storia

mestiere come studiare

giugno 1979

parlo di questi incontri, premettendo che .dell’organizzazione di questi dibattiti io sono stata, con altre compagne, responsabile, e quindi quello che dirò è in parte una critica a me stessa. Le iniziative sono state due: un ciclo in tre serate organizzato dall’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza (1. Storia sociale e storia delle donne: la storiografia inglese e americana; 2. Storia orale e storia delle donne: autobiografie e storie di vita; 3. Storia delle organizzazioni e storia delle donne: il caso del movimento cattolico) e un pomeriggio di dibattito generale sulla storia delle donne in conclusione del convegno internazionale organizzato dalla Fondazione Basso-ISSOCO sul tema «Cultura operaia e disciplina industriale». Quest’ultimo ha visto la partecipazione anche di un gruppo di storici inglesi legati alla rivista History Workshop: Anna Davin, il cui impegno femminista nel lavoro storico è noto anche da noi per il suo articolo «Maternità e imperialismo» tradotto nel numero 6-7 di Donna Woman Femme, Eileen Yeo, Raphael Samuel e Tim Mason. Questi dibattiti hanno indubbiamente presentato molti aspetti positivi per i contributi sia di ricerca che di riflessioni di metodo. Ma qui mi interessa fermarmi sulle perplessità che in me hanno suscitato, perché questo può da un lato aiutare quelle di noi che intendono occuparsi di storia delle donne a impostare meglio il lavoro futuro, dall’altro consentire la partecipazione al dibattito di donne che non sono interessate al problema specifico. L’intenzione era in sostanza quella di aprire un confronto, anche con gli storici uomini, sui temi della storia delle don* ne, intesa come storia né vittimistica né «aggiuntiva», ma tale dà sovvertire in prospettiva il modo tradizionale di interpretare e di periodizzare la storia. Questo confronto è fallito, gli interventi degli uomini o eludevano le . nuove tematiche da noi poste o le accoglievano con entusiasmo paternalistico (i due storici inglesi). Ma non è questo per me il punto importante. La mia insoddisfazione deriva invece dal fatto che il dibattito tra donne si è rivelato in queste occasioni, anche quando era apparentemente sciolto e vivace, sostanzialmente difficile per una forte separazione tra addette e non addette ai lavori. Inoltre, ih tutte non era risolta l’oscillazione tra i rischi di una eccessiva subordinazione della storia delle donne o ai nostri obiettivi politici di oggi o alla Scienza con tutti i suoi canoni stabiliti. La difficoltà e anche la tensione nei rapporti tra donne specialiste e non, che si fanno reciprocamente critiche di faciloneria intellettuale e di accademismo tradizionale credo dipenda non dalla cattiva volontà, ma da grossi problemi che dobbiamo approfondire. Io qui cercherò solo di proporli, non certo di indicare soluzioni, che non ho e che devo trovare insieme alle altre. Tra le nostre grandi utopie c’era anche quella del superamento che la pratica tra donne avrebbe portato dell’uso tradizionale degli strumenti culturali come strumenti di oppressione e di potere, l’esperienza di molti Collettivi prima e oggi del lavoro essenzialmente culturale che il movimento svolge (parlo di Roma, della esperienza del «Lessico politico delle donne» ecc.) ha dimostrato che noi continuiamo a tendere a quel superamento, ma che arrivarci è molto lungo e complicato. Va capita meglio, per esempio, la differenza tra le donne che si erano emancipate dopo il 1968 attraverso la politica (la maggioranza delle compagne del movimento) e quelle che si erano emancipate attraverso la cultura, che oggi è diventata più evidente.

O bisogna riflettere sul fatto che la cultura è probabilmente per molte donne «l’amante sotto il letto», come disse una volta una compagna, e i problemi di rapporto col padre, reale e/o simbolico, che si porta dietro li abbiamo per ora appena sfiorati. Durante questi dibattiti, mi sono posta delle domande. Perché noi femministe siamo state così aggressive verso le istituzioni della politica e siamo così subalterne e spaurite di fronte alle istituzioni della cultura? Il giorno del dibattito al convegno dell’ISSQCO, io stavo al tavolo della presidenza e, osservando i mille segni della nostra subalternità alle strutture stabilite, mi ricordavo delle battaglie delle donne al congresso di Rimini di Lotta Continua o in certe assemblee all’università e il contrasto era impressionante. Sui contenuti mi ponevo altre domande: è possibile una storia femminista? E, se sì, che cosa significa, se non la si vuole ridurre, come sembra scontato, a storia ghettizzata delle sole donne e tanto meno a storia. Solo dei loro movimenti? E come può evitare il rischio, in cui già sono caduti i militanti del movimento seguito al 1968 e che ha una lunga tradizione nella storia del movimento operaio, di servire solo da dimostrazione di teorie elaborate altrove e di svolgere quindi una funzione di pura legittimazione rispetto alla lotta politica? Ricordava Anna Davin: «All’inizio, le compagne mi dicevano: se vai in biblioteca invece che alle manifestazioni, almeno fallo per darci coraggio dimostrandoci che anche nel passato le donne lottavano, ma a me interessava capire perché tante donne non avevano lottato». Dall’altra parte, come si fa a mantenere il rigore della scienza tradizionale, maschile, senza perdere di vista l’obiettivo finale che è quello di sovvertirla? Quest’ultima domanda rimanda al problema del nostro rapporto con le istituzioni: noi siamo sempre strette tra i due pericoli di accettare le regole del gioco per poter lottare per cambiarle — col rischio di subordinarci completamente ad esse — o di. rifiutarle per affermare la nostra estraneità e alterità — col rischio di non avere più un terreno di lotta. Queste domande sono generiche e schematiche, ma credo che dobbiamo cominciare a porcele, tutte, quelle di noi che fanno un lavoro’ intellettuale e quelle che non lo fanno, perché credo siano in questa fase cruciale per il dibattito politico nel movimento femminista. Spero molto che altre intervengano, per arrivare a una più corretta formulazione dei problemi e avviarne poi un approfondimento.