organizzate ma senza lavoro
«alle riunioni da parte degli uomini, erano costanti gli atteggiamenti o di sfottò o paternalistici, in un continuo bersagliamento sulla nostra bellezza o bruttezza».
un tema estremamente irrisolto, poco approfondito all’interno del movimento è quello del rapporto tra femminismo e lavoro, della contraddizione (che di fatto molte di noi vivono) di trovarsi sul posto di lavoro a muoversi e a lottare insieme a dei maschi che si trovano nella stessa condizione specifica. Una .specie di «doppia militanza», anche se in senso diverso, ma quasi sempre causa di lacerazione, di difficoltà.
Questa compagna in particolare che ci racconta la sua esperienza, oltre ad essere una femminista, ha partecipato pienamente a tutto il movimento di lotta dei disoccupati organizzati di Napoli, sino all’ottenimento di un posto di lavoro.
Sarebbe interessante se anche altre donne inviassero ad Effe i loro contributi, le loro difficoltà, in modo da poter iniziare un confronto ed un dibattito.
tiziana
La mia esperienza con i disoccupati organizzati è iniziata subito dopo lo scoppio del colera, quando furono istituiti in città i corsi post-colerici per tutti quei settori della popolazione che durante l’epidemia avevano perso il posto di lavoro. Questi corsi, che teoricamente dovevano servire a qualificarci per avere successivamente una attività, dopo un anno furono istituiti anche nella provincia di Napoli, così fu possibile anche a me di parteciparvi. Il mio corso era formato prevalentemente da donne ed era stato indubbiamente un momento aggregante sia per discutere i problemi particolari della lotta alla disoccupazione, sia per iniziare, anche se con estrema difficoltà, i primissimi accenni di dibattito sulla condizione femminile.
Nel frattempo era stato istituito dai corsisti maschi un collettivo di discussione interprovinciale: quando seppero che c’eravamo anche noi, uniche donne, furono delusissimi; alle riunioni erano costanti gli atteggiamenti o di sfottò o paternalistici, in un continuo bersagliamento sulla nostra bellezza o bruttezza, tant’è che molte di noi si trovarono ad un tale stato di esasperazione d’aver voglia di abbandonare la lotta.
Oggi penso che ci ha trattenuto soltanto la nostra grande volontà di ottenere un lavoro, dopo tanti tentativi andati a male. Un esempio delle difficoltà avute può essere questo: tra le varie iniziative prese dai disoccupati organizzati ci fu anche quella di pubblicizzare la nostra lotta nel quartiere o nel paese dove facevamo i corsi. Noi donne ci sentivamo handicappate, bloccate, molte avevano paura della famiglia, delle eventuali ripercussioni che ci sarebbero potute essere. Ma i corsisti maschi, in quell’occasione ci rifiutarono completamente l’aiuto materiale. Però, appena serviva la forza, il numero, per poter andare a protestare o a fare manifestazioni alla Regione o a Roma, correvano ad avvertirci. Anche in questa occasione usate, non come forza-lavoro di riserva, ma come forza di lotta di riserva.
Quando vennero unificate le liste di lotta dei disoccupati di Napoli con quelle della provincia, ed iniziarono le prime riunioni, puntualmente si ripeterono gli stessi problemi avuti con i corsisti della provincia. Con la scusa che eravamo donne, tentarono ripetutamente di emarginarci; dicendo che per noi il lavoro non era importante, che toglievamo il pane di bocca a dei padri di famiglia… Noi donne parlavamo spesso di questo, criticando i vari atteggiamenti, però senza riuscire mai a creare un nucleo di donne in opposizione, per discutere, ci mancava il coraggio di organizzarci.
Poco dopo ho aderito al movimento femminista, non tanto per consapevolezza (non è che ci credessi molto), ma più che altro per curiosità, poiché nel mio quartiere si era formato un collettivo. Però dopo le prime riunioni mi accorsi di essere contenta, d’iniziare a capire attraverso il collettivo la vera ragione per la quale in certe occasioni nel movimento dei disoccupati mi sentissi spesso bloccata, estranea, emarginata. Ricordo anche, che spesso andavo in crisi all’inizio della militanza femminista, nel non vedere obiettivi concreti, immediati, come invece ero abituata nella mia lotta per il lavoro, e mi sembrava che anche noi donne dovessimo fare così; inoltre speravo che attraverso il femminismo avrei risolto molti miei problemi personali, e invece capendo sempre di più la mia realtà, mi si crearono costantemente nuovi conflitti, come per esempio il rendermi conto che con lo stipendio, con il posto di lavoro stabile e sicuro, che tanto avevo sognato, ho risolto una parte piccolissima di me stessa, completamente al contrario di ciò di cui ero convinta prima. Vedo invece che le mie compagne di lotta ci credono ancora, spesso si accontentano dell’indipendenza economica, del poter uscire di più la domenica, senza mettere però mai in discussione i propri rapporti familiari, la propria vita, non vedendo che anche lavorando restiamo sempre strumentalizzate, oggettivate. Anzi certe volte mi sembra che quando parliamo di femminismo non mi vedono più come una compagna di lotta, ma come una diversa, come una un po ‘pazza.
In conclusione penso che il femminismo indubbiamente mi ha dato la forza della ribellione, il coraggio di farmi sentire anche in mezzo ai corsisti; prima ero terrorizzata di sbagliare, di dire stupidaggini rispetto la «bravura» maschile. Oggi ho verificato che arrabbiandoci, facendoci rispettare, qualche cosa ci riesce, anche se c’è il rischio costante che in quei momenti ti vedano come un uomo, come uno di loro, non come donne che attraverso la loro lotta si stanno ritrovando una propria identità, A questi maschi con i quali lotto e lavoro, per fargli capire qualche cosa, per farti rispettare devi imporglielo quotidianamente, ora per ora; loro tentano sempre, anche attraverso l’ironia o il paternalismo, di farti sentire inferiore. Purtroppo mi accorgo che in questa mia lotta quotidiana, spesso snervante, io stessa certe volte mi ritrovo ad essere autoritaria, a prevaricare per farmi rispettare, ad usare cioè i loro stessi metodi.
Dopo queste mie esperienze, penso che è ancora più importante continuare a confrontarci tra sole donne, per capire bene le nostre realtà. Se non abbiamo momenti nostri di aggregazione, se non sviluppiamo i nostri contenuti, ci bloccheremo un’altra volta. Il separatismo e l’autonomia sono proprio una necessità..