraverso modelli comportamentali.
In realtà è un prodotto confezionato in risposta a una domanda di mercato ben precisa che viene dalle donne e non ha altro torto che quello di rispondere efficacemente.
Se le donne fossero diverse il fotoromanzo così com’è non potrebbe esistere, ne esisterebbero altri con messaggi differenti. In fondo il bisogno di essere amati, di sognare, di evadere non dovrebbe avere sesso.