inchiesta

“non preoccupatevi un letto l’avrete”

giugno 1979

il ginecologo è nervosissimo, telefona ai vari reparti: niente letti disponibili. Lui ci rassicura, sentenziando: «Non preoccupatevi, un letto l’avrete». E’ fuori di sé, parla concitatamente, inizia a visitare le donne del gruppo: è il mio turno. Visita da macellaio con ferro del mestiere. Ritorno nella Saletta d’attesa, avverto delle contrazioni.

Più tardi sono ospite di Lisa che mi lascia il letto per il cardiogrammia. Mi trovo bene in quello stanzone assieme alle mie compagne, l’unica nota stonata è Barbara che troneggia ilei letto centrale della fila di fronte. E’ in ospedale da un mese per portare a termine una gravidanza difficile. Nel pomeriggio ci invitano a scendere sotto per le radiografie: ci avviamo, “oche starnazzanti” scortate da due infermiere che non si curano di noi. Verso sera ci chiamano per la depilazione.

Alle 19 l’ostetrico spara telefonate a tutti i reparti per ottenere due letti per la notte. Lunga e incerta trattativa con la suora del 4° piano dozzinanti che ha,libera la stanza numero 3. Chiedo all’ostetrica se devo prendere qualche medicina prima di dormire, mi è grata per averglielo ricordato. Affonda la grossa mano nella tasca e tira fuori un ovulo ed una pastiglia per dormire. La voce ed i gesti sono rudi ma danno calore. Dormo bene, il sonnifero non mi serve. E’ giovedì, Lisa e Ilaila ci vengono a chiamare. Sotto tutto è pronto per la preanestesia. L’ostetrico mi comunica che le suore ci mettono a disposizione per dopo un’altra stanza, la N. 2 questa volta. C’è per la verità un buco nel soffitto del bagno, ma a questo punto poco conta. L’infermiera decide che per comodità la preanestesia la facciamo nello stanzone assieme alle altre.

Divido il letto con Lisa, io dalla parte dei piedi. Arriva l’infermiera con il lettino, comincia a caricare. Tutto è molto svelto. Mi trasportano all’ingresso della sala operatoria e là resto, aspettando che si liberi. E’ il mio turno.

Ma intanto è cambiato qualcosa. Le Suore hanno saputo che siamo abortiste e non sono più disposte ad ospitarci.

L’anestesista dichiara di non essere disposto ad addormentare chi non ha un letto assicurato per dopo. Siamo le solite due ancora senza letto. Il dialogo fra gli anestesisti e il ginecologo si fa sempre più vivace, quest’ultimo tenta di convincerli ad anestetizzarci ugualmente, il letto salterà fuori. Telefonale frenetiche si susseguono fra gli anestesisti ed i vari reparti; vengono richieste autorizzazioni, si interpella il direttore amministrativo. Non c’è un letto disponibile in tutto l’ospedale…

In sala operatoria Volano parole grosse, non vorrei essere al posto di Lisa… A questo punto rifletto che ancora una volta sono le donne a pagare con la pelle la loro libertà, Penso al ginecologo che mette in crisi l’istituzione usando le donne nella maniera più brutale. E tutto ciò al fine di rendere attuabile una legge in favore delle donne… Penso agli anestesisti che non se la sentono di rischiare di persona, agli obiettori, alle Suore che elargiscono Carità Cristiana soprattutto ai dozzinanti non abortisti. E poi noi, sole, con i nostri mille problemi.

Passo la giornata di giovedì, semi-imbambolata nel letto di Barbara; lei intanto si dà da fare a soccorrere le mie compagne. La scopro generosa, mi fa piacere, le sono riconoscente. In seguito mi rendo conto che si sta solo comportando “Cristianamente”. Passano le ore, salto il pranzo perché l’intervento potrebbe aver luogo nel pomeriggio.

Finalmente giunge il permesso di mangiare, tutto è rinviato all’indomani. Mi ricordo di una ragazza di Brescia e decido di andarla a trovare. LI suo problema assillante, angoscioso è di rientrare a casa la sera stessa affinché la mamma non si accorga di nulla. Per quell’altro problema non c’è spazio.

Vedendomi, ancora semiaddormentata, riaffiora prepotente quella parte di Lei tanto repressa: piange… «Dai, tutto è passato», le dico. Piangendo più forte risponde «Ora è peggio». Non so consolarla. Il mattino seguente Venerdì, tutto si svolge con precisione e regolarità. L’ostetrico riesce ad avere gli anestesisti tutti per sé strappandoli ad un’altro chirurgo.

Il resto della giornata lo passo per lo più a dormire.

Qualche tentativo di vomito al risveglio. Ma anche in questo caso sono rassicurata: «Faccia pure, tanto il panno ce l’ha» l’infermiera è già uscita di stanza.

Sono sola. Chiudo gli occhi e lascio passare il tempo.

Il mattino dopo, sabato, facciamo la visita di controllo. Il medico è rilassato, Umano, la tempesta è finita anche per lui…; in seguito verrò a sapere che è in giuoco il suo posto. Per la prima volta mi tratta da persona. Mi parla delle ostilità che lo circondano e della battaglia che da solo deve affrontare… Tutto è a posto, Se voglio posso tornare a casa in giornata, decido che preferisco fermarmi un giorno ancora. La paura dell’emorragia affievolisce il desiderio del ritorno. Tutte se ne vanno imbottite di gocce anti-emorragiche, con ricette di ”Metergin” di scorta.

Adesso il posto c’è, e molto. Mi mandano nello stanzone con Barbara. Siamo solo in due, lei ed io, quasi di fronte.

Barbara mi evita, guarda sempre da un’altra parte.

Mi sento a disagio, osservo che si stava meglio in tante: si parlava, si rideva, si piangeva.

Non è d’accordo. Lei sta meglio sola e si comporta come se lo fosse. Il mattino seguente mi sento meglio, decido di uscire nel corridoio esterno per bere un cioccolato caldo. Mentre mi avvicino alla macchina a gettone vedo un gruppo (malati e malate di altri reparti) che mi fìssa da lontano. Una donna sui cinquanta dice qualcosa e gli altri ridono. Man mano che mi avvicino la battuta si fa’ più distinta: è pesante. Mi guardo attorno, non c’è dubbio, è per me. Lo scherzo è volgare. Sono offesa, rabbia e tristezza si confondono in me.

E’ una donna che guida il gioco, è una donna che scredita il suo stesso sesso, nei confronti dei maschi… e ne gode.

Quando impareremo a rispettarci, senza rabbia, senza rivalità, solidali con la nostra condizione, consapevoli di noi stesse?

Riconosco questa donna che si allontana (soddisfatta?). L’ho già incontrata nel mio reparto. Ritorno a casa.

All’Ospedale c’ero entrata con un solo pensiero: liberarmi di questa maternità non voluta.

«Solo da poco ho iniziato; mi concedo di pensare a me stessa. Provo gioia ed emozione nell’intravvedere la mia identità. No, non posso essere giocata ancora una volta dalla sorte. Devo imporre la mia volontà». In parte ci sono riuscita. In parte, perché qualcosa è cambiato. La natura si è presa ancora una volta ciò che le spetta.